“Di Maio gela la famiglia Regeni: l’ambasciatore rimarrà al Cairo”. Leggo
questa frase lapidaria sul giornale. Il ministro aggiunge anche che l’Italia continuerà a vendere armi all’Egitto perché
se non lo facciamo noi “ci sono altri Paesi che sono pronti a fare lo stesso”,
dice. E dunque e meglio che ci guadagniamo noi italiani invece degli altri.
Così mi viene in mente una frase dei genitori di Giulio.
“Abbiamo visto tutto il male del mondo sul suo corpo. Ma tutto il male del
mondo è anche quello che è attorno a Giulio: omertà, paura, intrighi,
depistaggi”.
Sta scritto nella quarta di copertina di Giulio fa cose, il
libro scritto da loro insieme ad Alessandra Ballerini, l’avvocato.
All’interno è pieno di storie di quel ragazzo cresciuto in una famiglia che
amava viaggiare.
“Ci piace viaggiare perché
ci piace guardare, scoprire” scrivono. E poi, poche righe dopo, “ci piace
scoprire la storia di chi è arrivato prima di noi”.
E bastano queste poche parole per segnare la differenza tra l’idea che
abbiamo del nostro presente e ciò che esso è veramente.
Ci sentiamo al centro del mondo. Abbiamo imparato a conoscere il mondo
sui giornali cercando
le interpretazioni che ci sembravano più corrette. Quando ero ragazzino mi
ricordo di certi adulti che dicevano “leggo l’Unità, ma anche il Corriere,
Repubblica e il Messaggero… perché la verità viene fuori nel confronto tra le
fonti”. Sì, i più intelligenti avevano tre o quattro giornali sotto il braccio.
Poi il confronto hanno cominciato a farlo tra i TG. Tutti sapevano che il primo canale era democristiano, il
secondo socialista e il terzo del PCI. Lo chiamavano Tele Kabul quando c’era
Sandro Curzi.
Qualcuno sentiva le radio. Ma quando ero
ragazzo stavano già diventando tutte ugualmente inutili. Canzonette che si
piazzano nel rumore di fondo. Radio 3 era per i cervelloni, bisognava
concentrarsi. Gli altri canali Rai erano interessanti a singhiozzo. Poi c’erano
le radio nate coi movimenti. A Roma c’era Radio Onda Rossa. E c’è ancora. In
altre città si sentiva Radio Popolare, Radio Onda D’Urto… ma lentamente i
giovani si sono spostati nella rete.
A un certo punto è comparso Beppe Grillo. Anzi: è ri-comparso.
Dopo tanti anni di televisione padronale, di comicità intelligente ma
completamente apolitica, di quella che lo portava nei salotti democristiani…
rieccolo trasformato in una specie di rivoluzionario. Non è mai veramente
scomparso dalla televisione, ma non faceva che ripeterlo. Andava in televisione
a dire che la televisione non lo voleva. E poi ha cominciato a fare politica.
All’inizio io pensavo che voleva dare spazio alle liste civiche, ai comitati di
base. Poi i suoi attivisti sono diventati un partito. Loro lo chiamavano
“movimento”, ma senza dare un giudizio negativo era semplicemente quello che
dice l’art. 49, cioè: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale”.
I 5 stelle volevano raccontare tutto in diretta
streaming. E se non era possibile: gli attivisti riprendevano in video, poi ce lo
mostravano in rete. Anche quando dovevano parlare col Pd mi ricordo che
volevano che ogni singola parola fosse ascoltata in diretta dai loro elettori.
Fu una diretta un po’ triste, ma sembrava che avesse senso. Si incontravano
loro, ma ci stavamo anche noi da casa. Non ci nascondevano nulla.
Hanno preso una valanga di voti e lo streaming è
scomparso. Grillo s’è fatto un blog a parte e Casaleggio non s’è più visto e
sentito. Incontra i suoi ministri, gestisce copyright, ha in mano tutto, ma se
Grillo era il sinonimo dello streaming, lui è il preciso contrario.
E l’informazione che fine ha fatto? Quegli adulti di quaranta anni fa che
leggevano quattro giornali dove stanno? E quelli che facevano la tare
ascoltando tre telegiornali?
Oggi la maggior parte delle persone si informa
con Facebook. Sta col telefono in mano quando monta sull’autobus, quando mangia, appena
si sveglia, poco prima di addormentarsi. Tiene una finestra sempre aperta
quando lavora al tablet o al computer. Le notizie scorrono rapidamente, ogni
tanto apre un link e quasi non si accorge di aver aperto un sito fascista, la
pagina del giornale di qualche padrone, Agnelli o la Confindustria…
eccetera. E poi la democrazia
della rete ci ha regalato la possibilità di commentare. Molto spesso si ha
l’impressione che nessuno legga più nulla, ma tutti scrivono a rotta di
collo. Io mi trovo a scrivere
spesso “mi scusi, ma lei non ha letto l’articolo che sta commentando” e gli
faccio un riassunto. Lo faccio perché alle volte mi capita che un
commentatore astioso si trasformi in uno che ha davvero voglia di confrontarsi.
Ovviamente ci sono ancora quelli che non
commentano. Che leggono per capire e non sentono alcun bisogno di mescolare la
loro voce nel trambusto della rete. Leggono per capire e basta. Come quegli
adulti che compravano quattro giornali e non si sognavano di intavolare una
discussione con Giorgio Bocca o con Pasolini. Leggevano per capire. Come la
famiglia Regeni che viaggiava per “scoprire la storia di chi è arrivato prima
di noi”.
Così mi immagino Paolo Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio. Me li
immagino davanti alle dichiarazioni di Luigi Di Maio.
Il ministro dice che farà di tutto per avere
giustizia, ma le relazioni diplomatiche devono restare cordiali e l’ambasciatore può
stare al suo posto. E per quanto riguarda la vendita di armi a quel paese poco
democratico: è una bazzecola. Non
importa che produrre e vendere armi sia già di per sé una gran porcata. Ma
l’Italia può continuare a venderle anche a un paese che tortura le persone
senza risponderne davanti all’umanità. E tra i torturati c’è stato anche uno
studente italiano.
Io cerco di immaginare il senso di impotenza
della famiglia Regeni davanti al ministro Di Maio, rappresentante di un’entità politica che
doveva essere trasparente, raccontare tutto, parola per parola di qualsiasi
incontro. E invece ha chiuso ogni spiraglio per gli stessi motivi che hanno
blindato i partiti politici di ogni tempo e luogo. Chiusi come la Dc sulle storie di mafia e complotti con gli Usa.
Chiusi come la Lega con i suoi affari di milioni di euro da pagare in comode
rate per i prossimi secoli. Chiusi come i socialisti con le loro bustarelle.
Chiusi come il PCI e il fetore di morte che emanava lo stalinismo.
Io cerco di immaginare il senso di impotenza di
persone che partivano alla scoperta del mondo. Il nonno e il padre di Giulio
arrivarono in Australia per lavoro. E non si sono più fermati. Giulio aveva frequentato il
Collegio del Mondo Unito, parlava
sei lingue e stava imparando la settima. E parlava tanto anche in
dialetto. Era padrone del mondo. Pensava di esserlo. Padrone di un mondo pulito
dove le persone imparano a parlare tante lingue per potersi spiegare meglio,
per potersi conoscere. La maestra
di Giulio s’era anche lamentata coi genitori perché aveva “letto tutto quello
che c’è nella biblioteca della scuola”. Era un problema. E i genitori glielo
dissero. “Giulio perché sai tante cose? La maestra dice che ne sai troppe”.
Io cerco di immaginare la rabbia dei Regeni
davanti alla politica. Alla solita politica. Sempre uguale. Sempre ugualmente chiusa. La
politica che fa i propri affari, gestisce soldi e potere, ma nessuno deve
sapere. Giulio è morto per questo.
Sapeva troppe cose. S’era illuso di poter conoscere il mondo pensando
che appartenesse anche un po’ a lui. E invece no. Il mondo non ci appartiene. Il mondo è dei Conte e dei Di Maio
come un tempo era dei Craxi e degli Andreotti. Come era stato di Togliatti e De
Gasperi, di Mussolini e di Vittorio Emanuele. E quelli che pensano di poterlo conoscere
perché lo leggono sul blog di Grillo o sui quattro giornali che si compravano
quarant’anni fa sono poveri illusi.
Certe volte girano il mondo e, tornando a casa, trovano un paese che li aspetta
e chiede “E allora, questa volta cosa vi è successo”… proprio come succedeva ai
Regeni. Altre volte vanno a sbattere contro gli interessi economici, contro la ragion di Stato. E si fanno male. Tanto male. Male da morire…
proprio come è successo ai Regeni.
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