(Gennaro Avallone intervista Raj
Patel)
Il mondo è
in movimento e la crisi connessa al Covid-19 ne sta accelerando le
trasformazioni. La direzione del cambiamento non è chiara e mentre sono
evidenti le disuguaglianze che crescono lo sono anche i conflitti e i movimenti
sociali che cercano di costruire giustizia ecologica e giustizia sociale,
necessariamente in maniera contemporanea. La crisi in corso ha confermato, se
ce ne fosse ancora bisogno, a livello generale che società e natura non sono
due entità separabili, ma vivono insieme. Raj Patel, studioso dei sistemi
alimentari, docente all’Università del Texas – autore di numerose opere, tra le
quali Il valore delle cose, I padroni del cibo e Una storia
del mondo a buon mercato. Guida radicale agli inganni del capitalismo,
firmato insieme a Jason W. Moore (tutte edite da Feltrinelli, ndr)
– e attivista, ci aiuta a capire questa connessione e anche le possibili vie di
uscita democratiche e giuste da una crisi che, altrimenti, peggiorerà in
maniera ulteriore disuguaglianze, condizioni di lavoro e processi di
appropriazione ed estrazione della natura.
L’attuale
pandemia è chiaramente una crisi socio-ecologica che evidenzia come la natura
umana e la natura extra-umana siano interconnesse in un unico mondo. Dal punto
di vista di una critica al modo in cui sono improntate le relazioni tra società
e ecologia, che ha sviluppato nel volume scritto con Jason Moore, come possiamo
interpretare la vicenda? È d’accordo sul fatto che questa crisi rappresenti
un’accelerazione delle precedenti scelte politiche in materia sociale e
ecologica?
La crisi è
un risultato del tutto prevedibile. Gli epidemiologi stanno lanciando da anni
l’allarme sul pericolo rappresentato dalle malattie zoonotiche. Persino Bill
Gates ha giocato il ruolo di Cassandra sul palco del Ted. Questa ecologia-mondo
è sempre stata vulnerabile: una vulnerabilità che ora è stata messa chiaramente
a nudo. Ovviamente la malattia non può essere separata dal contesto
socio-ecologico in cui essa si manifesta. Il lockdown ha visto
diminuire la velocità di alcuni ritmi di estrazione e combustione, ad esempio
nel settore aereo. Ma, nel tentativo di tornare alla normalità, molti governi
hanno concesso ai capitalisti la licenza di abbandonare i limiti socialmente
imposti al loro comportamento. I diritti di contrattazione collettiva sono
stati sospesi e le protezioni ambientali annullate. Tali violazioni possono
essere realizzate scommettendo sul fatto che la popolazione potrà consentirlo.
Come ha affermato il Financial Times: «alla Morte Nera è stato spesso attribuito
il merito di avere trasformato i rapporti di lavoro in Europa. I contadini,
ormai scarsi, potevano contrattare per condizioni e termini migliori; i salari
iniziarono ad aumentare con i signori feudali in competizione per i lavoratori.
Fortunatamente abbiamo un tasso di mortalità molto più basso e ciò significa
che è piuttosto improbabile che una simile trasformazione seguirà il
coronavirus».
Lei vive
negli Stati Uniti, un paese che secondo quanto dimostrato dai dati dispone di
un sistema sanitario pubblico molto debole, che riproduce le disparità razziali
e di classe anche di fronte alla morte. Può essere molto utile per i lettori
italiani capire se esiste una dinamica necropolitica negli Usa anche riguardo
al coronavirus e come i movimenti di solidarietà e di base stanno agendo contro
la diffusione della pandemia a fronte di questa debolezza del sistema sanitario
e sociale federale.
Vivo in
Texas, l’unico Stato degli Usa che ha combattuto due volte in difesa della
schiavitù: una volta nella Guerra civile e prima ancora nella guerra del 1835
contro il Messico. Le decisioni su chi vive e chi muore qui sono sempre state
prese in base alle linee della razza, della classe e del colonialismo. Se si
guarda alla mappa attuale della diffusione dei casi di Covid si possono
rintracciare le contee dove vigeva la schiavitù nel 1860 e le aree dove è
presente nella popolazione un alto numero di nativi americani e latinos. Allo
stesso modo, si può guardare all’apertura degli hotspot per la pandemia nelle
città che hanno seguito in modo più zelante i principi dell’ultraliberismo. Ad
esempio qui ad Austin, città per altro considerata come una bolla liberale in
uno Stato conservatore, sono le comunità di persone di colore e le famiglie a
basso reddito che sono state colpite più duramente. Questa è la necropolitica
del liberismo al lavoro.
Oggi stiamo
vivendo una nuova pandemia dopo circa un secolo dall’ultima. Questo è vero per
il mondo occidentale, ma, in realtà, non lo è per altre aree, come Cina, Corea,
Medio Oriente, Africa. Anche di fronte a questa crisi stiamo riproducendo una
visione etnocentrica occidentale?
In un certo
senso questo è simile a quanto era già accaduto in passato con altre pandemie.
Nel 1918-19, gli indiani furono sacrificati dagli inglesi per mantenere inalterata
la fornitura di grano all’Europa. Il bilancio delle vittime in India fu di 12
milioni di morti e turbò solo leggermente la stampa britannica, sebbene quella
vicenda alimentasse il movimento per l’indipendenza indiana. Oggi, negli Stati
Uniti, il governo sta chiedendo alla classe operaia, sia all’intero del paese
che in Messico di sacrificarsi per l’economia, nonostante la resistenza dei
lavoratori su entrambi i lati del confine. Le somiglianze tra le due epoche
sono facili da cogliere. C’è ben poco di nuovo nello sciovinismo sul ruolo dei
lavoratori essenziali, siano essi immigrati che lavorano nel sistema
alimentare, addetti all’assistenza e alla cura (in larga maggioranza donne) o
classe operaia.
Che tipo di
scenario futuro immagina per la transizione dall’attuale fase di confinamento e
crisi? Pensa vi siano possibilità per un’uscita di tipo eco-socialista da
questa situazione, nel segno di una democratizzazione e demercificazione del
lavoro, come proposto dall’appello «Democratizing Work» di cui è stato uno dei firmatari accanto a
più di cinquemila ricercatori e ricercatrici (pubblicato in Italia dal
manifesto)?
Antonio
Gramsci ha reso popolare l’idea del pessimismo dell’intelligenza e
dell’ottimismo della volontà. Al momento, i governi stanno cercando
disperatamente di rianimare l’ordine liberale. L’indice di borsa Standard &
Poor’s 500, noto come S&P 500, il barometro emotivo dei ricchi, è già
tornato ai livelli di gennaio. La fiducia che il vecchio ordine tornerà è stata
«apprezzata». Ma si tratta del pensiero magico che guarda all’economia di
gennaio e all’economia di giugno e desidera eliminare il collasso dei settori
dei viaggi, dell’intrattenimento e delle arti e dei livelli di disoccupazione,
povertà e fame che si registrano ora e che sono paragonabili all’era della
Grande Depressione. È in questa contraddizione, e nella solidarietà come nelle
dinamiche organizzative che si propagano attraverso di essa, che c’è spazio per
l’ottimismo della volontà. A New York, il cibo gratuito è disponibile
attraverso il sistema scolastico per chiunque lo desideri: è stato
demercificato, non importa se solo per un breve lasso di tempo. In altre
economie, i lavoratori vengono pagati per prendersi cura delle loro famiglie.
L’assistenza all’infanzia è ora gratuita in Australia. Sebbene concesse
semplicemente come misure tampone, migliaia di miliardi di dollari di
intervento pubblico hanno mostrato che non sono necessariamente vere le
affermazioni secondo cui i governi non possono permettersi di rimodellare il
nostro futuro. La domanda da porsi è: sotto la forza di quale guida continuerà
questa riconfigurazione?
Secondo la
sua analisi, qual è la relazione tra la crisi socio-ecologica in atto negli
Stati Uniti e le rivolte contro la violenza della polizia e le discriminazioni
sociali e razziali che si stanno registrando dopo la morte per mano degli
agenti di George Floyd?
Si pensi ad
un paese che nasce attraverso il genocidio delle nazioni già presenti su quella
terra. Poi, si pensi che questo paese richieda persone ridotte in schiavitù per
lavorare le vaste proprietà terriere che i coloni si sono assicurate. Si pensi,
quindi, che questa popolazione schiavizzata ottenga diritti ridotti, ma che
questa proposta di uguaglianza sia così sgradevole per i coloni tanto da
combattere una guerra civile. Quindi, si pensi che mentre la Costituzione viene
modificata per impedire a un gruppo di persone di possederne un altro, nessun
ulteriore cambiamento serio venga intrapreso. La redistribuzione per gli ex
schiavi è limitata. I diritti sono costantemente ridotti. Il potere dei grandi
proprietari terrieri continua a essere concentrato. Alla polizia, da sempre
agente del capitale, della proprietà e della supremazia razziale, è permesso
acquistare gli armamenti usati dal più grande esercito del mondo. Quella forza
di polizia serve a proteggere gli oleodotti, le fabbriche inquinanti, gli
impianti di confezionamento delle carni, i centri di distribuzione, gli affari
di coloro che hanno sempre perpetuato la crisi ecologica e che l’hanno scritta
sui corpi dei poveri, dei discendenti degli schiavi e delle nazioni sfollate,
degli immigrati portati nel paese per servire i ricchi. Le forze dello Stato
sono sempre state le garanti dell’ordine che ha condotto a questa crisi
socio-ecologica – esse erano presenti al genocidio dei nativi americani; erano
lì per imporre la schiavitù; erano lì per consentire l’inquinamento, lo
sfruttamento, la fame e la povertà, perché erano lì per far rispettare
l’ordine. Come ha affermato lo storico caraibico C. L. R. James, «quando la
storia è scritta come dovrebbe essere scritta, sono la moderazione e la lunga
pazienza delle masse delle quali gli uomini si meravigliano, non la loro
ferocia».
Nessun commento:
Posta un commento