Dopo aver decantato per mesi la “svolta” dell’Unione Europea, che,
attraverso il Recovery Fund, avrebbe abbandonato ogni relazione di tipo
autoritativo nei confronti degli stati membri con un alto rapporto debito/pil
per approdare a una “condivisione” dell’indebitamento, la contesa sembra essere
approdata, come nel classico gioco dell’oca, al punto di partenza.
Sarà che le divergenze in merito al Recovery Fund fra i paesi cosiddetti
“frugali” (con il paradiso fiscale dei Paesi Bassi in prima fila) e i paesi
cosiddetti “spendaccioni” sono tutt’altro che risolte; sarà che, se anche un
accordo fosse alla fine raggiunto, i soldi andrebbero ricercati sui mercati
finanziari e diverrebbero spendibili non prima di un anno, sta di fatto
che le pressioni affinché il nostro Paese acceda ai fondi del Mes (Meccanismo
europeo di stabilità) per ottenere finanziamenti per la sanità si stanno
moltiplicando, dentro e fuori il governo, sui media mainstream e
da parte delle grandi imprese.
Un martellamento quotidiano, a cui lo stesso Presidente del Consiglio
risponderebbe positivamente, se non fosse a rischio la propria maggioranza di
governo, con il M5Stelle, che al momento resiste, mentre il Pd scalpita perché
vi si ricorra senza ulteriori indugi.
Pare che tutti si siano accorti che i 36 miliardi di euro a cui potrebbe
accedere l’Italia siano esiziali per il nostro sistema sanitario, che, nel pieno della
pandemia, ha mostrato tutti i suoi limiti, con l’ex-eccellenza della Regione
Lombardia in primis.
Ben svegliati, verrebbe da dire, perché sono proprio 36 i miliardi che i
diversi governi di differente colore hanno sottratto al servizio sanitario
pubblico nel periodo 2010-2019 (25 miliardi di tagli netti nel
quinquennio 2010-2015 e quasi 12 miliardi di programmazione al ribasso del
fabbisogno di finanziamento nel periodo 2015-2019).
Quindi, dopo aver distrutto in un solo decennio, in ossequio ai dettami di
Maastricht e al patto di stabilità, uno dei sistemi sanitari migliori al mondo,
oggi chiedono di infilare il Paese nella trappola del Mes che, aldilà
delle interessate dichiarazioni rilasciate sui media, è un meccanismo di tutela
dei creditori che può in ogni momento imporre le cosiddette condizionalità.
Tanto più ad un paese che si presenterà all’inizio del nuovo anno con un
rapporto debito/Pil vicino al 170%.
Conosco l’obiezione che molti potrebbero mettere in campo: giuste le
critiche ai passati tagli, giusta l’indignazione verso l’ipocrisia delle forze
politiche, sacrosante le critiche al Mes, ma dove troviamo allora i soldi?
Ovviamente le risposte sarebbero plurime (a partire dal fatto che la crisi
la devono pagare i ricchi), ma ne voglio suggerire una cui forse
nessuno ha sinora pensato: riguarda i derivati, ovvero quei contratti
sottoscritti da molti enti pubblici con le banche, conosciuti come “titoli
tossici”, perché sono scommesse truccate da assicurazioni, che
favoriscono le banche e imprigionano gli enti pubblici nei debiti.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite -n. 8770/20-
dando ragione al Comune di Cattolica (RI) nel contenzioso contro la banca Bnl,
ha stabilito la nullità dei contratti derivati, che non avrebbero mai dovuto
essere sottoscritti dagli enti pubblici.
Poiché si tratta di una sentenza che, data l’autorevolezza della Corte che
l’ha pronunciata, fa giurisprudenza, perché lo Stato italiano, attraverso il
Governo, non dichiara ipso facto la nullità dei contratti
stipulati?
Sapete a quanto ammonta, secondo Eurostat, la perdita che incombe sui conti
dello Stato e che la società indipendente di consulenza finanziaria Ifa
Consulting ha stimato con probabilità altissima? 36 miliardi di euro!
Quale miglior occasione per sottrarre al sistema finanziario 36 miliardi (e
recuperare anche i 37 già versati) investirli tutti e subito per un servizio
sanitario pubblico, gratuito e umanizzato, lasciando a bocca asciutta i
tecnocrati del Mes e la loro gabbia del debito?
“L’Italia vuole una ripartenza certa, è il momento del coraggio, tutti
dobbiamo osare” ha dichiarato il premier Conte non più tardi di due giorni fa. Appunto.
da qui/
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