Cabras
(L'Alternativa c'è): «Draghi ci prepara a ulteriori future cessioni di
sovranità»
(di Leandro Cossu)
Abbiamo intervistato Pino Cabras, deputato sardo eletto nel 2018 col
MoVimento Cinquestelle, “dissidente” della fiducia al Governo Draghi e fondatore
della componente del gruppo misto “L’Alternativa c’è”.
Il voto della fiducia al governo Draghi non è di certo il primo che vede
lei e gli altri “dissidenti” prendere una posizione non allineata rispetto al
resto del gruppo parlamentare ma di sicuro più coerente al programma del
MoVimento Cinque Stelle per le elezioni del 2018. Penso, per esempio, alla
riforma del MES votata a metà di dicembre dello stesso anno. L’espulsione a
seguito del voto contrario al Governo Draghi è stato il culmine di un processo
di snaturamento del MoVimento iniziato da quando è diventato partito di
governo?
Il M5S ha esaurito assai più presto del previsto la propria spinta
propulsiva che derivava dagli anni in cui era il “partito della crisi”, ossia
la forza politica che rappresentava milioni di cittadini sommersi da quel che
definisco l’Europeismo Reale e che premevano per un’alternativa al rigorismo
dei “dittatori dello spread”. Il problema è che assieme a una retorica che
suonava rivoluzionaria, il M5S non esprimeva anche una progettualità
altrettanto coraggiosa e intransigente rispetto al cuore delle decisioni, ossia
la politica economica. In un certo senso ci si accontentava di governare i
milioni di euro, ma i miliardi li governava lo stato profondo: cioè le
tecnostrutture burocratiche, una cinghia di trasmissione fra Bruxelles e Francoforte
e le opache decisioni economiche di quei palazzi romani inaccessibili alla
classe dirigente grillina, concentrata sulla “scatoletta di tonno” di
Montecitorio, in parte già svuotata. La rassegnazione diventava sempre più
prassi e metodo. Quel che prima era oggetto di battaglia e di rumorose
invettive (i governi tecnici, lo strapotere dei banchieri, le rendite di
posizione parassitarie) diventava qualcosa con cui convivere al punto di
rendere tabù la critica. La nomenklatura pentastellata per imporre questa nuova
linea si dotava paradossalmente di un organo inceppato e delegittimato, con
l’autoreggente Vito Crimi a fare da puntaspilli e segnaposto. Fino
all’anticamera dell’implosione dell’intero progetto.
Il Manifesto
di “L’Alternativa c’è” è molto più del programma di un
gruppo parlamentare ma meno rispetto a quello di un partito. Molti punti si
richiamano idealmente a molte delle istanze che il MoVimento aveva fatto
proprie negli anni precedenti. Quali sono le vostre intenzioni nel medio
termine?
Pensiamo di poter svolgere con modestia, pazienza e perseveranza un
servizio utile alla democrazia della nostra Repubblica. Aiuteremo la
costruzione organizzata di una vera opposizione, per rispondere al bisogno di
dare una rappresentanza politica che non si esaurisce nella spropositata
maggioranza parlamentare che sostiene Mario Draghi.
In un momento di quasi forzato unanimismo intorno al campione massimo della
continuità neoliberista italiana, ci assumiamo l’impegno e anche l’obbligo di
costruire l’alternativa con una “sponda” parlamentare. Ci saranno nei prossimi
mesi tante questioni che meriteranno una tribuna, interrogazioni,
interpellanze, letture collegate di fenomeni diversi. Possiamo accelerare il
consolidarsi di una forza pluralista dove saranno coinvolte anche personalità
indipendenti accomunate da un progetto nuovo.
Per un futuro radicamento territoriale contate di coinvolgere la base
delusa del M5S?
Sì, parliamo di migliaia di attivisti che hanno fatto un percorso durato
anni, oggi interrotto, e di milioni di elettori disingannati che votarono in
massa il MoVimento, certamente. Ma intendiamo fare uno sforzo più vasto, perché
questa potenziale opposizione non sarà autosufficiente. Si possono unire tante
forze che oggi sono importanti, determinate, consapevoli delle sfide del mondo
post-Covid, ma che al momento non hanno ciascuna sufficiente “massa critica”. Bisogna
costruire insieme le forme di una nuova democrazia, tanto con incontri,
comitati di saggi, piazze, quanto con strumenti di democrazia digitale.
Nel breve termine conta di estendersi a livello parlamentare con altre
dissidenze?
Ci sono altri parlamentari che guardano a noi con simpatia e se
rafforzeranno un nucleo di opposizione agguerrito saranno i benvenuti. Non
vogliamo però concentrarci troppo sul Palazzo. La partita si gioca in seno alla
società.
Come vi rapporterete agli altri gruppi di opposizione in Parlamento?
Attualmente Fratelli d’Italia si spartisce i compiti con la Lega:
quest’ultima presidia il governo a trazione nordista per tutelare la catena del
valore industriale del Nord legata alla Germania, mentre il partito della
Meloni recita un’opposizione “di sistema” che però si tiene saldamente legata
all’alleanza che partecipa al governo. Credo che potremo esercitare
un’opposizione originale e autonoma.
Sembra che le intenzioni dello spaurito Fratoianni siano più la
capitalizzazione di una certa parte dell’elettorato scontenta della compagine
di governo, da far riassorbire in un secondo momento nel blocco di
centrosinistra di questo bipolarismo di fatto. Giustifica la propria scelta
riferendosi al solo ritorno della Lega al governo, ignorando l’elefante della
stanza: di fatto, il Governo Draghi è un commissariamento tecnocratico da parte
dell’Unione Europea. La sinistra radicale del paese non ha quindi
rappresentanti di opposizione in Parlamento. Come vi rapportate alle istanze di
questo blocco dell’elettorato?
Per quasi trent’anni la sinistra radicale ha coperto una parte dello
spettro dei voti di un’alleanza il cui ordine del giorno rimaneva però
immancabilmente in mano a un pezzo di ceto politico dominante, quello che aveva
ereditato gli insediamenti sociali del PCI ma aveva come unica stella polare il
docile adattamento al “vincolo esterno”. Questo ha comportato l’adesione
subalterna e sempre più dogmatica a un modello di Europa che prescriveva
“riforme strutturali” che erodevano la sovranità e i migliori capisaldi della
nostra Costituzione. La bandiera è stata lasciata cadere nel fango della
stagnazione post-Maastricht. Proviamo a raccoglierla per una battaglia che non
ricada nella “coazione a ripetere” di un’impostazione sbagliata e perdente.
Nel manifesto è presente un punto dedicato espressamente alla politica
estera, dove vi richiamante al multilateralismo. Il Ministero degli esteri è
rimasto a Di Maio (sembrerebbe più per riconoscimento personale che per
continuità di governo). Come cambierà la politica estera con il Governo Draghi?
Come pensate di rispondere?
I capisaldi di Draghi sono in continuità con le scelte dominanti degli
ultimi decenni, che hanno interpretato in modo sempre più sfavorevole per la
nostra Repubblica le limitazioni di sovranità legate ai Trattati sottoscritti:
un atlantismo acritico e subalterno (incapace ad esempio di riconoscere quanto
sia stata catastrofica la distruzione dello Stato libico di dieci anni fa) e
un’adesione ai dettami dell’Europeismo Reale che ci imprigiona in un’infinita
decadenza industriale e sociale. Draghi ci prepara a ulteriori future cessioni
di sovranità. Vogliamo riportare il tema al centro del dibattito pubblico
spiegando bene le cause della crisi, anche se non sarà facile decostruire il
“pensiero unico” che domina dagli organi di informazione in mano a chi lucra
sul declino italiano.
Il Recovery Fund è stato salutato come panacea di tutti i mali economici
d’Italia. Eppure, come più
volte ribadito sulle nostre pagine si tratta di cifre
macroeconomicamente risibili, distillate
nel tempo e vincolate a
rigorose condizionalità. Cosa sono questi fondi? Quali
alternative ci sono a questa forma di finanziamento? Avete fatto presente
queste problematicità all’epoca al Governo Conte II?
Alcuni dei fondatori di “L’alternativa c’è” nel 2020 si erano trovati in
certi momenti quasi da soli a resistere all’immensa intossicazione politica e
mediatica con cui l’establishment aveva voluto credere alle proprie
esagerazioni sul Recovery Fund e aveva imposto la sua narrazione nel discorso
pubblico. Molti nostri colleghi in Parlamento ancora oggi ci dicono con occhi
lucidi di gioia che «è arrivata una-montagna-di-miliardi». Credetemi, non è
facile dissipare i fumi del loro miraggio, anche quando gli si spiega
pazientemente che si tratta soprattutto di prestiti da restituire all’interno
di penetranti condizionamenti bruxellesi anziché emissioni di titoli di stato
che risulterebbero convenienti in presenza di tassi di accesso al mercato
particolarmente favorevoli. E non riescono a credere che buona parte del fondo
perduto verrà coperto da un aumento della contribuzione italiana al bilancio
UE. Quindi non si capacitano del divario fra il crollo del PIL del 2020 (vicino
al meno nove per cento), e la modestia quasi irrisoria degli effetti sul PIL
dei saldi micragnosi concessici dai paesi “furbali”: frazioni di punto di PIL
che “forse” arriveranno dopo strettoie parlamentari di altri paesi e con il
contagocce. Alla fine il Recovery Fund che cos’è? Vedo anche i rischi
dell’intermediazione predatoria di un pezzo di ceto politico-burocratico su un
pezzo consistente di bilancio sottratto alle vie ordinarie in nome di uno stato
di eccezione. Si dovrebbero adottare semmai nuovi strumenti concepiti per
consentire all’Italia di tornare a raggiungere il suo potenziale pur rimanendo
nel sistema dell’euro. Una misura chiave sarebbe istituire una piattaforma
elettronica dedicata allo scambio di compensazioni fiscali in grado di
attivarle come equivalente alla liquidità disponibile e utilizzabile nei
pagamenti. Mentre la BCE sembra in parte dare seguito alle sue promesse
impegnandosi ad un Quantitative Easing senza alcun limite sul modello della
FED, questa liquidità deve ancora giungere alle imprese e alle famiglie segnate
dall’urto economico della crisi Covid e non rimanere nei mercati finanziari. Mentre
Draghi non pare curarsene, questo è un tema rilevante da porre a livello
europeo.
Come vi rapportereste a un MoVimento a guida Giuseppe Conte?
Non c’è da aspettarsi salti di qualità. L’attuale dirigenza del M5S, dopo
aver condotto questa forza politica a un vicolo cieco, tenta di affrettare una
sorta di massiccia mutazione genetica. Disinnescata ogni carica con cui sono
stati raccolti i voti, punta a creare uno strano ibrido fra Udeur e Verdi,
sorretto da un apparato di propaganda che si curerà di occultare le assurdità e
le contraddizioni della mutazione. L’ibrido lo si vuole affidare a un deus ex
machina, Giuseppe Conte, sul quale riversare un massiccio “culto della
personalità” derivato dalla popolarità di quando era premier. Conte è stato un
talentuoso mediatore fra spinte contrastanti di coalizioni di partiti molto
eterogenee, ma come capopartito è un “oggetto misterioso”. Ha assunto posizioni
diversissime fra loro e le ultime che ha espresso sembrano in linea con il
ritratto di partito moderato e liberale ritagliato da Luigi Di Maio per la
creatura che assemblerà le identità di una forza che ripartirà comunque dal sì
a Draghi.
Avete detto che, a costo ricadute del consenso, non farete affidamento a
nessun leader. Eppure parallelamente alla vostra espulsione si è consumata
un’altra uscita pesante: quella di Alessandro di Battista. Come vi rapporterete
a lui? Come vi rapportereste se dovesse chiedere di far parte del vostro
progetto?
Vogliamo coinvolgere molti liberi pensatori che vorranno impegnarsi per
costruire l’opposizione, unendo i loro carismi. Di Battista è una di queste
personalità. Ed è auspicabile che siano tante.
Cosa direbbe a un elettore deluso del MoVimento Cinque Stelle?
Che per lui o per lei il fatto di averci provato e subire una sconfitta,
per quanto doloroso sia stato, non era uno sforzo vano. Che le buone idee
camminano e si contagiano in bene meglio di un virus e resistono ai cicli
storici che consumano gli errori e le limitatezze umane di una classe
dirigente. Così come sarebbe sbagliato e fuorviante identificare duemila anni
di cristianesimo con la fase dell’Inquisizione, così come sarebbe assurdo
ridurre il socialismo alle burocrazie sovietiche, così come sarebbe ingeneroso
leggere l’industriosità umana attraverso gli imballaggi in plastica della
paccottiglia, così come sarebbe meschino interpretare le imprese napoleoniche
soltanto con la disfatta di Waterloo, sarebbe altrettanto miope leggere la
scintillante avventura di Beppe Grillo con gli atti dei caporali che gli
obbediscono quando è solo l’ombra fioca di se stesso, e che oggi espellono dal
M5S chi non si arrende. Noi non ci fermiamo. L’Alternativa c’è!
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