60 anni di teoria e prassi di pace si possono riassumere in:
EQUITA’ x ARMONIA
PACE = ———————————
TRAUMA x CONFLITTO
Quattro
focus teorici, quattro compiti politici e quattro materie educative.
Qualunque
vera educazione dovrebbe preparare alla pratica, guidata da una teoria
generale.
Procedendo
dalla destra del denominatore alla sinistra del numeratore, la formula
significa:
- mediare soluzioni ai conflitti
accettabili e sostenibili;
- conciliare le parti del
conflitto bloccate in traumi del passato;
- empatizzare con tutti i
contendenti divisi da linee di faglia sociali/mondiali;
- costruire cooperazione a
beneficio reciproco e uguale.
La
mediazione è verbale, basata sui dialoghi con le parti, ma i Quattro compiti
sono molto concreti, pratici; per persone che fanno, non solo parlano; per
persone pratiche come i funzionari. Quindi la Gran Questione:
L’educazione-prassi-teoria di pace è compatibile con la mentalità
militare – comunque definita, e ci sono molte culture militari al
mondo – o no?
Pensatori
così diversi come Nietzsche e Gandhi consideravano l’apparato militare come
esemplare a causa dello spirito di corpo e della disponibilità al sacrificio,
perfino della propria vita. Per Gandhi la casta kshatriya (militare)
era un modello: egli voleva guerrieri non-violenti, con
la stessa perseveranza, indispensabile anche nella mediazione. Avanzare,
ma assicurare la ritirata, ha un parallelo nella mediazione: non
proporre alcuna soluzione, alcuna azione che non sia reversibile. Per quanto
ben intenzionati, ci si può sbagliare / si può aver torto.
Il massimo
genio militare del secolo scorso: Vo Nguyen Giap, uno storico appena morto a
Hanoi all’età di 102 anni. Verso fine 1989 ebbi una lunga conversazione
con mon général riguardo alla [sua] vittoria sui francesi, poi
sugli americani, e al pareggio con i cinesi. La sua risposta:
contro i vietnamiti un nemico deve combattere con l’intera popolazione, non
solo i “maschi in età di servizio militare”; contro il VietNam un nemico deve
combattere con ogni componente autosufficiente, nessun effetto domino solo da
una “capitale”; e la storia vietnamita ha 2000 anni di addestramento con i
cinesi. Bene, Giap doveva coordinare tutto ciò; che terminò con molta
pace.
Seconda Gran Questione: la pace è compatibile con le civiltà?
Problematica
per un Occidente che ha colonizzato il mondo e per l’egemonia globale USA;
problematica per tutti gli imperi, compresi quello sovietico e cinese han verso
i loro vicini. E per il Giappone, lento a riconciliarsi. Meno per
l’islam – che può considerarsi difensivo verso il secolarismo occidentale. E
molto meno per il buddhismo, eccetto che in quanto religione di stato. Ma gli
stati, salvo i maggiori, stano declinando in rilevanza, e così il patriottismo
cieco disposto a fare qualunque guerra. Ancora problematici sono un Occidente e
degli USA che si considerano troppo superiori, eccezionali, per dialoghi di
civiltà fra uguali. Impareranno; l’alternativa è l’isolamento.
Come i
militari, i mediatori pensano in termini di intenzioni, capacità e circostanze
per tutte le parti, aggiungendo al comportamento violento e atteggiamenti di
astio le incompatibilità fra i loro valori e gli interessi; gli obiettivi, in
breve. La nostra esperienza: non c’è parte senza qualche valore o interesse
legittimo; anche se è in conflitto con quello/i di qualcun altro, i nostri,
per esempio. Si costruisca su quello, creativamente.
La strada
della mediazione passa per la ricerca di qualche minimo cambiamento nella
realtà, cosicché siano ragionevolmente soddisfatti gli obiettivi legittimi di
tutte le parti per dei rapporti migliori; la strada militare spesso passa per
un massimo cambiamento nell’altro contendente – la morte – in modo che cessi il
suo perseguire obiettivi che c’intralciano. I mediatori tentano di
connettere, di arrivare con ponti al buono che c’è su tutti i versanti; la
mentalità militare può cercare di indurre un’inabilitazione nell’altro.
Un problema chiave: i mediatori costruiscono su quanto c’è di valido, di
legittimo in tutti i contendenti, cercando nuovi ponti per cementare rapporti.
Comunque sia, i proiettili militari non sono abbastanza accorti da colpire solo
quel che c’è di cattivo risparmiando il buono; uccidono l’intera persona;
irreversibilmente, tra l’altro. Quindi, se si ritiene indispensabile
qualche violenza, che la si renda non-letale, per favore.
Eppure, più
di recente ci sono stati anche militari frapposti per evitare le uccisioni, per
mantenere la pace. Il peacekeeping accomuna le mentalità
mediatorie e militari, avendo dentro tutte le civiltà. Una grande esperienza
d’apprendimento.
Aggiungere
competenze di polizia, di nonviolenza, di mediazione, alla perizia militare;
renderle così numerose da costituire un tappeto blu fra i contendenti, non solo
berretti blu; al 50 per cento donne, e poi infermieri/e, medici, consegne
alimentari; aggiungere elementi umanitari alla Responsabilità di Proteggere
(R2P). però tutte queste competenze devono essere insegnate e addestrate e
imparate, non sono innate.
Ora, un
secondo sguardo alla formula in considerazione di quanto sopra.
La pace si
basa su rapporti equi, relativamente orizzontali. Un esercito, tradizionalmente
verticale, sa essere bravo in questo? La domanda sottovaluta l’enorme massa di
cooperazione orizzontale militare; fra alleati, fra settori delle varie forze,
fra comandanti allo stesso livello, fra la truppa ordinaria; in crisi reale fra
tutti loro.
La pace si
basa sull’empatia, la comprensione profonda di tute le parti. SunTzu ne faceva
un elemento basilare della mentalità militare; la novità sarebbe la ricerca dei
punti di forza, del buono, anziché delle debolezze, del cattivo, negli altri –
e viceversa per sé per sé stessi. Molto simile.
La pace si
basa sulla riconciliazione, sullo sgombrare il passato, sul costruire un
futuro. L’esperienza recente indica che i veterani su ambo i versanti sono
meglio al riguardo che i politici, condividendo come appariva dall’altro lato,
mettendo in discussione la saggezza della guerra, Avanti, veterani!
La pace si
basa sull’identificazione del conflitto soggiacente, sulla ricerca di soluzioni
anziché l’affrontare, aggredire l’altro lato in una ricerca rabbiosa di
vittoria. Orientamento alle soluzioni anziché alla vittoria, che
peraltro c’è comunque: della pace sulla guerra. I militari di tutti i versanti
potrebbero impegnarsi nel dialogo sui problemi in una ricerca congiunta di
soluzioni anziché in incontri violenti. Il nemico può non essere l’altro lato
bensì l’idea di un nemico. Ci sono divari, ma non insuperabili. È necessaria
dedizione, oltre a competenze e conoscenza, formazione – ben nota ai militari.
L’ONU ha
aperto alla possibilità che la stessa persona indossi due berretti: uno blu
dell’ONU, e l’elmetto del proprio esercito. Generali: siamo per strada.
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