“Serve sinergia con apparati di Stato”, l’intervento del procuratore al master di Intelligence dell'Università della Calabria
Non basta la scorta per proteggere i magistrati che lavorano contro le mafie. A dirlo è il procuratore capo di Catanzaro, Gratteri: ''Per proteggere i magistrati non basta la scorta''
“Serve
sinergia con apparati di Stato”, l’intervento del procuratore al master di
Intelligence dell'Università della Calabria
Non basta la
scorta per proteggere i magistrati che lavorano contro le mafie. A dirlo è il
procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, partecipando al
master di Intelligence dell'Università della Calabria, diretto da Mario
Caligiuri. Il capo della Dda spiegando la sua affermazione ha fatto
l’esempio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino ricordando che "si è giunti ad emettere sentenze
definitive di condanna a carico di coloro che avevano partecipato alle stragi
di Capaci e via d'Amelio, per il lavoro incessante e serio
svolto da grandi investigatori e grandi magistrati”. "L'omicidio di
Falcone - ha detto - era imprevedibile perché da anni non era
in prima linea. Mentre, forse, la morte di Borsellino poteva essere evitata.
Sia Falcone che Borsellino si sono trovati di fronte ad una mafia violenta,
rappresentata da Riina, che ha voluto lanciare un guanto di sfida, perché
voleva dettare l'agenda allo Stato che ha reagito con forza". A questo
proposito, ha detto ancora Gratteri, “è bene ricordare che per proteggere i
magistrati non basta solo la scorta. Altrettanto importante è la condivisione e
la sinergia con gli altri apparati dello Stato. La lotta ed il contrasto ai
fenomeni mafiosi non è un derby tra magistrati da un lato e mafia, ‘Ndrangheta
e camorra dall'altro, ma riguarda tutte le istituzioni della Repubblica, che
nei momenti importanti devono fare squadra, dimostrando una visione e una
strategia comune". Il procuratore ha poi ricordato che i rapporti tra
'Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra "risalgono al XIX secolo quando nel
carcere di Favignana venivano reclusi gli esponenti di queste tre consorterie
malavitose e si realizzavano i primi scambi anche linguistici. Per esempio, i
termini ‘picciotto’ e ‘camorrista’ - ha spiegato - nascono
all'interno della camorra e poi vengono adattati ed utilizzati rispettivamente
dalla mafia siciliana e dalla ‘Ndrangheta. Quello mafioso - ha
concluso sul punto Gratteri - è un fenomeno storico e per contrastarlo
efficacemente abbiamo bisogno anche della politica ed in particolare di grandi
politici, che siano in grado di disegnare scenari nuovi ed adottare strategie
visionarie e lungimiranti". In questo senso secondo il magistrato
servirebbero riforme “al nostro ordinamento giudiziario per meglio agire
contro le mafie".
Inoltre, ha aggiunto in tema riforme, "credo che sia arrivato il
momento di creare una specializzazione per i magistrati e per le forze di
polizia. Occorre potenziare gli uffici delle indagini preliminari e porvi a
capo magistrati attivi e brillanti. Per quanto riguarda la polizia giudiziaria,
in particolare, andrebbe ridotta la scala gerarchica a livello burocratico, per
renderla più snella e concentrarla nel lavoro sul territorio". In
aggiunta secondo Nicola Gratteri "sarebbe importante
prolungare il tempo di durata dei corsi di aggiornamento che riguardano, ad
esempio, le tecniche dell'affiancamento, del pedinamento, degli appostamenti e
della stesura delle informative".
"Urge
una legislazione europea"
Durante l’appuntamento universitario Gratteri ha detto anche che occorre un
sistema penale unico in tutta Europa per combattere le mafie. "Oggi,
infatti - ha spiegato Gratteri - le mafie investono sempre di
più all'estero, in paesi ricchi come la Germania, la Francia, la Svizzera ma
anche nei Paesi dell'Est Europa, dove si stanno investendo consistenti fondi europei.
Il problema dell'espansione delle mafie non riguarda solo il nostro Paese ma
coinvolge tutto il mondo occidentale e l'economia globalizzata. Tuttavia, molti
paesi europei sono restii ad adottare una legislazione antimafia più forte. In
primo luogo perché non considerano un vero allarme le mafie; in secondo luogo
perché un sistema giudiziario più pervasivo potrebbe minare la privacy dei loro
cittadini, e per alcuni Stati questo non è immaginabile; in terzo luogo una
legislazione più rigorosa, ad esempio, sul riciclaggio di denaro, potrebbe
limitare i commerci e gli affari". "L'Italia - ha
affermato - nonostante abbia uno dei sistemi normativi più evoluti del
mondo nel contrasto alla mafia ed una conoscenza molto approfondita del
fenomeno, non riesce ad essere incisiva in Europa per fare adottare una
legislazione antimafia omogenea, che sia più incisiva nel contrasto alle mafie.
Abbiamo grandi difficoltà - ha ribadito - ad essere ascoltati
su questo tema fondamentale in Europa. Significativa è la circostanza, ad
esempio, che le sedi dell'Eurojust, dell'Europol e dell'Interpol siano in
Olanda. Oggi - ha affermato Gratteri - le mafie non si
manifestano all'opinione pubblica e vengono identificate solo da chi ha un
rapporto diretto con esse ossia dalle forze dell'ordine, dai magistrati e dagli
usurati: per tutti gli altri non esistono. Per questa ragione il problema delle
mafie non è nell'agenda politica, perché non crea allarmismo sociale. La
politica - ha spiegato il procuratore - in genere si muove in
funzione degli argomenti che i media di élite pongono all'attenzione in prima
pagina dei quotidiani e nei titoli di testa dei telegiornali. Ed a volte il
sistema mediatico diffonde notizie false che indeboliscono l'attività
giudiziaria della magistratura".
da qui, partecipando al
master di Intelligence dell'Università della Calabria, diretto da Mario
Caligiuri. Il capo della Dda spiegando la sua affermazione ha fatto
l’esempio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino ricordando che "si è giunti ad emettere sentenze
definitive di condanna a carico di coloro che avevano partecipato alle stragi
di Capaci e via d'Amelio, per il lavoro incessante e serio
svolto da grandi investigatori e grandi magistrati”. "L'omicidio di
Falcone - ha detto - era imprevedibile perché da anni non era
in prima linea. Mentre, forse, la morte di Borsellino poteva essere evitata.
Sia Falcone che Borsellino si sono trovati di fronte ad una mafia violenta,
rappresentata da Riina, che ha voluto lanciare un guanto di sfida, perché
voleva dettare l'agenda allo Stato che ha reagito con forza". A questo
proposito, ha detto ancora Gratteri, “è bene ricordare che per proteggere i
magistrati non basta solo la scorta. Altrettanto importante è la condivisione e
la sinergia con gli altri apparati dello Stato. La lotta ed il contrasto ai
fenomeni mafiosi non è un derby tra magistrati da un lato e mafia, ‘Ndrangheta
e camorra dall'altro, ma riguarda tutte le istituzioni della Repubblica, che
nei momenti importanti devono fare squadra, dimostrando una visione e una
strategia comune". Il procuratore ha poi ricordato che i rapporti tra
'Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra "risalgono al XIX secolo quando nel
carcere di Favignana venivano reclusi gli esponenti di queste tre consorterie
malavitose e si realizzavano i primi scambi anche linguistici. Per esempio, i
termini ‘picciotto’ e ‘camorrista’ - ha spiegato - nascono
all'interno della camorra e poi vengono adattati ed utilizzati rispettivamente
dalla mafia siciliana e dalla ‘Ndrangheta. Quello mafioso - ha
concluso sul punto Gratteri - è un fenomeno storico e per contrastarlo
efficacemente abbiamo bisogno anche della politica ed in particolare di grandi
politici, che siano in grado di disegnare scenari nuovi ed adottare strategie
visionarie e lungimiranti". In questo senso secondo il magistrato
servirebbero riforme “al nostro ordinamento giudiziario per meglio agire
contro le mafie".
Inoltre, ha aggiunto in tema riforme, "credo che sia arrivato il
momento di creare una specializzazione per i magistrati e per le forze di
polizia. Occorre potenziare gli uffici delle indagini preliminari e porvi a
capo magistrati attivi e brillanti. Per quanto riguarda la polizia giudiziaria,
in particolare, andrebbe ridotta la scala gerarchica a livello burocratico, per
renderla più snella e concentrarla nel lavoro sul territorio". In
aggiunta secondo Nicola Gratteri "sarebbe importante
prolungare il tempo di durata dei corsi di aggiornamento che riguardano, ad
esempio, le tecniche dell'affiancamento, del pedinamento, degli appostamenti e
della stesura delle informative".
"Urge
una legislazione europea"
Durante l’appuntamento universitario Gratteri ha detto anche che occorre un
sistema penale unico in tutta Europa per combattere le mafie. "Oggi,
infatti - ha spiegato Gratteri - le mafie investono sempre di
più all'estero, in paesi ricchi come la Germania, la Francia, la Svizzera ma
anche nei Paesi dell'Est Europa, dove si stanno investendo consistenti fondi europei.
Il problema dell'espansione delle mafie non riguarda solo il nostro Paese ma
coinvolge tutto il mondo occidentale e l'economia globalizzata. Tuttavia, molti
paesi europei sono restii ad adottare una legislazione antimafia più forte. In
primo luogo perché non considerano un vero allarme le mafie; in secondo luogo
perché un sistema giudiziario più pervasivo potrebbe minare la privacy dei loro
cittadini, e per alcuni Stati questo non è immaginabile; in terzo luogo una
legislazione più rigorosa, ad esempio, sul riciclaggio di denaro, potrebbe
limitare i commerci e gli affari". "L'Italia - ha
affermato - nonostante abbia uno dei sistemi normativi più evoluti del
mondo nel contrasto alla mafia ed una conoscenza molto approfondita del
fenomeno, non riesce ad essere incisiva in Europa per fare adottare una
legislazione antimafia omogenea, che sia più incisiva nel contrasto alle mafie.
Abbiamo grandi difficoltà - ha ribadito - ad essere ascoltati
su questo tema fondamentale in Europa. Significativa è la circostanza, ad
esempio, che le sedi dell'Eurojust, dell'Europol e dell'Interpol siano in
Olanda. Oggi - ha affermato Gratteri - le mafie non si
manifestano all'opinione pubblica e vengono identificate solo da chi ha un
rapporto diretto con esse ossia dalle forze dell'ordine, dai magistrati e dagli
usurati: per tutti gli altri non esistono. Per questa ragione il problema delle
mafie non è nell'agenda politica, perché non crea allarmismo sociale. La
politica - ha spiegato il procuratore - in genere si muove in
funzione degli argomenti che i media di élite pongono all'attenzione in prima
pagina dei quotidiani e nei titoli di testa dei telegiornali. Ed a volte il
sistema mediatico diffonde notizie false che indeboliscono l'attività
giudiziaria della magistratura".
Nessun commento:
Posta un commento