C’è un quadro di Klee che s’intitola
Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da
qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le
ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso
rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola
catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi
piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto.
Ma una tempesta che spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali,
ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge
irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle
rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è
questa tempesta. (W. Benjamin, Angelus Novus)
Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee.
L’attesa perpetuamente insoddisfatta della salvezza… un’attesa in cui l’essere
umano è trascinato dal tempo e dal progresso, lasciando alle spalle le
tragedie e gli orrori di cui i dominanti sono stati capaci, seminando morte e
distruzione ovunque. Redimere questi orrori, cioé dare senso e rendere giustizia alle vittime,
non è un compito che viene assunto e garantito dalla divinità o dalla storia
dell’umanità. Le macerie della storia restano mute, non trovano
giustificazione… la storia dell’umanità è rimasta storia di sangue e morte.
Così l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo)
lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a
sé, per garantire a esse un significato di qualche tipo. Per Walter
Benjamin l’unica redenzione possibile è nella memoria: solo serbando il
ricordo delle vittime, testimoniando della loro dipartita, dell’insensatezza
della loro sconfitta e delle loro sofferenze, si può interrompere il giogo del
“tempo mitico” dei vincitori, ovvero della storia ufficiale e del suo
incontrovertibile “dato di fatto”.
1. Già nel 1928, nel libro Strada a senso unico, Walter
Benjamin denunciava l’idea di dominio della natura come discorso “imperialista”
e proponeva una nuova concezione della tecnologia come “padronanza dei rapporti
tra natura e umanità”. Come nei suoi scritti degli anni ’30, di cui parleremo
più avanti, si riferisce alle pratiche delle culture premoderne per criticare
la distruttiva “avidità” della società borghese nel suo rapporto con la natura:
“Le più antiche usanze dei popoli sembrano fare appello a noi come monito:
guardarsi dal gesto dell’avidità quando si tratta di accettare ciò che abbiamo
ricevuto così abbondantemente dalla natura”. Dovremmo “mostrare profondo
rispetto” per “madre terra”; se un giorno “la società, sotto l’effetto
dell’angoscia e dell’avidità, viene distorta al punto da ricevere solo
attraverso il furto i doni della natura, […] il suo suolo si impoverirà e la
terra darà cattivi raccolti”. Sembra che quel giorno sia arrivato …
2. In questo lavoro troviamo anche, sotto il titolo “Allarme incendio“,
una premonizione storica delle minacce di progresso, intimamente associate allo
sviluppo tecnologico guidato dal capitale: se il rovesciamento della borghesia
da parte del proletariato “non si compie prima di un quasi momento calcolabile
nell’evoluzione tecnica e scientifica (indicata dall’inflazione e dalla guerra
chimica), tutto è perduto. Occorre tagliare la miccia acceso prima che la
scintilla colpisca la dinamite”1. Benjamin si sbagliava sull’inflazione, ma non
sulla guerra, anche se non poteva prevedere che l’arma “chimica”, cioè i gas
letali, non sarebbero stata usati solo sui campi di battaglia, come nella prima
guerra mondiale [e nella colonizzazione anche dai militari italiani2], ma per
lo sterminio industriale di ebrei e zingari [comunisti, anarchici, gay,
dissidenti in genere]. A differenza del volgare marxismo evoluzionista, Benjamin
non concepisce la rivoluzione come il risultato naturale o inevitabile del
progresso economico e tecnico (o della contraddizione tra forze e rapporti di
produzione), ma come l’interruzione di un’evoluzione storica che porta alla
catastrofe. L’allegoria della rivoluzione come “freno di emergenza” è già
suggerita in questo brano.
3. È perché percepisce questo pericolo catastrofico che Benjamin, nel suo
articolo sul surrealismo del 1929, afferma di essere pessimista, di un pessimismo
rivoluzionario che non ha nulla a che fare con la rassegnazione
fatalista, e ancor meno con il Kulturpessimismus tedesco,
conservatore, reazionario e pre-fascista (Carl Schmitt, Oswald Spengler,
Moeller Van der Bruck): il pessimismo è qui al servizio dell’emancipazione
delle classi oppresse. La sua preoccupazione non è il “declino” delle élite, o
della nazione, ma le minacce all’umanità poste dal progresso tecnico ed
economico promosso dal capitalismo. La filosofia pessimistica della storia di
Benjamin, in questo saggio del 1929, è particolarmente evidente nella sua
visione del futuro europeo:
“Pessimismo su tutta la linea. Sì, certo e totalmente. Sfiducia nel destino
della letteratura, sfiducia nel destino della libertà, sfiducia nel destino
dell’uomo europeo, ma soprattutto tre volte sfiducia di fronte a qualsiasi
accomodamento: tra classi, tra popoli, tra individui. E solo una fiducia
illimitata nella I.G. Farben e nello sviluppo pacifico della Luftwaffe”3.
4. Questo sguardo lucido e critico permette a Benjamin di percepire – in
modo intuitivo ma con una strana acutezza – le catastrofi che attendevano
l’Europa, riassunte perfettamente dalla frase ironica sulla “fiducia
illimitata”. Naturalmente anche lui, il più pessimista di tutti, non poteva
prevedere la distruzione che la Luftwaffe avrebbe inflitto alle città e ai
civili europei; tanto meno poteva immaginare che la I.G. Farben, appena una
dozzina di anni dopo, si sarebbe distinto per la produzione del gas Zyklon B
utilizzato per “razionalizzare” il genocidio, né per il fatto che le sue
fabbriche avrebbero impiegato, a centinaia di migliaia, la forza lavoro dei campi
di concentramento. Tuttavia, unico tra tutti i pensatori e leader
marxisti di quegli anni, Benjamin ebbe una premonizione dei mostruosi disastri
che avrebbero potuto dare origine alla civiltà industriale / borghese in crisi.
5. Se Benjamin rifiuta le dottrine dell’inevitabile progresso, offre
comunque un’alternativa radicale al disastro imminente: l’utopia
rivoluzionaria. Le utopie, i sogni di un futuro diverso, nascono, scrive a
Parigi, capitale del XIX secolo (1935), in intima associazione con
elementi di una storia arcaica (Urgeschichte), “cioè una società senza classi”
primitiva. Depositate nell’inconscio collettivo, queste esperienze del passato,
“in relazione reciproca con il nuovo, danno vita all’utopia”.
6. Nel suo saggio del 1935 su Bachofen, un antropologo svizzero del
diciannovesimo secolo noto per le sue ricerche sul matriarcato,
Benjamin sviluppa questo riferimento alla preistoria in modo più concreto. Se
il lavoro di Bachofen ha così affascinato marxisti come Friedrich Engels e
anarchici come ÉliséeReclus, è attraverso la sua “evocazione di una società
comunista agli albori della storia”, una società senza classi, democratica ed
egualitaria, con forme di comunismo primitivo che significava un vero e proprio
“sconvolgimento del concetto di autorità”4.
7. Le società arcaiche sono anche quelle di maggiore armonia tra gli esseri
umani e la natura. Nel Passagenwerk, il suo libro incompiuto sui
passaggi parigini, si oppone ancora, nella forma più energica, alle pratiche di
“dominio” o “sfruttamento” della natura da parte delle società moderne. Ancora
una volta rende omaggio a Bachofen per aver dimostrato che la “concezione
omicida (mörderisch) dello sfruttamento della natura”, una concezione
capitalista / moderna predominante dal diciannovesimo secolo, non esisteva
nelle società matriarcali del passato, dove la natura era vista come una “madre
generosa” (schenkenden Mutter) 5.
8. Non si tratta per Benjamin – né per Engels o Élisée Reclus – di
tornare al passato preistorico, ma offrire la prospettiva di una nuova armonia
tra società e ambiente naturale. Il pensatore che per lui incarna questa
promessa di una futura riconciliazione con la natura è l’utopista socialista
Charles Fourier. È solo in una società socialista, in cui la produzione cessa
di essere basata sullo sfruttamento del lavoro umano, che “il lavoro perderà il
suo carattere di sfruttamento della natura da parte dell’uomo. Seguirà poi il
modello del gioco infantile, che nell’opera di Fourier è alla base del “lavoro
appassionato” degli “armonici”. […] Tale lavoro, svolto nello spirito del
gioco, non è finalizzato alla produzione di valori ma al miglioramento della
natura. […] Una terra coltivata secondo questa immagine […] sarebbe un luogo
dove l’azione è sorella dei sogni ”6.
9. Nelle Tesi sul concetto di storia, il suo testamento
filosofico, scritto nel 1940, Benjamin torna ancora una volta a Fourier, questo
utopista visionario che sognava “una forma di lavoro che, lungi dallo sfruttare
la natura, [cioè] in grado di far nascere a creazioni virtuali che giacciono
assopite al suo interno ”, fantasticherie la cui espressione poetica risiede
nelle sue“ fantastiche immaginazioni ”, appunto piene di “sorprendente buon
senso ”. Ciò non significa che l’autore delle Tesi voglia sostituire il
marxismo con il socialismo utopico: considera Fourier come un
complemento di Marx, e nella stessa Tesi XI si tratta della discrepanza tra
le osservazioni di Marx sulla natura. e il conformismo del programma
socialdemocratico di Gotha. Per il positivismo socialdemocratico, rappresentato
da questo programma, così come dagli scritti dell’ideologo Joseph Dietzgen, “il
lavoro mira allo sfruttamento della natura, sfruttamento che si contrappone con
ingenua soddisfazione a quello del proletariato”. È, in questo tipo di
ideologia, un “approccio alla natura che rompe con le utopie di prima del
1848”, un ovvio riferimento a Fourier. Peggio ancora, per il suo culto del
progresso tecnico e il suo disprezzo per la natura, “offerto gratuitamente”
secondo Dietzgen, questo discorso positivista “presenta già i tratti
tecnocratici che si incontreranno più tardi nel fascismo”7.
10. Troviamo nelle Tesi del 1940 una “corrispondenza” – nel senso che
Baudelaire dà a questo termine nel suo poema Le corrispondenze – tra teologia e
politica: tra il paradiso perduto da cui ci allontana la tempesta che chiamiamo
“progresso” e la società senza classi all’alba della storia, così come tra
l’era messianica del futuro e la nuova società senza classi del socialismo
[allusione al commento di WB al dipinto Angelus Novus di P. Klee]. Come fermare
la catastrofe permanente, l’accumulo di rovine “verso il cielo”, che risulta
dal “progresso” (Tesi IX)? Anche in questo caso, la risposta di Benjamin è sia
religiosa che laica: è il compito del Messia, il cui “corrispondente” secolare
non è altro che la rivoluzione. L’interruzione messianica / rivoluzionaria
del progresso, quindi, è la risposta di Benjamin alle minacce poste
all’umanità dalla continuazione della tempesta diabolica e dall’imminenza di
nuove catastrofi. Siamo nel 1940, pochi mesi prima dell’inizio della “soluzione
finale”.
11. Nelle Tesi sul concetto di storia, Benjamin fa spesso riferimento a
Marx, ma su un punto importante prende una distanza critica dall’autore del
Capitale: “Marx ha detto che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia
globale. Forse le cose sono diverse. Le rivoluzioni possono essere
l’atto con cui l’umanità che viaggia sul treno tira il “freno di emergenza”.
Implicitamente, l’immagine suggerisce che se l’umanità consentirà al treno di
seguire il suo percorso – già segnato dalla struttura in acciaio delle rotaie –
e nulla impedisce il suo progresso, precipiteremo direttamente nel disastro, o
nell’abisso del disastro.
12. Tuttavia, anche Walter Benjamin, il più pessimista dei marxisti, non
poteva prevedere come il processo di sfruttamento capitalistico e di dominio
della natura – e la sua copia burocratica nei paesi dell’Est prima della caduta
del Muro – avrebbe portato a conseguenze disastrose per tutti umanità.
13. Stiamo assistendo, all’inizio del ventunesimo secolo, a un
“progresso” sempre più rapido del treno della civiltà capitalista verso un
abisso che si chiama catastrofe ecologica, e che ha nel cambiamento climatico
la sua espressione più drammatica. È importante tenere conto della
crescente accelerazione del treno, della velocità vertiginosa con cui si sta
avvicinando al disastro. In effetti, il disastro è già iniziato, e siamo in una
corsa contro il tempo per cercare di prevenire, contenere, fermare questa corsa
precipitosa, il cui risultato sarà l’innalzamento della temperatura del
pianeta, con conseguenze (tra le altre) la desertificazione di immensi
territori, l’innalzamento del livello del mare, la scomparsa sotto l’oceano di
grandi città marittime: Venezia, Amsterdam, Hong-Kong, Rio de Janeiro.
14. È necessaria una rivoluzione, scriveva Benjamin, per rallentare
questa corsa. Ban-Ki-Moon, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, che non
è affatto un rivoluzionario, di recente (Le Monde del 5 settembre 2009) ha
fatto la seguente diagnosi: “Noi – questo “noi” si riferisce senza dubbio ai
governi del pianeta – abbiamo il piede incollato all’acceleratore e corriamo
verso il baratro”.
15. Walter Benjamin ha definito una “tempesta” il progresso
distruttivo che accumula catastrofi. La stessa parola, “tempesta”, appare
nel titolo, che sembra essere ispirato da Benjamin, nell’ultimo libro di James
Hansen, il climatologo della NASA negli Stati Uniti e uno dei maggiori
specialisti del cambiamento climatico al mondo. Il libro, pubblicato nel 2009,
si chiama Storms of my grand children. In italiano Tempeste. Il
clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire, (edizioni
ambiente). Anche Hansen non è un rivoluzionario, ma la sua analisi della
“tempesta” – che per lui, come per Benjamin, è l’immagine di qualcosa di molto
più minaccioso – è straordinariamente lucida.
16. Ci si può aspettare poco dai governi di tutto il mondo, con
poche rare eccezioni. L’unica speranza sta nei veri movimenti sociali. Tra
questi ultimi, uno dei più importanti oggi è quello delle comunità indigene,
soprattutto in America Latina. Dopo il fallimento della conferenza delle
Nazioni Unite sul clima a Copenaghen, il presidente Evo Morales – che si è
schierato in solidarietà con le proteste di piazza nella capitale danese – ha
convocato nel 2010 a Cochabamba, in Bolivia, la Conferenza internazionale dei
popoli contro il cambiamento climatico e in difesa della Pachamama, “Madre Terra”.
Le risoluzioni adottate a Cochabamba corrispondono, quasi parola per parola,
all’argomento di Benjamin sul trattamento criminale della natura da parte della
civiltà capitalista occidentale, mentre le comunità tradizionali la vedono come
una “madre generosa”.
17 Walter Benjamin era un profeta, cioè non uno che pretende
di prevedere il futuro, come l’oracolo greco, ma nel senso dell’Antico
Testamento: colui che attira l’attenzione della gente sulle minacce future. Le
sue previsioni sono condizionate: ecco cosa accadrà, a meno che … a meno che …
Nessun destino: il futuro resta aperto. Come afferma la Tesi XVIII sul concetto
di storia, ogni secondo è la porta stretta attraverso la quale può arrivare la
salvezza.
18. Riuscirà l’umanità a tirare i “freni” rivoluzionari? Ogni
generazione, scrive Benjamin nelle Tesi del 1940, riceveva una “debole forza
messianica”: anche la nostra. Se non lo usiamo “prima di un punto quasi
calcolabile del cambiamento economico e sociale, tutto andrà perduto” – per
parafrasare la formula di “allarme antincendio” di Benjamin nel 1928.
19. All’interno dei movimenti di resistenza alla distruzione
capitalista della natura, si sta sviluppando una prospettiva radicalmente
anticapitalista in Europa, America Latina e Stati Uniti, l’aspirazione per
un’alternativa radicale, basata sui valori di solidarietà, rispetto ambiente e
autogestione democratica: ecosocialismo. Combinando la critica marxista del
capitale e la critica ecologica del produttivismo, l’ecosocialismo è una
proposizione eterodossa che coinvolge la trasformazione rivoluzionaria, non
solo dei rapporti di produzione, ma anche dell’apparato produttivo stesso – a
partire dalle sue fonti di energia – il modo di consumo, forme di trasporto e
habitat. La posta in gioco non è “correggere gli eccessi” del sistema, ma
lottare per un altro paradigma di civiltà, agli antipodi di quello basato
sull’accumulazione del capitale e sul feticismo della merce. Il pensiero di
Walter Benjamin ci fornisce strumenti preziosi per questa lotta.
Questo articolo di Michael Löwy è stato pubblicato qualche
anno fa, con il titolo Walter Benjamin, précurseur de l’écosocialisme.
Il libro di Benjamin a cui fa riferimento l’articolo è stato ripubblicato da
Einaudi nel 2006 col titolo Strada a senso unico. Scritti 1926-1927.
Pubblichiamo questo articolo su proposta di Salvatore Palidda, che ha curato la traduzione e inserito
l’immagine dell’Angelus Novus: il commento del noto quadro di Paul Klee da
parte di Benjamin – ricorda Palidda – è il filo conduttore della riflessione di
Löwy (che non cita questo riferimento).
da qui