é una questione di cui sembra non
occuparsi nessuno eppure è uno dei mali endemici di questo tempo: l’incapacità
di provare empatia permette il proliferare del razzismo, del bigottismo, del
perbenismo, del cattivismo e di molti altri -ismi che continuano a infestare il
nostro presente.
Così
viene facile portare avanti il modello dell’italiano medio che si infastidisce
per il povero o per l’affamato e che crede addirittura di difendere il proprio
Paese. Il problema non è solo l’odio per gli stranieri, no, non è solo quello:
a molti fa schifo la povertà, l’indigenza, ne hanno un terrore atavico e la
allontanano perché sono terrorizzati solo dall’idea di incrociarla per strada.
Come i bambini che strizzano gli occhi per scappare da un momento che faticano
a sopportare questi non vogliono vedere, non vogliono sapere e così riescono
addirittura a trovare maleducato
e sconveniente avere fame, essere schiavi e essere poveri.
È
tutta mancanza di esperienza e di empatia. È una società che ancora si illude
di poter essere nata tra i “non poveri” e di non rischiare mai di finirci.
Eppure sarebbe così diversa la politica, il giornalismo, la socialità, lo stare
insieme se riuscissimo a immaginare cosa significhi avere avuto fame, non avere
i soldi per pensare al giorno successivo, non avere un futuro di sicurezza e di
libertà.
Qualcuno
potrebbe pensare che dovremmo
viverlo per potercene rendere conto eppure augurare una carestia per
poter diventare un popolo migliore non sembra una via fattibile e nemmeno
troppo responsabile.
E
quindi come si empatizza? Studiando, studiando, studiando, leggendo, rimanendo
curiosi, vedendo gli altri, ascoltando gli altri, smettendo di vedere il mondo
dalla nostra unica personale lente d’osservazione. E sarebbe bello che
qualcuno, anche della classe dirigente, avesse il coraggio di dirlo forte e
chiaro, piuttosto che cincischiare per continuare a lisciare i perbenisti.
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