«Sono morto
come un vietcong»: questo il titolo del breve romanzo-denuncia di Giulia
Spada, per le edizioni Sensibili alle foglie.
Scenari
di guerra quelli che si svelano lentamente, attraverso la vita delle persone
intente a preparare una focaccia al pomodoro che profuma di sole.
Donne
sorprese mentre lavano i panni agli uomini del posto o ai militari, con quelle
divise piene di una polvere strana. Oppure scenari raccontati attraverso gli
occhi di un ragazzino che si spegne piano come una ciminiera silenziosa.
Uomini
e donne che attribuiscono alla terra “malata” le colpe di un male oscuro, una
condanna per non si sa quali colpe, mentre intorno fiorisce la Base militare
che promette lavoro e prosperità.
Che
la Sardegna sia sempre stata terra di conquista lo testimonia in modo
inequivocabile la sua storia. Fra i conquistatori più rapaci e tossici si
annoverano le numerose basi militari presenti nel territorio. Quella del
Salto di Quirra vanta sicuramente un nefasto primato: il Pisq – «Poligono
missilistico sperimentale Interforze salto di Quirra» – è il più grande
poligono d’Europa.
«Settemiladuecento
ettari di terreno, settantacinquemila ettari […] di zone di restrizione dello
spazio aereo e della navigazione. Ecco la geografia della morte. Un’ampia fetta
di territorio che abbraccia tutti i tipi di paesaggio. L’aspra rocciosità della
montagna granitica, la dolcezza delle valli incurvate, l’estensione trasparente
del mare. I carri armati equipaggiati di tutto punto, missili compresi. Come
potrebbe essere altrimenti visto che la nostra terra è calcata da american
boots».
Situata
in una zona poco popolata, questa riserva militare ha una percentuale
spaventosa di leucemie e alterazioni genetiche legate alle esercitazioni e
all’interramento di sostanze pericolosissime per l’uomo e per la natura. È dal
2001 che viene denunciata – e documentata (*) – quella che è conosciuta ormai
con il nome di «Sindrome di Quirra».
Ne
parla in modo doloroso l’autrice, Giulia Spada, attraverso la voce narrante del
padre, professore di una scuola media in un paesino che potrebbe orbitare fra
Perdasdefogu, Escalaplano, San Vito.
Il
professore riflette a lungo sul perpetrarsi di morti continue fra gli studenti
e i loro familiari. Quando poi viene in possesso di una serie di documenti
lasciatigli in eredità dal maestro del paese – morto di leucemia – al fine di
testimoniare le innumerevoli morti per «mancanza di globuli rossi» che, nei
paesi vicini al Poligono, si sgranano come i semi di un rosario, sa che dovrà
raccoglierne in pieno il testimone, sino alle estreme conseguenze.
Bella
figura quella del professore, piena di umanità, attento alle storie dei suoi ex
studenti, soprattutto di quelli che sono finiti intrappolati nella Base
militare – dove il lavoro si scambia inconsapevolmente con la salute – con le
evidenze di morte a denunciare l’incompatibilità fra le attività della
popolazione e le continue attività di guerra che nel Poligono si svolgono.
Con
orrore, il professore scopre che la sua scuola è fiorita sopra fusti di napalm
interrato e non riesce a rassegnarsi all’omertà che circonda la malattia
diffusa.
«Le
donne del paese preparano caffè con napalm e acqua. Le famiglie impastano il
pane con farina e acqua e napalm. I pastori hanno le ossa fluorescenti, gli
agnelli hanno due teste, le persone muoiono di leucemia perché respirano uranio
e calpestano napalm».
Ma
da dove è arrivato il napalm nell’Isola? Quest’arma chimica che tanta morte ha
seminato in Vietnam…
«Abbiamo
un problema con il materiale, signore […]».
«Parli
sergente non perda tempo».
«Gli
ultimi fusti arrivati si sono rivelati fragili a un controllo […]».
«Ebbene
questo implica che la tenuta non è sicura è che i ragazzi potrebbero essere in
pericolo se li maneggiano senza protezione alcuna, insomma il napalm potrebbe
fuoriuscire e non sappiamo cosa possa succedere».
«Ho
capito sergente, che alternative abbiamo? […]».
«Ci
sarebbe una soluzione signore».
«Quale
sergente?».
«Beh,
potremmo preparare una spedizione segreta e farli interrare nel nostro Poligono
più lontano».
«Quello
sull’Isola» dissero i due.
«Molto
bene sergente, dia disposizioni affinchè la spedizione abbia priorità
immediata. Che un aereo sia pronto in venti minuti, seguirò le operazioni
personalmente. Comunichi lei le nostre decisioni e si preoccupi che il
contenuto della telefonata e della nostra conversazione smetta di esistere dal
momento in cui mette giù la cornetta».
Tante,
troppe le evidenze di una morte che passeggia fra la gente poggiandosi sulle
loro spalle, sino a ghermirle affondando nelle vene la leucemia.
Incontrovertibili le omissioni, i tentativi di mettere a tacere le
responsabilità delle gerarchie militari.
«I dottori della base fingevano sorpresa.
Mangiano bene qui da noi, dicevano. Fanno attività fisica, due o tre ore
almeno, tutte le mattine […]».
E a ogni “che strano” preannunciato da questi servi della morte,
un assegno veniva staccato in tutta fretta e penne svolazzanti sparavano numeri
con zeri a ripetizione […].Un figlio morto, tre zeri. Due figli morti, sei
zeri. E chi li aveva mai visti tutti quei soldi!».
Trovare
qualcuno che parli, dentro la Base, è ciò che si propone allora il professore:
cerca il numero di un suo vecchio studente ma il telefono rimarrà muto per
lungo tempo. Si incontreranno poi dove nessuno dei due avrebbe mai voluto
essere, nel luogo in cui si trovano coloro che hanno il tempo contingentato.
La
storia non si conclude: ha trovato in Giulia e in tanti altri/e la volontà di
denunciare perché non accada più. Questo piccolo libro prezioso che si lascia
leggere facilmente è un libro che merita di essere diffuso anche nelle scuole;
i giovani cui tanto teneva il professore possono essere coloro che, prendendo
in mano il loro destino, si faranno difensori della loro terra e della salute
anche per le generazioni che verranno.
Per
farlo però bisogna conoscere, è necessario essere consapevoli che la Sardegna è
una «graziosa pattumiera per mercanti di cannoni»: lo denunciava anche un
approfondito reportage di Radio France – citando il “Comitato scienziate/i
contro la guerra” (del 2005) – trasmesso lo scorso febbraio, nel quale si
definisce lo scempio compiuto nell’isola «Il male invisibile sempre più
visibile, la presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali».
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