domenica 7 marzo 2021

Uscire dalla griglia - Feliciano Castaño Villar

 


 Sono ciechi, vedono solo immagini”

Mahmud Shabistari, s. XIV

Perché dovrei chiamare sorella l’acqua, se non è mia sorella?
Per sentirla meglio?
La sento meglio bevendola che chiamandola in qualsiasi modo (…)
e se è acqua, la cosa migliore è chiamarla acqua;
o, meglio ancora, non chiamandola in alcun modo,
ma bevendola, sentendola sui polsi, guardandola
senza darle alcun nome.

Alberto Caeiro

La iperstimolazione dell’attenzione riduce la capacità di interpretazione critica sequenziale, ma riduce anche il tempo a disposizione per l’elaborazione emotiva dell’altro, del corpo dell’altro e del discorso dell’altro, che cerca di essere compreso senza riuscirci.

Franco Berardi

Ogni mattina accendo il computer e intanto mi chiedo per quanto tempo continuerà questa vita de-corporeizzata. Questa distanza senza sguardi, senza complicità, questo spazio senza palpitazioni, senza discussioni, senza il tocco ruvido, caldo o dolce della quotidianità, senza un Data Monitor e senza la capacità di concentrarsi in qualsiasi cosa. Abbiamo assunto la virtualità come unica griglia, senza pensare troppo agli effetti cognitivi, decisionali, relazionali, affettivi, psicologici e politici che questo comportava. Non potevamo scegliere altra opzione che ci permettesse di ritrovar-ci. O almeno di prendere in esame altre strade e canali, meno veloci o efficienti, ma più sereni, caldi e stimolanti. Ognuno di noi racconta la sua esperienza, le sue idee o analisi con il corpo, così come ci prendiamo cura, immaginiamo, accarezziamo e amiamo con esso. Non poter arginare la cascata di stimoli informativi e virtuali ci allontana dal tatto, dall’aroma, dall’allegria e dal sangue della vita. Sembra impossibile far marcia indietro con l’eccesso e con l’ascesa del connettivismo. E sembra che cucinare nelle pentole, dipingere, leggere un libro o incontrarsi per conversare siano già esperienze del passato.

Ogni giorno, aprendo gli occhi, vediamo code di persone nei centri di salute, nelle banche, negli uffici della previdenza o in quel che resta di essi. Nelle farmacie, negli uffici per la disoccupazione e nei luoghi in cui viene ripartito il cibo. In tutte quelle affannate file, l’onnipresente mondo digitale non offre alcuna alternativa. Niente per ciò che è più necessario: parliamo di restare sani, avere una casa, mangiare, dormire, lavorare e avere del denaro. Il digitalismo, al servizio del capitale, non si stanca di distruggere, espellere, generare rifiuti umani. Il neoliberismo è totalitarismo e concede a questa teologia politica il governo pastorale delle anime e, insieme, il governo universale della leggecome ci mostra Villacañas (2020). Ha reso evidente durante questa pandemia la necropolitica in cui siamo immersi, come aveva già fatto Mbembe quando ha coniato questo concetto anni fa. Una viscida mancanza di empatia verso gli altri trasforma le morti nel numero di vittime necessarie alla macchina tecno-scientifica e coloniale. L’abbandono e il maltrattamento degli anziani e delle persone più vulnerabili è molto significativo, così come il silenzio fragoroso e sacrificale di una grande folla mediatica e sociale.

Nel frattempo, la psico-sfera, sempre attiva, non ferma il suo passo accelerato sull’orlo dell’abisso. Ognuno ha qualcosa da dire, offrire, completare, aggiornare, valutare, acquistare o vendere. Un giudizio, un oggetto, un’attività, un merito, un viaggio da esporre o monetizzare, una reputazione da accrescere. E in questo modo l’attenzione e il motu proprio si vanno dissolvendo di fronte a un’esperienza che, come avrebbe detto Baricco (2008), diventa una sorta di alzaia. Un movimento che collega punti diversi senza pause, senza che si spenga l’intensità della scintilla. L’esperienza comporta il fatto di attraversarla quanto basta per ottenere una spinta sufficiente a finire altrove. Il mutante ha imparato il tempo minimo e massimo da dedicare alle cose. E questo, inevitabilmente, lo mantiene lontano dal fondo. Lontano dal fondo e in una continua frenesia sensoriale e semiotica. Un movimento virtuale, irreale, incessante che ostacola lo scorrere del proprio potenziale, provocando un disagio. Un’incapacità di prendersi cura delle vicende e delle questioni interne. Disorientando ancora una volta la pertinenza di conoscere, fare, vedere, leggere questa o quell’altra cosa. Arrivando a un malessere fisico-psichico incontrollabile per inghiottire un’enorme info-sfera, fino al collasso. “Sono saturo” è l’espressione comune di questa abituale tragica esistenza della vita. Un’intensa interattività e datificazione imposta, una presunta servitù volontaria.

Di fronte al confinamento e alla chiusura delle scuole, i ministeri dell’educazione si sono arresi alla trappola del soluzionismo tecnologico, utilizzando disciplinatamente la serie di prodotti offerti dalle multinazionali digitali globali. Ci sono domande ineludibili su questo comportamento: dove sono finiti quei sistemi robusti e pubblici in grado di valutare e distribuire milioni di materiali e comunicazioni? Quale risposta hanno dato la radio, la posta, la telefonia o la televisione pubblica? Dov’è finita quella cooperazione inter-istituzionale che doveva fornire risposta e attenzione laddove Internet e le sue esigenze non fossero arrivate? Perché non c’è stato un netto rifiuto di trasferire autorità e dati ad agenti tecnologici privati, aziendali e globali? Perché non rinunciare al monopolio di Google, WhatsApp-Facebook, ZoomVideo, Amazon, Apple, ecc. per il controllo democratico delle istituzioni pubbliche, l’autonomia professionale, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dei giovani, degli studenti, … e per il monitoraggio locale delle comunità sulle loro istituzioni pubbliche? Assumeremo per sempre l’evidenza dell’essenziale cooperazione scientifica e la miseria democratica e sociale che i brevetti comportano? I dati non meritano per caso di essere trattati come un bene pubblico, con un archivio di dati pubblici ben regolamentato in cui sia preservata la nostra privacy ma sia consentito anche a qualsiasi ricercatore/trice e istituzione pubblica un pari accesso? E ​​se scommettessimo su quell’idea di “socialismo digitale” di Morózov per aiutare a reinventare o riutilizzare i sistemi di dati digitali dell’economia, dell’educazione, della salute, dei servizi sociali, eccetera?

La pandemia sta aiutando il grande capitale ad avanzare nella sua aspirazione a ridisegnare i suoi processi e monitoraggi, con componenti di maggiore dominio, sfruttamento ed esclusione. L’agenda neoliberista ha fatto passi da gigante nel campo dei sistemi educativi. Insieme alla filantropia neoliberista del rapporto perverso tra Stato neoliberista e imprese multinazionali (Banche, Fondazioni) che opera da anni, cresce la connessione virtuale come nuovo agente di sviluppo. Il capitalismo tecnologico e connettivo, che con il sostegno dell’UNESCO, del Global Compact on Education e di altre strategie, comincia a controllare le reti in tutto il mondo. Insieme all’assalto alle scuole pubbliche, all’obsolescenza e alla de-professionalizzazione del personale docente, si aggiungono ora le multinazionali della tecnologia. È necessario includere nell’agenda delle rivendicazioni la lotta per la difesa di piattaforme digitali autonome, nonché di archivi digitali indipendenti, il cui controllo e i cui dati siano di dominio pubblico della comunità educativa e non sotto il controllo privato.

Amazon evade le tasse, distrugge le piccole e medie imprese (decine di migliaia di esse in Spagna hanno chiuso da aprile a giugno del 2020) e ora con la campagna #Un Click per la Scuola vuole ingannare ed estrarre più profitto da famiglie e scuole. I racconti del neoliberismo mascherati dall’appropriazione linguistica di concetti come resilienza, emozioni, creatività, filantropia, ecc. Si tratta di chiarire che non vogliamo la loro elemosina e che di fronte allo sfruttamento e all’oppressione: vogliamo giustizia fiscale, le loro tasse, la loro sottomissione a regole nel lavoro, nell’economia e nelle questioni ambientali. E, naturalmente, vogliamo più finanziamenti per l’educazione e migliori servizi pubblici. Come ci ricorda Ekaitz Cancela (2020), dobbiamo guardare alle tele-reti sociali partendo da concezioni economiche e politiche. 1.435 istituti finanziari possiedono il 68% del capitale sociale di Facebook. Allo stesso modo, ricordando Ben Williamson (2020), sono sì necessarie conoscenze e capacità socio-emozionali, ma c’è un’agenda tendenziosa e un dispositivo di apprendimento socio-emotivo, di algoritmi, biometria, riconoscimento facciale, tra le altre cose, le cui implicazioni antropologiche, tecno-scientifiche, politiche ed economiche non possono passare inosservati.

Nel frattempo continuiamo a non sapere come vivere meglio, pensavamo di distruggere la natura, ma no, sarà lei che ci distruggerà. Come diceva Engels più di cento anni fa “la natura si vendica di tutte le nostre vittorie… Ad ogni passo ci viene ricordato che non dominiamo la natura… ma che le apparteniamo in carne e ossa, cervello e viviamo nel suo grembo”. Friedrich Engels (1876). Il nichilismo della cultura dominante e il capitalismo totale raggiungono tassi di alta tossicità “la cultura è disposta più all’inabitabilità della Terra e all’estinzione della specie umana che a mettere in discussione il capitalismo”, Jorge Riechmann (2020). Ed è proprio questo capitalismo totale e connettivo con i suoi tentacoli sempre aperti, pronto a estrarre in modo instancabile la nostra attenzione, i nostri dati, e quel che resta della biodiversità a richiedere di essere sabotato. Non c’è forse niente di più enormemente dirompente, straziante e distruttivo del neoliberismo che chiede in ogni momento di riparare e cucire le rotture e le sofferenze che provoca. Sabotare per cessare di impoverire le nostre vite, le nostre relazioni, riproducendo i tic della società dello spettacolo. Sabotare per non impoverire i nostri ecosistemi e nutrire la nostra capacità di organizzare un sindacato, una cooperativa, un’associazione, un laboratorio o un ateneo, per ascoltare e dialogare con chi ci è più vicino, per immaginare e fare un giorno per giorno “altro”. Ritirarsi, andarsene, senza abbandonare, assistere dai margini, incidere, resistere all’imperativo del presente. Un presente omogeneizzante, totalitario, che occupa tutto, depoliticizzando e nascondendo tutti i conflitti e le disuguaglianze nel mondo. Sfidare lo status passivo di spettatore di un’attualità che occupa 24 ore su 24 ed è paralizzante. Prendersi cura di se stessi, di chi ci sta vicino, degli altri. Forse gran parte della ricchezza della vita di oggi è proprio quella resistenza intima e comune. Lontana da una mentalità difensiva e ripiegata. Una resistenza intima come luogo di formazione di una morale, delimitata dal suo motu proprio, dalla sua libertà, dalla responsabilità, anche per andare in piazza o in quel che ne resta.

 

Uscire dalla griglia ha però anche a che fare con l’uscita dal paradigma della gestione o normalizzazione di quel che è dato. Gestire non è mai stato pensare in profondità o trasformare, ma solo modulare ciò che ci viene presentato come necessario e inevitabile, contro il quale nulla dovrebbe essere tentato, come ci ricorda Amador F. Savater (2020). Trasformare la sensazione di impotenza, il disagio in un campo di battaglia per accogliere, seminare, tessere, costruire una trama con quelle temporalità frammentate e quegli spazi spezzati dentro processi di cambiamento che forniscono soluzioni ai nostri problemi. Uscire dalla griglia è non collaborare più con le regole imposte dal mercato: competere, quantificare, auto-censurarci, ingannarci, tacere, odiare, serbare rancore,… Uscire dalla griglia significa disobbedire alla costruzione di questa realtà tremendamente cinica e ostile.

Ora che ci scopriamo doppiamente fragili, nella biologia stessa del materiale e nei nostri legami sociali, dobbiamo uscire dalla griglia che ci viene imposta. Fare qualcosa, creare insieme un ritmo e uno spazio “altro”. Uscire è soprattutto parlare con la vita, la sola vita, aprendo fessure nella realtà, creando giardini di cooperazione, aiuto reciproco e amore radicale, dalla radice.

Fonte originale: El Diario de la Educación.

Titolo originale: Salir de la cuadrícula, crear un algo/ritmo otro

Traduzione per Comune-info: marco calabria

Feliciano Castaño Villar insegna all’Università di Granada, è educatore, antropologo e ricercatore sociale sulle mediazioni, l’ecologia dei saperi, la scuola, la democrazia, la società, l’azione sociale e l’educazione.

https://comune-info.net/uscire-dalla-griglia/

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