Perfino
Orwell non saprebbe che dire per dar senso a qualche recente comportamento
grottesco di governi leader. Ci aspetteremmo che Orwell fosse
superato in satira dalle azioni USA per imporre penali e sanzioni a funzionari
della Corte Penale Internazionale non perché accusati di agire impropriamente o
sembrare rei di qualche tipo di corruzione ma per aver svolto le proprie
funzioni designate con diligenza ma senza paura.
La loro
presunta malefatta è stata accettare la richiesta di un’indagine sulle
imputazioni di crimini di guerra commessi in Afghanistan da personale militare
ed esperti dell’intelligence delle forze armate USA, da taliban e
da militari afghani. Pareva aldilà di ogni ragionevole dubbio che fosse
avvenuta una serie di crimini di guerra e contro l’umanità in Afghanistan fin
dall’attacco a guida USA finalizzato a un cambiamento di regime nel 2002,
seguito da molti anni di occupazione e continui combattimenti in mezzo a una
popolazione ostile.
Si deve
tener presente che Israele è altrettanto infuriato che la CPI dovesse affermare
l’autorità del suo pubblico ministero, Fatou Bensouda, per indagare nelle
imputazioni palestinesi di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nei
Territori Palestinesi Occupati di Cisgiordania, Est-Gerusalemme e Gaza. Tali
imputazioni comprendono il trasferimento illegale di civili israeliani per
istituire insediamenti nonché strutture amministrative che costituiscono
violazioni alla proibizione penale sull’apartheid. Netanyahu, come il suo
affine a Washington, ha chiesto che la CPI venga assoggettata a sanzioni per
aver sferrato questo ‘pieno attacco frontale’ alla democrazia israeliana e in
certa qual misura al ‘diritto del popolo ebraico a vivere in Israele’. Il primo
ministro israeliano contende che Israele come stato sovrano ha diritto a
difendersi come ritiene, e non debba essere impedito da obblighi di sorta di
rispetto del diritto penale internazionale. Tale pretesa e le pratiche e
politiche abusive seguitene da molti anni equivalgono a una inquietante
affermazione di ciò che ho definito in altra sede ‘geopolitica da gangster’.
La rabbiosa
ripulsa USA non si è peritata di contestare le imputazioni nella loro sostanza,
ma di porre in questione l’autorità giurisdizionale della CPI, attaccando
l’audacia di questo ente internazionale nel supporre di poter indagare e
addirittura perseguire e punire i rappresentanti di uno stato tanto possente da
non poter essere considerato in alcun modo internazionalmente tenuto a
rendiconti di sorta. Quando la CPI stava indagando, e incriminando, solo leader
africani, si sollevavano poche sopracciglia occidentali, ma recentemente quando
la Corte finalmente ha osato trattare ugualmente gli uguali in accordo con la
propria struttura legale — lo Statuto di Roma del 2000 — aveva talmente
oltrepassato i suoi tacili limiti agli occhi di Washington e Tel Aviv da
diventare una malfattrice essa stessa, e con tale logica stravagante, rendere
l’istituzione e i suoi funzionari bersagli legittimi di sanzioni. Questo genere
di ripulsa senza precedenti equivale a un rilevante rigetto del dominio globale
della legge in quanto al crimine internazionale e a un puro tentativo di
rammentare alle istituzioni internazionali che ‘impunità’ e ‘due pesi e due
misure’ restano un’inderogabile norma operativa dell’ordine mondiale.
Parlando per
il governo USA la risposta del segretario di stato, Mike Pompeo, ha ostentato
in modo stupefacente l’hybris divenuta marchio globale USA ben
prima che Donald Trump disonorasse il paese e nuocesse ai popoli del mondo
durante il suo mandato presidenziale. La reazione di Pompeo all’approvazione
unanime della richiesta del procuratore d’indagare nei crimini di guerra in
Afghanistan è stata poco d’altro che cogliere l’occasione per insultare la CPI
descrivendola come «poco più che uno strumento politico impiegato da élite
internazionali irresponsabili». Una tale affermazione varca il confine
dell’assurdità data l’abbondante documentazione dei numerosi crimini USA in Afghanistan
(materia delle rivelazioni WikiLeaks del 2010 di Chelsea
Manning che le sono costate la prigione) e in parecchi ‘siti neri’ di paesi
europei dove vengono sistematicamente torturati e soggetti a stupro sospetti
stranieri. Con buona pace di Pompeo, non sono le ‘élite internazionali’ a
essere irresponsabili bensì le élite nazionali che gestiscono i governi USA e
israeliano.
Il rigetto
di Pompeo è stato un preludio all’emanazione da parte di Trump l’11 giugno di
un ordine esecutivo che estendeva il precedente rifiuto di visto USA a
Bensouda, e minacciava una varietà di mosse sanzionatorie dirette a chiunque
sia collegato alla CPI e alla sua iniziativa, compreso il congelamento dei beni
e la non concessione dei visti, non solo delle persone implicate, ma an che
delle loro famiglie, col risibile pretesto che la prospettata indagine CPI
stesse creando un’emergenza nazionale’ sotto forma di “insolita e
straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli
Stati Uniti”. Ciò prima dell’attuale crisi, Trump aveva detto all’ONU in un suo
discorso del 2018 all’Assemblea Generale che «[…] la CPI non ha giurisdizione,
legittimità né autorità… Non cederemo mai la sovranità dell’America a una
burocrazia globale non eletta e non tenuta a render conto».
Per grezze
che siano le parole e gli atti della manica di Trump, ci sono stati precursori
quasi altrettanto sprezzante, specialmente durante la presidenza di George W.
Bush, una campagna anti-CPI condotta da niente meno che John Bolton, che doveva
diventare il notorio Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, ed è
attualmente suo antagonista a causa del suo libro che pubblicizza una serie di
illeciti di Trump suscettibili di denuncia penale. Ricordiamo che fu Bush a
‘s-firmare ’ lo Statuto di Roma che Bill Clinton aveva firmato per conto degli
USA l’ultimo giorno della sua presidenza, ma alla condizione che il trattato
non si sarebbe dovuto sottoporre al Senato per la ratifica e pertanto non
essere applicabile, finché la CPI non si fosse dimostrata un attore
responsabile con soddisfazione di Washington. Il Congresso intervenne
per assicurarsi che il personale militare USA non venisse accusato di crimini
internazionali sia minacciando un’azione preventive sia entrando in oltre 100
accordi con altri paesi per assicurare immunità alla giurisdizione CPI,
accompagnati dalla minaccia di trattenere aiuti se un governo avesse rifiutato
di concordare tali termini. Hillary Clinton osservò inoltre per qualche anno
che, dato che gli USA erano più presenti globalmente che altri paesi, era
importante essere sicuri che il proprio personale militare non venisse deferito
alla CPI.
In altre
parole, non-obbligo di render conto e due-pesi-e-due-misure hanno radici più
profonde che l’estremo anti-internazionalismo di Trump. Si possono far risalire
utilmente all’approccio ‘giustizia del vincitore’ verso i crimini di guerra
durante la seconda guerra mondiale dove solo i delitti degli sconfitti furono
soggetti a render conto nei tribunali di Norimberga e di Tokyo, cosa peraltro
salutata come gran progresso nonostante le sue pecche – pur profonde
considerato che è sostenibile che l’atto più orripilante durante i quattro anni
di ostilità fossero le bombe atomiche sganciate sulle città giapponesi. Ci sono
dubbi che se Germania o Giappone avessero battuto gli Alleati con la
bomba, usandola contro città britanniche o USA e tuttavia perdendo la
guerra, i responsabili di tali decisioni sarebbero stati tenuti a render conto
e puniti aspramente? Altrettanto
Grave
legalmente per certi versi fu il processo orchestrato dagli USA a Saddam
Hussein e ai suoi più intimi consiglieri per i propri crimini di stato, benché
la guerra del 2003 sia scoppiata per atti di aggressione degli USA e del Regno
Unito, con i crimini conseguenti durante un’occupazione prolungata dell’Iraq.
In altri termini, l’idea di impunità incondizionata per i crimini degli Stati
Uniti è complemento di un’ipocrita tenuta a render conto per i leader dei paesi
sconfitti in guerra dagli USA. Tale ‘eccezionalismo’ dovrebbe urtare la
coscienza di chiunque abbia un senso dei concetti di equità e uguaglianza che
dovrebbero essere valori cardine nell’applicazione del diritto penale
internazionale.
Come ci si
potrebbe aspettare, le ONG mainstream e i Democratici liberal non
sono contenti di tali insulti e gratuiti ceffoni alle
istituzioni internazionali dimostratesi prevalentemente utili nel perseguire le
malefatte di leader non-occidentali, specialmente in Africa. Si deve tener
presente che i paesi africani e i loro dirigenti sono stati i bersagli
pressoché esclusivi delle iniziative CPI durante i suoi primi dieci anni ed è
stato dall’Africa che si sono in precedenza sentite lamentele e minacce di
ritirarsi dal trattato, ma dubito che l’immaginario del comprensibile
dispiacere africano per l’implicito ethos che ‘i crimini
bianchi non contano’ sia mai stato attraversato da idee sanzionatorie verso la
CPI! David Sheffer, il diplomatico a capo della delegazione USA che negoziò lo
Statuto di Roma per conto della presidenza Clinton, ma attento a preservare gli
interessi geopolitici anglo-americani, ha così espresso l’opposizione liberal allo
stile arrogante di ripulsa da parte di Trump: «L’ordine esecutivo [di Trump]
verrà registrato nella storia come un vergognoso atto di paura e ritirata dal
governo della legge».
In tale
denuncia c’è un elemento d’ipocrisia per il mantenimento della storia
d’imposizione unilaterale del diritto penale internazionale precedente a Trump.
Effettivamente fu il presidente repubblicano prima di Trump a fare a cornate con
la CPI qualche anno fa, ma l’ambivalenza del Congresso e dei
Clinton fa parte di una coerente insistenza USA di quel che definirei
‘eccezionalismo negativo’, cioè il diritto di agire a livello internazionale
senza obbligo di renderne conto ma essendo invece severi nei confronti della
responsabilità altrui; impunità per i potenti, rendiconto per i deboli.
Quest’eccezionalismo anglo-americano soleva accompagnarsi a un certo impegno
alla decenza, ai diritti umani, e alla sovranità della legge che mancava
altrove, e poteva servire da catalizzatore per la pace e la giustizia nel
mondo. Tale auto-glorificazione è stata dismessa da tempo all’altare della
geopolitica globale, che fa le regole mentre procede, mostrando disprezzo per i
lacci legali ritenuti adatti per regolamentare gli avversari.
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