Un interessante caso di collaborazione
tra politici e studiosi
È stata pubblicata il 23 febbraio 2021 la relazione finale di una ricerca
che era stata commissionata da un gruppo politico (il Left Group del Parlamento
Europeo) ai ricercatori di due associazioni che da molti anni sono impegnate
nel denunciare – dati alla mano – i rischi e i danni ambientali causati dalle
attività militari: una crescente militarizzazione produce rischi in più per la
pace e anche per l’ambiente.
Non solo durante le attività belliche (bombardamenti, distruzioni di
territori, avvelenamenti di sistemi biologici…), ma anche in tutte le tappe che
le precedono e le seguono: dall’estrazione di materie prime, alla produzione di
armamenti, alle esercitazioni, agli spostamenti di truppe, fino allo
smaltimento – spesso assai inquinante – di residui bellici.
Né i governi né le Università – salvo pochissime eccezioni – hanno
finora intrapreso ricerche adeguate in questo settore.
A rendere possibile questa indagine siano stati dunque – come finanziatori
– i membri di un gruppo politico, e come investigatori gli studiosi di due
associazioni:
- Scientists for Global Responsibility (SGR), una organizzazione
indipendente di scienziati, architetti, ingegneri, impegnati nella pratica
etica e nell’uso responsabile della scienza, del design e della
tecnologia. I suoi membri ritengono che le conoscenze acquisite nei loro
campi dovrebbero contribuire a portare pace e giustizia nelle
società umane, e a una condizione di ‘salute’ dell’ambiente.
- Conflict and Environment Observatory (CEOBS), un’Associazione
che lavora con organismi internazionali, con società civili, comunità di
base, università per aumentare la consapevolezza e la comprensione delle
conseguenze ambientali e umane dei conflitti armati. Il suo scopo primario
è quello digarantire che le conseguenze ambientali dei conflitti
armati e delle attività militari siano adeguatamente documentate e
affrontate, e che le persone colpite siano assistite.
Il Report, pubblicato e reso subito disponibile al pubblico, ha come
titolo Under the radar: The carbon
footprint of the EU’s military sectors. È un documento di 52
pagine, che contiene molti dati interessanti sia sulle spese militari
di singoli stati (tra cui l’Italia), sia sulle emissioni di gas con effetto
serra di alcune tra le aziende europee più attive nella produzione di
armamenti.
I committenti della ricerca, nell’introduzione al documento, osservano che:
[…] in un periodo in cui il rapido cambiamento climatico in atto
rappresenta uno delle più imminenti minacce alla sicurezza globale e
all’umanità, ci si aspetterebbe che le forze politiche siano concentrate a
capire come ridurre le emissioni di gas serra e assicurare un futuro
sostenibile. Ma il settore militare sta vivendo una sorta di nuova Guerra
Fredda, una nuova corsa internazionale agli armamenti, e di fatto si sta
registrando un aumento delle spese militari, non solo a livello NATO.
Questo studio dimostra che non solo le spese militari intercettano e
‘ingoiano’ risorse che potrebbero e dovrebbero essere usate per affrontare il
cambiamento climatico, per investire nella giustizia globale, per promuovere la
risoluzione pacifica dei conflitti e il disarmo, ma che l’industria tecnologica
militare di per sé contribuisce all’emergenza climatica”. […] La
nostra speranza è che questo studio favorisca lo sviluppo di un dibattito
pubblico su come affrontare le minacce alla sicurezza umana – come il
cambiamento climatico – e nello stesso tempo faccia luce sul ruolo svolto
dall’industria delle tecnologie militari e dalle forze armate.
Nelle pagine che seguono potete leggere la traduzione di alcune parti
della presentazione al Report, rintracciabile sul sito di
CEOBS.
Un’impronta gassosa, invisibile ma
‘pesante’
La carbon footprint (letteralmente,
“impronta di carbonio“) è un parametro che
viene utilizzato per stimare le emissioni di gas con effetto serra causate da
un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da
un individuo, espresse
generalmente in tonnellate di CO2 equivalente (ovvero
prendendo come riferimento per tutti i gas serra l’effetto associato alla CO2,
assunto pari a 1).
Secondo le indicazioni del Protocollo di Kyoto, i gas serra che devono essere presi in
considerazione sono: anidride carbonica (CO2,
da cui il nome “carbon footprint”), metano (CH4), ossido nitroso (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC)
e esafloruro di zolfo (SF6).Tale
parametro può essere utilizzato per la determinazione degli impatti ambientali che le emissioni
esercitano sui cambiamenti climatici di origine antropica.
Da tempo varie associazioni, qualche studioso, alcuni attivisti segnalano
l’assenza di una corretta contabilizzazione della produzione di gas serra del
comparto militare. Il problema è stato posto anche sul sito del CSSR, già nel 2016, ma gli sforzi per
includere le attività militari nelle valutazioni delle iniziative da prendere
per ridurre il carico ambientale hanno incontrato finora notevoli
resistenze.
Le attività militari non devono più
essere ‘esenti’
I militari sono spesso esonerati dall’obbligo di rendere disponibili i dati
delle loro emissioni di gas serra (GHG: greenhouse gas), e attualmente non
esiste un registro pubblico che riporti le emissioni di GHG prodotte dai
comparti militari degli Stati dell’Unione Europea. Ma, dato che i
militari sono grandi consumatori di combustibili fossili, e che sono in atto
crescenti spese destinate dagli stati alle attività militari, è necessario
sviluppare un maggior controllo, e stabilire degli obiettivi di riduzione delle
emissioni anche per questo settore.
La Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica costituisce il
‘LEFT GROUP’ del
Parlamento Europeo – Confederal Group of the European United
Left/Nordic Green Left, con GUE/NGL come acronimo. A ottobre 2020 ha
incaricato le due Associazioni sopra citate – il ‘Conflict and Environment
Observatory’ (CEOBS) e i ‘Scientists for
Global Responsibility’ (SGR) – di svolgere una
analisi sulla ‘carbon footprint’ del sistema militare dell’Unione
Europea, che comprenda sia le forze armate di singoli Paesi, sia le
industrie che in Europa sono implicate nelle tecnologie militari.
Stuart Parkinson (responsabile per SGR) e Linsey Cottrell (portavoce di
CEOBS) hanno presentato il 23 febbraio 2021 un Report, in cui sono documentate
le emissioni di gas serra del settore militare dell’Unione Europea. Nello
studio sono anche inserite alcune riflessioni politiche, nella prospettiva di
ridurre il contributo dell’apparato militare al cambiamento climatico.
SGR aveva già pubblicato – a Maggio 2020 – una relazione sugli impatti ambientali del settore militare del Regno Unito,
e aveva confrontato i dati ottenuti con quelli pubblicati dal Ministero della
Difesa UK. Un lavoro analogo è stato realizzato adesso per l’Unione Europea.
Una stima utile, ma ancora parziale
Per avere indicazioni del carbon footprint gli Autori
dell’indagine hanno utilizzato i dati che erano a disposizione da fonti governative
e industriali per sei dei maggiori paesi europei in termini di spese militari,
oltre a dati aggregati riguardanti l’intera Unione Europea. L’attenzione
si è focalizzata su Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia e Spagna.
Si è anche cercata documentazione sulle politiche e sulle misure messe in atto
per ridurre le emissioni di GHG, e sulla loro efficacia.
Dai dati a disposizione la carbon footprint connessa alle
spese militari europee nel 2019 è stata di circa 24,8 milioni di
tonnellate di CO2 equivalente: per capire che cosa significa,
può essere paragonata alle emissioni annuali di 14 milioni di
automobili. È comunque una stima conservativa, se si tiene conto delle
molte difficoltà che sono state incontrate nel reperire i dati.
La Francia risulta il paese che più contribuisce alla produzione di gas
serra dell’UE, con una quota di circa un terzo del totale. Dall’indagine svolta
sulle aziende con sede in Europa che producono tecnologie militari è risultato
che a emettere le maggiori quantità di gas-serra sono PGZ (con base in
Polonia), Airbus, Leonardo, Rheinmetall, e Thales. Ma ve ne sono altre che non
hanno reso disponibili i loro dati relativi alle emissioni di GHG: tra di esse
MBDA, Hensoldt, KMW, e Nexter.
Transparenza e rendicontazione
Tutti gli Stati Membri dell’UE fanno parte della Convenzione Quadro
dell’ONU sul Cambiamento Climatico (UNFCCC), secondo la quale sono obbligati a
pubblicare ogni anno i dati di emissione di GHG. Finora molti hanno rifiutato
di pubblicare questi dati, adducendo motivi di sicurezza. Tuttavia, dato
l’attuale livello di informazioni pubbliche su aspetti tecnici, finanziari e
ambientali, il tema della sicurezza appare poco convincente.
Sono attualmente in corso diverse iniziative volte a mettere in luce le attuali
forme di utilizzo dell’energia nel settore militare, e orientate a favorire una
riduzione dei consumi. Per esempio, la European External Action Service (EEAS)
e la NATO hanno pubblicato a Novembre 2020 delle indicazioni su come affrontare il problema
dei gas serra prodotti dai militari nel breve e nel lungo periodo. Non è
facile valutare l’efficacia di tali suggerimenti, e soprattutto non sono
presenti indicazioni volte a modificare il sistema militare a livello politico:
per esempio, non sono state finora colte le potenzialità di eventuali trattati
che – favorendo il disarmo – riducano l’acquisto, il
dispiegamento e l’uso di attrezzature militari, e contribuiscano di conseguenza
a ridurre l’inquinamento.
Il peso della NATO
Dei 27 Stati Membri dell’UE, 21 fanno parte della NATO. Nonostante le
dichiarazioni di intenti da parte del Segretario generale della NATO nel Settembre del 2020 per una riduzione dell’impronta
del carbonio, le pressioni in corso per aumentare le spese militari rendono
improbabile che si possa raggiungere lo scopo. Sarebbe opportuno che
tutti gli Stati Membri calcolassero la carbon footprint dei loro apparati
militari e la rendessero pubblica. Ma soprattutto sarebbe importante che tutti
i paesi considerassero ugualmente prioritaria la riduzione delle emissioni di
CO2dei loro apparati militari.
È necessario agire
La relazione pubblicata da CEOBS e SGR segnala alcune azioni da
intraprendere al più presto. In particolare gli autori affermano che sarebbe
necessario rivedere le strategie di sicurezza a livello nazionale e
internazionale, riducendo l’uso di forze armate, e misurare la
conseguente riduzione di emissioni GHG: una iniziativa che finora non è stata
presa in considerazione, né nell’UE né altrove. Tale cambiamento di
strategia sarebbe focalizzata su un maggiore orientamento verso
obiettivi di ‘sicurezza umana’: un cambiamento necessario alla luce dei
costi sociali pagati per aver trascurato le priorità sanitarie (di fronte alla
pandemia) e ambientali (con i cambiamenti climatici in atto).
I responsabili di CEOBS e SGR affermano inoltre che tutte le nazioni
dell’UE dovrebbero pubblicare annualmente i dati relativi alle emissioni di GHG
prodotte sia dalle attività militari, sia dalle industrie che producono
tecnologie militari: tali dati dovrebbero essere trasparenti, coerenti e
confrontabili. Non solo: anche il settore militare – come avviene
per le strutture civili – dovrebbe ridurre le emissioni, per contribuire a
raggiungere l’obiettivo fissato dagli Accordi di Parigi, di non superare
l’aumento di temperatura di più di 1.5oC. Si tratta quindi di agire,
anche nel settore militare, per investire nelle energie rinnovabili,
e per utilizzare reti rinnovabili per l’approvvigionamento. Questo cambio
di orientamento dovrebbe riguardare anche le industrie militari e le tecnologie
da esse prodotte.
Un altro aspetto rilevante riguarda il fatto che le forze armate dell’UE
sono le maggiori proprietarie di terre in Europa. Questi
terreni dovrebbero essere gestiti con maggiore attenzione, sia per migliorare
il sequestro di carbonio con una adeguata politica forestale e con una maggior
cura della biodiversità, sia – dove è possibile – per ospitare impianti per la
produzione locale di energia rinnovabile.
Bisogna avviare campagne di pressione sui militari, per fare in modo che le
loro attività siano coerenti con gli obiettivi delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici e sulla conservazione della biodiversità.
La Relazione completa è scaricabile qui: Under the radar – The carbon
footprint of the EU’s military sectors…
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