giovedì 30 luglio 2020

La Sardegna dei militari e dei veleni - recensione di Daniela Pia



«Sono morto come un vietcong»: questo il titolo del breve romanzo-denuncia di Giulia Spada, per le edizioni Sensibili alle foglie.
Scenari di guerra quelli che si svelano lentamente, attraverso la vita delle persone intente a preparare una focaccia al pomodoro che profuma di sole.
Donne sorprese mentre lavano i panni agli uomini del posto o ai militari, con quelle divise piene di una polvere strana. Oppure scenari raccontati attraverso gli occhi di un ragazzino che si spegne piano come una ciminiera silenziosa. 
Uomini e donne che attribuiscono alla terra “malata” le colpe di un male oscuro, una condanna per non si sa quali colpe, mentre intorno fiorisce la Base militare che promette lavoro e prosperità.
Che la Sardegna sia sempre stata terra di conquista lo testimonia in modo inequivocabile la sua storia. Fra i conquistatori più rapaci e tossici si annoverano le numerose  basi militari presenti nel territorio. Quella del Salto di Quirra vanta sicuramente un nefasto primato: il Pisq – «Poligono missilistico sperimentale Interforze salto di Quirra» – è il più grande poligono d’Europa.
«Settemiladuecento ettari di terreno, settantacinquemila ettari […] di zone di restrizione dello spazio aereo e della navigazione. Ecco la geografia della morte. Un’ampia fetta di territorio che abbraccia tutti i tipi di paesaggio. L’aspra rocciosità della montagna granitica, la dolcezza delle valli incurvate, l’estensione trasparente del mare. I carri armati equipaggiati di tutto punto, missili compresi. Come potrebbe essere altrimenti visto che la nostra terra è calcata da american boots».
Situata in una zona poco popolata, questa riserva militare ha una percentuale spaventosa di leucemie e alterazioni genetiche legate alle esercitazioni e all’interramento di sostanze pericolosissime per l’uomo e per la natura. È dal 2001 che viene denunciata – e documentata (*) – quella che è conosciuta ormai con il nome di «Sindrome di Quirra».
Ne parla in modo doloroso l’autrice, Giulia Spada, attraverso la voce narrante del padre, professore di una scuola media in un paesino che potrebbe orbitare fra Perdasdefogu, Escalaplano, San Vito.
Il professore riflette a lungo sul perpetrarsi di morti continue fra gli studenti e i loro familiari. Quando poi viene in possesso di una serie di documenti lasciatigli in eredità dal maestro del paese – morto di leucemia – al fine di testimoniare le innumerevoli morti per «mancanza di globuli rossi» che, nei paesi vicini al Poligono, si sgranano come i semi di un rosario, sa che dovrà raccoglierne in pieno il testimone, sino alle estreme conseguenze.
Bella figura quella del professore, piena di umanità, attento alle storie dei suoi ex studenti, soprattutto di quelli che sono finiti intrappolati nella Base militare – dove il lavoro si scambia inconsapevolmente con la salute – con le evidenze di morte a denunciare l’incompatibilità fra le attività della popolazione e le continue attività di guerra che nel Poligono si svolgono.
Con orrore, il professore scopre che la sua scuola è fiorita sopra fusti di napalm interrato e non riesce a rassegnarsi all’omertà che circonda la malattia diffusa.
«Le donne del paese preparano caffè con napalm e acqua. Le famiglie impastano il pane con farina e acqua e napalm. I pastori hanno le ossa fluorescenti, gli agnelli hanno due teste, le persone muoiono di leucemia perché respirano uranio e calpestano napalm». 
Ma da dove è arrivato il napalm nell’Isola? Quest’arma chimica che tanta morte ha seminato in Vietnam…
«Abbiamo un problema con il materiale, signore […]».
«Parli sergente non perda tempo».
«Gli ultimi fusti arrivati si sono rivelati fragili a un controllo […]».
«Ebbene questo implica che la tenuta non è sicura è che i ragazzi potrebbero essere in pericolo se li maneggiano senza protezione alcuna, insomma il napalm potrebbe fuoriuscire e non sappiamo cosa possa succedere».
«Ho capito sergente, che alternative abbiamo? […]».
«Ci sarebbe una soluzione signore».
«Quale sergente?».
«Beh, potremmo preparare una spedizione segreta e farli interrare nel nostro Poligono più lontano».
«Quello sull’Isola» dissero i due.
«Molto bene sergente, dia disposizioni affinchè la spedizione abbia priorità immediata. Che un aereo sia pronto in venti minuti, seguirò le operazioni personalmente. Comunichi lei le nostre decisioni e si preoccupi che il contenuto della telefonata e della nostra conversazione smetta di esistere dal momento in cui mette giù la cornetta».
Tante, troppe le evidenze di una morte che passeggia fra la gente poggiandosi sulle loro spalle, sino a ghermirle affondando nelle vene la leucemia. Incontrovertibili le omissioni, i tentativi di mettere a tacere le responsabilità delle gerarchie militari.
«I dottori della base fingevano sorpresa. Mangiano bene qui da noi, dicevano. Fanno attività fisica, due o tre ore almeno, tutte le mattine […]».
E a ogni “che strano” preannunciato da questi servi della morte, un assegno veniva staccato in tutta fretta e penne svolazzanti sparavano numeri con zeri a ripetizione […].Un figlio morto, tre zeri. Due figli morti, sei zeri. E chi li aveva mai visti tutti quei soldi!».
Trovare qualcuno che parli, dentro la Base, è ciò che si propone allora il professore: cerca il numero di un suo vecchio studente ma il telefono rimarrà muto per lungo tempo. Si incontreranno poi dove nessuno dei due avrebbe mai voluto essere, nel luogo in cui si trovano coloro che hanno il tempo contingentato.
La storia non si conclude: ha trovato in Giulia e in tanti altri/e la volontà di denunciare perché non accada più. Questo piccolo libro prezioso che si lascia leggere facilmente è un libro che merita di essere diffuso anche nelle scuole; i giovani cui tanto teneva il professore possono essere coloro che, prendendo in mano il loro destino, si faranno difensori della loro terra e della salute anche per le generazioni che verranno. 
Per farlo però bisogna conoscere, è necessario essere consapevoli che la Sardegna è una «graziosa pattumiera per mercanti di cannoni»: lo denunciava anche un approfondito reportage di Radio France – citando il “Comitato scienziate/i contro la guerra” (del 2005) – trasmesso lo scorso febbraio, nel quale si definisce lo scempio compiuto nell’isola «Il male invisibile sempre più visibile, la presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali».

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