venerdì 31 luglio 2020

#italiaveloce, verso il baratro finanziario causato delle Grandi Opere - Tiziano Cardosi




Dopo la notte di travaglio tra il 6 e il 7 luglio, un Consiglio dei Ministri fatto di scontri e litigi ha partorito un decreto mostruoso, #italiaveloce come voluto marinettianamente dai renziani, che prevede di gettare 200 miliardi di euro – praticamente quelli previsti come contributi a fondo perduto dall’UE – in grandi opere sulla cui utilità non si è minimamente dibattuto. In contemporanea arriva una notizia spaventosa dalla Banca d’Italia secondo la quale il 40% delle famiglie italiane con un mutuo non riesce a pagarlo.
Trovo queste due notizie un chiaro segnale – che non so se sarà così interpretato dall’informazione mainstream – di come ormai la politica italiana, maggioranza e opposizioni unite in questo, assieme alla cricca più parassitaria che domina in Confindustria, sia totalmente slegata dalle sorti del paese.

Nei TG e GR del 7 luglio si è fatto un gran riferire delle prospettive magnifiche che seguiranno nella riapertura di alcuni cantieri, si è inneggiato alla sburocratizzazione delle norme che avrebbero rallentato il procedere di troppi progetti. In realtà, lo hanno riconosciuto persino ex ministri come Graziano Delrio, i problemi delle grandi infrastrutture in realizzazione vengono dalla cattiva progettazione e dalla mancanza di pianificazione. Ma queste critiche sono state sempre tacitate, disturbavano il flusso generoso di soldi pubblici verso i grandi appalti; tanti soldi pubblici, sempre di più, con aumenti dei costi da vergogna.
Nessuno vuol ricordare le parole di un esperto di lavori pubblici come Ivan Cicconi che ci ha mostrato come la “grande opera inutile” sia funzionale all’impresa finanziarizzata post-fordista, ci ha fatto notare che, praticamente in tutti i grandi cantieri, problemi tecnici sorgevano sempre per costringere ad aumenti dei costi che sono arrivati anche al 700% (per esempio la linea AV Firenze Bologna). Sempre Cicconi ha profetizzato di come tante infrastrutture che in teoria dovevano ripagarsi da sole si sono dimostrate un fallimento (per esempio il Pisa Mover per rimanere in Toscana, o la BreBeMi per guardare di là dall’Appennino) dove il soggetto pubblico corre sempre in soccorso dei profitti, anzi delle rendite; perché di questo si tratta, di rendite sempre garantite da contratti capestro per la collettività. 
La grande bugia usata generosamente per giustificare questi salassi economici e questi mostri ambientali è la promessa del lavoro; le infrastrutture creerebbero migliaia… no! decine di migliaia, milioni di posti di lavoro risolvendo i problemi della disoccupazione. Questa è una grande menzogna; oggi le grandi opere non sono più quelle del passato che vedevano moltitudini di minatori, di manovali a rimuovere terra e portare cemento con le carriole. Oggi la meccanizzazione dei grandi cantieri è altissima, la quota di investimenti destinata al lavoro è circa il 30%; il settore è capital intensive, cioè con basso uso di manodopera, mentre al contrario nei cantieri di dimensioni più contenute e soprattutto in quelli per la manutenzione e il restauro, la quota che va al lavoro sarebbe molto più alta.
Ma questo non si dice mai, si continua a parlare di opere “strategiche”, “imprescindibili”, privando questi poveri aggettivi di ogni significato, garantendo rendite esorbitanti ai padroni delle betoniere e, al tempo stesso, prendendo in giro il mondo del lavoro. La grande impresa finanziarizzata post-fordista non ha funzioni sociali, non è parte di un paese, ma un corpo estraneo che lo dissangua senza esitazioni.
Di fronte a questo quadro – ormai dimostrato da decine e decine di casi e decenni di errori – dopo la crisi della pandemia, all’alba di una crisi economica che si presenta devastante, la notte dei lunghi coltelli del governo giallo-rosa ha partorito un mostriciattolo: spacciando per semplificazione una deregolamentazione che si dimostrerà foriera di ancor più grandi ritardi e sperperi, si sono inventati il commissariamento di 36 grandi cantieri, cioè l’abolizione delle residue norme che dovrebbero tutelare l’ambiente e la società.
Contemporaneamente a questi fatti, come si diceva, è uscito un report della Banca d’Italia da cui risulta che il 40% delle famiglie italiane che hanno un mutuo hanno difficoltà a pagarlo. Milioni di famiglie sono a rischio di perdere la casa che hanno provato a comprare, e se non hanno risorse per onorare i loro impegni si avranno anche problemi per le banche creditrici; tutto ciò ricorda sinistramente l’inizio della crisi dei subprime del 2007. Il report della Banca d’Italia ricorda anche come il reddito delle persone sia precipitato nell’ultimo periodo, ma addirittura “utilizzando come riferimento omogeneo una soglia di povertà relativa stimata sulla base dell’Indagine sui Bilanci delle Famiglie italiane (IBF) del 2016, la quota di popolazione che non ha sufficienti risorse finanziarie liquide per poter restare alla soglia di povertà per 3 mesi in assenza di altre entrate raggiunge il 55 per cento”.
Già lo psicodramma delle settimane passate sul MES ha dimostrato come troppa politica non ha assolutamente contatto con la realtà, confondendo un prestito con una ipoteca sulla propria futura politica economica (perché questo è il MES), pensando che 137 miliardi in dieci anni del Recovery Fund (la stessa quantità destinata alle infrastrutture commissariate!) ci possano salvare, mentre altri paesi, non obnubilati dall’austerità, stanno pianificando l’immissione di migliaia di miliardi nel sistema economico. Come sganciato dalle reali esigenze del Paese è il piano di rilancio affidato ad un manager come Colao, con troppi conflitti di interessi per essere minimamente preso sul serio, venduto come la ricetta per ripartire. Tanto che la miglior economista di quella “squadra”, Mariana Mazzucato, ha sbattuto la porta dicendo che quella proposta è la ricetta liberista per il disastro.
In questo quadro non poteva certo mancare la sinfonia dell’attuale sindaco di Firenze, dell’ex sindaco, del candidato regionale e di tutti i maggiordomi delle grandi opere toscane e fiorentine che hanno intonato un peana di giubilo immaginando che anche i loro personali interessi fossero nell’elenco delle meraviglie partorito da Conte e la De Micheli.
Davanti ai possibili scenari di un futuro vicinissimo, vedere un governo che gongola perché ha trovato un accordo per sperperare oltre 130 miliardi a favore di pochissimi, lascia senza parole.
Una cittadinanza informata scenderebbe in strada, con le mascherine certamente, ma chiederebbe che la banda di pirati che ballano su un pianeta che affonda se ne andasse a casa, magari su Marte, per poter cominciare a vivere e a far vivere la Terra.


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