Ingredienti - Giovanni De Mauro
Zeynep Tufekci è nata in Turchia e insegna sociologia
all’università del North Carolina a Chapel Hill, negli Stati Uniti. Si occupa
dell’impatto sociale delle tecnologie e nell’ultimo anno ha scritto alcuni
degli articoli più lucidi sulla pandemia. In un ritratto uscito sul New York Times, Ben Smith l’ha definita
una persona che “ha l’abitudine di aver ragione sulle cose importanti”. Il suo
libro del 2017 si intitola Twitter and tear gas (Twitter
e gas lacrimogeni), è sulla forza e la fragilità delle proteste in rete e non è
ancora tradotto in Italia.
Di Tufekci abbiamo già pubblicato due articoli. Il primo, uscito alla fine di agosto, era
sull’importanza dell’aerazione nella prevenzione del covid. Il secondo, a
ottobre, spiegava perché gli “eventi superdiffusori” sono stati il principale
motore della pandemia. Il terzo, che pubblichiamo questa settimana, descrive
gli errori che abbiamo fatto finora e spiega perché, malgrado tutto, dobbiamo
essere ottimisti.
Tufekci racconta che deve molto a un’infanzia che non
augurerebbe a nessuno e a tre ingredienti: un punto di vista internazionale
acquisito rimbalzando tra Turchia e Belgio quand’era bambina e poi lavorando
negli Stati Uniti; una conoscenza che attraversa le aree tematiche e le
discipline accademiche, frutto del suo essere una programmatrice informatica
che si è avvicinata alla sociologia; un’abitudine a ragionare su sistemi
complessi. Ma tutto è cominciato crescendo a Istanbul “in una casa infelice”
con una madre alcolizzata.
A metà degli anni novanta, ancora adolescente, è
andata via e ha trovato lavoro all’Ibm. La sua vita è cambiata quando ha
scoperto una mailing list sul movimento zapatista, la mobilitazione degli
indigeni messicani contro la privatizzazione delle terre. Nel 1998 è andata in
Chiapas. La rete di relazioni che ha costruito in quegli anni è stata
fondamentale. “Tufekci è l’unica persona con cui ho mai parlato convinta che
l’era moderna sia cominciata con la solidarietà zapatista”, ha scritto Ben
Smith. “Per lei è stato un primo bagliore della ‘globalizzazione dal basso’”.
Nessun commento:
Posta un commento