In vista del 20° anniversario dei fatti del G8
di Genova
Premessa
Sui
fatti del G8 di Genova sono stati scritti alcuni libri e tanti articoli oltre
alla realizzazione di documentari e film. Una parte di questa letteratura e
documentazione video-fotografica appare alquanto discutibile, un’altra parte
resta imbrigliata in una quasi nostalgia piuttosto sconveniente e infine una
parte resta documento d’archivio (fra i quali quelli del Genoa Legal Forum e
del Comitato Carlo Giuliani[1]). Ciò che sembra mancare è una chiara
analisi critica di quei fatti, delle loro interpretazioni ideologizzanti o
mitizzanti, insomma una decostruzione degli errori di diverse componenti del
cosiddetto movimento dei movimenti e anche delle loro conseguenze negative su
quanto avvenuto dopo. In questo testo propongo quindi un contributo sintetico
(rinvio a questi testi citati in nota[2]) per districarsi dalla palude di tanti
luoghi comuni e per cercare di capire cosa imparare da questi fatti e anche del
dopo e in quale prospettiva praticabile, cosa che si dovrebbe fare prima e
durante i giorni a Genova nel 20 anniversario.
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Il
movimento contro il G8 di Genova fu sconfitto innanzitutto dalla violenza
sfrenata di un dispositivo militare-poliziesco approntato e aizzato
appositamente. Carlo Giuliani fu ucciso e centinaia di manifestanti furono
massacrati e in parte torturati. Ciononostante ci sono ancora persone che come
allora asseriscono che fu una vittoria, tesi sconcertante che è un insulto alle
vittime e anche alla necessità di capire le ragioni quella sconfitta.
La
prima di queste ragioni è che le diverse componenti del movimento (e molti di
noi fra questi) non capirono cos’era (e cos’è) il liberismo globalizzato, ossia
la strategia e la tattica dei dominanti che esclude concessioni a chi protesta
contro il loro operato, mira all’erosione e persino allo stroncamento anche
brutale dell’agire collettivo e per questo fa ricorso a ogni mezzo e modalità.
In altre parole, non si era ancora compreso che si aveva a che fare con una
controparte che considera il movimento come nemico alla stregua del confronto
militare e quindi s’è dotato di un dispositivo poliziesco-militare pronto al
ricorso a ogni brutalità. Eppure le informazioni per capire questa deriva
militare-poliziesca erano note sin dal lancio della Revolution in Military
Affairs (RMA) del periodo di Reagan oltre che con la escalation mediatica che
mirava a dissuadere la partecipazione al movimento contro tale G8 a Genova.
Inoltre la conversione liberista della sinistra tradizionale era già compiuta
in Italia sin dal governo D’Alema, la guerra contro la Serbia e l’istituzione
dei Carabinieri come 4a forza armata[3].
L’illusione
assai ingenua di poter penetrare pacificamente simbolicamente nella zona rossa
in base a un presunto patto fra il leader delle tute bianche e la Digos di
Padova si rivelò catastrofica. Come mostra anche in modo inequivocabile il
video “OP Genova 2001 – L’Ordine Pubblico durante il G8” i Carabinieri
attaccarono in maniera deliberata e brutale il corteo prima che arrivasse a
Brignole, ignorando persino gli ordini del commissario di polizia con la fascia
tricolore. L’obiettivo stabilito innanzitutto dal Pentagono era di dare una
durissima lezione ai manifestanti anche a quelli ultra-pacifici per stroncare
un movimento anti-liberista che dopo Seattle rischiava di dilagare su scala
planetaria. Per i dominanti (G8, lobby e multinazionali) la messa in
discussione dei loro scopi era ed è inammissibile e da distruggere con ogni
mezzo. Tutto il movimento era destinato ad essere trattato come un nemico in
guerra. E non a caso il dispositivo e le modalità operative militari in
particolare dei Carabinieri e della Guardia di finanza nonché dei servizi segreti
stranieri e italiani mirarono al massacro passando anche per le torture. Si
pensi peraltro alla presenza del battaglione Tuscania, già sperimentato in
Somalia[4]. Da notare che gli stessi black bloc
stranieri (pochi forse solo trecento) decisero di abbandonare il campo
probabilmente perché compresero di trovarsi in un frame del tutto sfavorevole
in quanto prevaleva il gioco del disordine voluto dal dispositivo e dall’azione
di CC e GdF, servizi segreti e infiltrati. Dopo la giornata del 21 i vertici
della polizia credettero di riscattarsi dalle accuse di non aver saputo frenare
il “caos” puntando a “fare più prigionieri possibile” sia con arresti persino a
caso e persino di minorenni e ultra pacifici e soprattutto con il blitz alla
Diaz[5], una sorta di “macelleria messicana”
rivelatrice della scelta della gestione ultra brutale di una polizia italiana
peraltro maldestra (rivelatrici le testimonianze di Andreassi e Micalizzi).
Quella notte davanti alla Diaz eravamo in pochi ma c’erano anche tanti
giornalisti e parlamentari e chiedevano di entrare o di parlare con dirigenti
della polizia proprio mentre era in atto il massacro che abbiamo cominciato a
immaginare solo quando abbiamo visto uscire barelle con persone che perdevano
sangue … Non è stato fatto, ma forse da un preciso bilancio dei danni si
potrebbe constatare che quelli prodotti dalle forze di polizia sono stati
maggiori di quelli dovuti alla resistenza dei manifestanti e a qualche episodio
-marginale- di “saccheggio” di negozi (fra l’altro la maggioranza dei mezzi
danneggiati della polizia e dei CC era innanzitutto opera di loro stessi che
avevano persino rischiato di scacciare sotto le ruote i manifestanti).
Sin
dal momento dell’attacco dei Carabinieri al corteo pacifico delle tute bianche
si creò uno sbandamento generale e i manifestanti si mossero a caso senza
sapere dove andare e come proteggersi. Come sempre in questi casi quelli che
non avevano alcuna esperienza hanno avuto la peggio (e ciò anche fra qualcuno
delle forze di polizia).
La
sconfitta fu ancora più tremenda perché dopo il 21 non vi fu più alcuna
capacità di reazione collettiva; come d’improvviso il movimento si estinse e si
disperse a curarsi le ferite e a elaborare il lutto.
Dopo
la mazzata pesantissima del 20-21 luglio arrivò la reazione
dell’amministrazione USA all’attentato dell’11 settembre. Ossia il conclamato
continuum fra guerre permanenti su scala planetaria e guerre sicuritarie
all’interno di ogni paese. La guerra al terrorismo quindi si generalizzò sino a
colpire anche le proteste locali contro grandi opere tacciandole di terrorismo
(vedi TAV e non solo).
Ma
le ragioni che riproducono le resistenze al liberismo globalizzato sono
molteplici e diffuse dappertutto anche se non riescono a conquistare i
sindacati e quantomeno una buona parte della sinistra storica (che si uniscono
alle destre per invocare grandi opere e la sacralità della crescita economica uber alles).
La
sconfitta di Genova non ha impedito il rispuntare di tanti momenti di rivolta,
di resistenza, di lotta contro le diverse conseguenze del trionfo liberista. Ma
di nuovo questi momenti passano e si estinguono tranne quelli circoscritti a un
preciso contesto (vedi per esempio il caso dei NOTAV o quello dei nativi in
Amazzonia o in Patagonia e altrove proprio perché sono resistenze per la
sopravvivenza come innanzitutto fu la resistenza al fascismo e al nazismo che
durò 20 anni ma ebbe un grande dispiegamento solo negli ultimi anni).
Il
movimentismo e il suo “presentismo” ha la logica di inseguire ogni rivolta con
l’illusione di incasellarla nel “movimento dei movimenti” ma questa è una sorta
di ideologizzazione del movimento.
La
mobilitazione di Genova ebbe il grande merito di agitare svariate questioni
cruciali: non solo le conseguenze delle diseguaglianze economiche, sociali,
sanitarie ma anche i rischi ecologici e le tragedie delle guerre. Ma mancò la
comprensione che tutti i disastri sanitari, ambientali, economici e politici
(fra i quali le economie sommerse e le neoschiavitù), sono tutti insieme il risultato
dell’azione delle lobby e delle multinazionali su scala locale e su scala
globale. Sono i disastri che non solo provocano emigrazioni disperate ma anche
ogni anno quasi 60 milioni di morti. Disastri ignorati come se si trattasse di
disgrazie casuali, sfortuna di chi muore di cancro o altre malattie che invece
sono quasi sempre dovute a contaminazioni tossiche, a disastri ambientali, a
condizioni di lavoro e di vita insostenibili. Si tratta insomma di ciò che
Frederic Gros invita a capire come l’emergenza della teoria dei “disastri
umanitari” e quindi della “sicurezza umanitaria” (in opposizione anzi in
antitesi all’accezione sicuritaria militare-poliziesca che non a caso ignora
tali disastri a sprezzo della protezione della vita animale e vegetale e quindi
dell’ecosistema). Appare allora chiaro che non si tratta solo degli argomenti
agitati durante Occupy Wall Street o l’analogo movimento degli Indignados in
Spagna, né solo del sorprendente “movimento” dei giovanissimi contro il
cambiamento climatico. Si tratta invece delle innumerevoli resistenze a ogni
singola ingiustizia, sopruso e crimine contro l’umanità da parte dei dominanti
come per esempio è oggi il Black Lives Matter e l’analogo movimento
antirazzista in Francia, movimenti che hanno alle spalle le sconfitte di
mobilitazioni precedenti sin dagli anni ’60 poi ’80 e poi ancora dopo e che
sono spinti non da una sola motivazione ma da tante assieme.
Questo
è il campo alcuni militanti che ancora hanno nostalgia di Genova 2001 non hanno
ancora capito trascinandosi invece nell’inseguimento di una sorta di riedizione
di Genova2001. Così come ancora si stenta a capire che il liberismo tende
sempre più a scegliere la tanatopolitica (il lasciar morire) anziché la biopolitica del lasciar vivere. È
questa la reazione dei dominanti al loro terrore rispetto a ciò che pensano sia
un aumento incontrollato della popolazione mondiale che si sovrapporrebbe al
cambiamento climatico e genererebbe migrazioni aggressive, invasioni di orde
fameliche che devasterebbero i paesi ricchi[6]. A questo dovrebbero riflettere i
militanti antiliberisti comprendendo così che il quasi genocidio dei migranti
non è casuale ma allo stesso tempo non esclude la schiavizzazione di alcuni per
un tempo determinato come usa-e-getta. Una tanatopolitica che è quella della
devastazione dei paesi detti terzi così come preconizzava lo stesso Summers. Il
liberismo globalizzato è distruzione e necropolitica. Sono le resistenze dei
nativi dei territori devastati o quelle della popolazione tunisina contro la
fabbrica di fosfati di Gabès o anche la lotta dei lavoratori portuali del CALP
di Genova contro le navi saudite che trasportano armamenti contro gli Yemeniti,
sono queste le lotte e le resistenze che saranno il futuro che conterà.
Il
dopo fatti del G8 di Genova serve non per mettere un generico, inutile cappello
alle lotte che si sono succedute da allora, né per reiterare la lettura
ideologica dei movimenti, ma semmai per capire non solo gli errori e le
illusioni tragiche di quel momento ma per rinnovare veramente l’impegno intellettuale
e militante nelle nuove resistenze che si rinnovano e che hanno molteplici
facce, molteplici modalità di agire collettivo che ingloba appunto molteplici
componenti senza antitesi né pretesa di supremazia degli uni sugli altri, dei
più radicali e dei più “pacifici”. E sta qua la ricerca di alternative
attraverso la comprensione del valore del lavoro di cura e della stessa
riproduzione della vita e dell’umanità in genere e quindi il rilancio di una
cooperazione effettivamente antitetica alla logica del profitto, cioè di
produttori e consumatori, a fianco del mutuo soccorso e infine del comune (vedi
vari articoli su effimera.org).
Oggi
la minaccia sta nel sovranismo e nel populismo che non sono affatto né vero
sovranismo, perché è fedele agli interessi delle lobby e multinazionali e delle
potenze mondiali credendo di poter scegliere il miglior alleato dominante. E
non è populismo perché ignora lo stesso diritto alla vita degli stessi elettori
poiché vittime di disastri sanitari e ambientali; il sovranismo-populista
difende il furore di arricchirsi di padroni e padroncini sulla pelle dei
lavoratori[7].
Lungi
dall’essere di fronte al collasso del capitalismo, il dopo pandemia tende a
condurre a una situazione peggiore di quella precedente. Occorre un salutare
sguardo scettico/critico per capire l’attuale congiuntura e come resistere,
resistere, resistere!
Il
successo della mobilitazione antirazzista negli Stati Uniti ma anche in Francia
indicano che occorre promuovere convergenze fra le molteplici ragioni delle
singole resistenze. È possibile la convergenza nel reclamare non solo il
definanziamento delle polizie e la protezione antirazzista e l’azzeramento
delle spese militari, ma anche la destinazione di risorse alle politiche
sociali contro precarietà e supersfruttamento.
All’incontro
del prossimo 21 luglio a Genova riflettiamo insieme per preparare il 20°
anniversario dei fatti del G8.
NOTE
[1] http://processig8.net/La%20Segreteria%20del%20Genoa%20Legal%20Forum.html; https://www.piazzacarlogiuliani.it/ e http://www.osservatoriorepressione.info/
[2]Sui fatti del G8 di Genova ho
già pubblicato: Appunti di ricerca sulle violenze delle polizie al
G8 di Genova, “Studi sulla
questione criminale” 3, 1, 2008, 33-50, https://www.academia.edu/716477/Appunti_di_ricerca_sulle_violenze_delle_polizie_al_G8_di_Genova; Continuità nella sperimentazione delle pratiche violente del G8 di
Genova e ripresa delle dinamiche collettive antiliberiste, in Black bloc. La costruzione del nemico, curatore C. Bachschmidt, Fandango Libri, Rome:
2011, pp.61-74; sui cambiamenti nelle polizie: Polizie, sicurezza e insicurezze
ignorate, in particolare in Italia, Revista Crítica Penal y Poder
2017, n.
13,
Ottobre (pp.233-259) http://revistes.ub.edu/index.php/CriticaPenalPoder/article/download/20385/22504
[3] http://effimera.org/appunti-epistemologia-della-conversione-liberista-della-sinistra-salvatore-palidda/
[4] Sul dispositivo
militare-poliziesco fra altri si veda il numero speciale di Limes, 4/2001: https://www.limesonline.com/sommari-rivista/litalia-dopo-genova (ivi
in particolare il punto di vista di militari e polizie)
[6] Vedi anche “Negazionismo,
scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica?” su effimera.org
[7] http://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare-di-gianni-giovannelli-e-turi-palidda/
(*)
ripreso da effimera.org
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