(Intervista con Isabelle Stengers di Naïm
Kharraz )
Isabelle Stengers, filosofa che studia la produzione del sapere, in
questa intervista rilasciata all’Atelier
des Droits Sociaux [sotto il testo originale, in francese] sviluppa il
modo in cui l’immaginario capitalista mette in pericolo scienze, democrazia e
ambiente. Spiega come quest’immaginario abbia potuto provocare risposte
nate nel panico più assoluto durante la pandemia del Covid 19. E ci ricorda che
è essenziale continuare a sviluppare la nostra capacità di immaginario solidale
per contrastare ciò che provoca le catastrofi, oggi la pandemia e disastri
ecologici futuri.
Durante il confinamento, tutta una serie di persone è stata
dimenticata. Possiamo citare i-le lavoratori-trici del sesso, i
senzatetto, i-le migranti… Questa dimenticanza é volontaria? È il
risultato di un’ideologia? O questa dimenticanza è inevitabile in tutte le
società organizzate come la nostra?
«Non credo affatto che sia un problema legato ad una società che possa
rendere inevitabile qualcosa. Ci sono molti modi di costruire una società. Quello
che è stato fatto ai nostri anziani per esempio, con il pretesto che erano
vulnerabili, sarebbe del tutto inconcepibile in società più tradizionali, dove
si rispettano gli anziani. E rispettarli non significa
rinchiuderli. Ma in ogni caso penso che la parola “dimenticare” sia quella
giusta perché questo confinamento deve essere capito partendo da una reazione
di panico. E quando
c’è panico, si dimenticano molte cose! Si reagisce sotto l’influenza di
un’emergenza che impedisce di pensare. Questo panico che ci ha preso ci ha
guidato in una situazione che ha ovviamente accentuato tutte le disuguaglianze
sociali, tutti i rapporti di forza… In fondo, credo che abbiamo notato
un’indifferenza per tutto ciò che non era correlato al mantenimento dell’ordine
pubblico. E abbiamo capito che l’ordine pubblico sarebbe stato devastato
se l’intero sistema sanitario fosse stato sopraffatto. Quindi i
vulnerabili erano soprattutto coloro che minacciavano di creare lo scandalo del
sistema sanitario – orgoglio di un Paese sviluppato – che crolla. Che
questo avvenisse non si è voluto. Il resto sono conseguenze. E penso
anche che non dovremmo parlare troppo di scelta deliberata, sarebbe far troppo
onore a ciò che è stata questa situazione».
In termini di intenzioni, sia per ragioni politiche, e forse
elettorali, alcune categorie di popolazione sono screditate, poco prese in
considerazione? Abbiamo citato i senzatetto o le persone
praticamente inesistenti per la politica.
«Faceva parte delle disuguaglianze sociali. Ci sono persone che
farebbero meglio a non esistere… O anche persone che non dovrebbero esistere:
si potrebbe quindi parlare dei moltissimi lavoratori al nero che sono stati
totalmente mollati a loro stessi. La nostra società è molto
dura. Tutti coloro che non sono registrati come dipendenti, come aventi
uno statuto, cadono attraverso le maglie e attraverso delle maglie sempre più
larghe. Quindi, in effetti, potremmo parlare di un calcolo, ma è una
logica. Logica che, in fondo, fa prevalere una qualità amministrativa su dei diritti
umani o dei diritti sociali».
Per tornare a questo confinamento, abbiamo anche visto che è stata una
prova per molte persone. C’è stata molta violenza (specialmente
all’interno della famiglia), disturbi mentali e isolamento anche per molte
persone. Cosa rivela questa situazione sulle nostre società?
«Qualcuno potrebbe essere tentato di dire che l’isolamento accresce,
intensifica alcune delle caratteristiche della natura umana: la violenza per
esempio, i rapporti disuguali tra uomini e donne … Ma non ne sono così sicura
. Secondo me, parla più dello stato sociale violento che stiamo già
vivendo.
Per quanto riguarda la natura umana, va ricordato che gli esseri umani
non sarebbero mai sopravvissuti per decine di migliaia di anni se non avessero
una capacità altamente sviluppata di aiuto reciproco, solidarietà e
cooperazione. Gli esseri umani sono nati sociali. Ed essere sociale
significa essere sensibile alle reciproche esigenze, e non determinato da una
competizione dove vince il migliore. Il migliore sarebbe rapidamente morto
se avesse vinto contro gli altri. Quindi, sono piuttosto le nostre società
che fanno prevalere questa logica di competizione tra individui. E credo
profondamente che ciò si realizzi in una violenza contro la natura umana con
un’intero marchingegno sociale volto ad insegnare alle persone ad essere
egoiste e a pensare solo ai propri interessi.
Quindi ho l’impressione che se qualcosa mi parla della natura umana,
sono soprattutto queste persone che in gruppo o individualmente si sono
organizzate all’interno del confinamento per aiutare gli altri, per
rassicurarli, per portare loro del cibo, per mettersi a cucire maschere che
distribuivano a chi ne aveva bisogno … Qui, come per altro in tanti disastri,
si è creata una capacità di organizzarsi in maniera solidale e per la
solidarietà sotto il naso delle autorità pubbliche, che non si sono opposte ma
che non hanno aiutato veramente.
La natura umana non mi parla di queste violenze sistematiche dei forti
contro i deboli. Mi parla della violenza che costituisce l’isolamento, e
non solo l’isolamento del confinamento, ma l’isolamento che mette l’individuo
in condizione di dover riuscire per sé stesso, e guai ai vinti».
Notiamo che la pandemia ha generato una messa in dubbio crescente dei
processi decisionali politici e scientifici. Cosa ti ispira questa
sfiducia?
«Credo sia più che giustificata. Ma parlare di
“processi decisionali”, scientifici o politici, è già far loro un
complimento! Perché un processo è qualcosa che è pianificato, che si
ramifica, che si sviluppa ecc. Credo che il confinamento – e forse anche
il deconfinamento – possano essere messi sotto il segno di un certo panico. Quello
che colpisce è che si sapeva cosa stava succedendo in Cina, si iniziava a
sapere cosa stava succedendo in Italia. E per un po ‘ci siamo comportati come se se nulla stesse succedendo. Si ha ancora il ricordo dei passeggeri in arrivo a
Zaventem, tutti sorpresi di non essere sottoposti ad alcun controllo
sanitario. Ma si ricorda anche il momento in cui i politici hanno scoperto
improvvisamente di non avere l’ attrezzatura e i materiali necessari come le
mascherine per esempio!
Non parlerei di impreparazione, come se fosse contingente, come se fosse stata una
sorpresa. Perché no, non è stata una sorpresa: l’Organizzazione Mondiale
della Sanità aveva avvertito che le epidemie che diventano pandemie, erano il
nostro futuro. Si tratta piuttosto di un’incapacità di pensare veramente
con questa possibilità che qualcosa venisse ad arrestare la normalità delle cose,
la routine della crescita … Ciò a cui abbiamo effettivamente assistito, sono le
conseguenze di un idealismo. Quella del rifiuto di prendere sul serio ciò
che avrebbe potuto mettere in discussione l’onnipotenza di cio’ che è
considerata l’unica legittima fonte di azione e di pensiero, in questo caso,
per i nostri leader, la logica del mercato e della crescita. Per cui,
quando l’idealismo si trova improvvisamente di fronte a qualcosa da cui non può
più sfuggire, è il panico! Si trattava quindi piuttosto di un crollo del
pensiero dello Stato, del pensiero di chi ci governa. Con tutta la
brutalità del “non sappiamo piu’ cosa fare, quindi fermiamo tutto!”. Con tutte
le dimenticanze e le crudeltà di cui abbiamo parlato. Ma anche con la
totale mancanza di fantasia. In effetti, l’idealismo dei nostri
governanti, è un immaginario che fa la realtà, è il loro orizzonte, è la loro
realtà. Questo immaginario è quindi diverso dall‘immaginazione che è la
capacità di prevenire le difficoltà, ad anticipare, a sapere che cio’ che è
normale oggi potrebbe, improvvisamente, non esserlo più domani – e di pensarlo
seriamente. Quindi l’immaginario è un’anestesia
dell’immaginazione. Ed è proprio di questo che soffriamo.
E per quanto riguarda le scienze, il punto che mi ha veramente ferito
è sentir dire – soprattutto dai medici – ” la scienza”. E di vedere i politici riprendere questo termine,
dire ad esempio: “noi ascoltiamo la scienza ” perché gli conveniva. All’improvviso, in un nuovo
riflesso di panico, la politica è stata dimenticata ed è “la scienza”
che ha cominciato a guidarci. Ma è sempre una pessima idea di chiedere a “la scienza”
cosa fare, perché non è per niente il suo lavoro. Il suo compito è cercare
di porre domande pertinenti. Perché non appena diciamo “la scienza”,
si dimentica la pertinenza delle domande. Si fa come se ci fosse un metodo
scientifico unico che risponda a tutto in modo obiettivo. È anche un modo
per mettere a tacere tutti, poiché si sa che le persone sono incapaci di
comprendere la “scienza”. Mi ha molto colpito che la pluralità delle
scienze sia esplosa con questo nome unificante di “la scienza”. Questa
pluralità dipende proprio da quello con cui le scienze
hanno a che fare, delle domande che si sollevano e a cui ciascuna scienza può
rispondere in modo pertinente. Perché quando si è arrivati alla domanda
“chi è questo virus?” – cioè in termini biologici “qual è il suo materiale
genetico” – la risposta è arrivata in un modo del tutto sicuro. Tant’è che
ora possiamo seguire l’epidemia del virus, i percorsi epidemici, secondo le
mutazioni di questo materiale, che in fondo ha una storia. Quindi si sa
praticamente tutto ciò che si deve sapere sul virus in quanto tale. Ma il
virus in quanto tale non è granché al di là di cio’che è la sua ragion d’essere,
per non dire la sua ragione di vivere perché prende vita quando trova un ospite
che lo accoglie. E questo incontro, questo passaggio alla vita, non
ha nulla a che fare con le questioni dello stesso tipo di quelle legate alla
conoscenza del materiale genetico del virus: é tutto il corpo dell’ospite che
si mette in movimento e che è messo in gioco. E qui, tutta la conoscenza che si
ha sul virus diventa quasi inutile… Allora, i medici parlano de «la scienza »
come se fosse soltanto un insieme di specializzazioni. L’epidemiologia, altro
esempio, è una scienza assolutamente interessante ma crea dei modelli. E
questi modelli possono informare il politico ma non dicono nulla a proposito delle
conseguenze sociali delle misure da prendere per diminuire il tasso di
trasmissione.
Quando si attiva “la scienza”
per sostituirsi a un processo di pensiero collettivo con le persone, si perde i
tre quarti dell’intelligenza e la si sostituisce con una buona dose di stupidità,
di soddisfazione e di finzione. Ad esempio quando si sente che non è
dimostrato che la maschera protegga. Per cui, se non è provato, allora non
esiste. Adesso si sa che è uno scherzo, ma ovviamente era qualcosa che
rassicurava i politici che potevano così dire “certo, non abbiamo maschere, ma
non importa”. È stato anche detto che le maschere indossate dai Cinesi,
dai Giapponesi ecc. erano della cultura, la loro cultura, ma che le
maschere in realtà non servivano a nulla. Quindi, quando gli fa comodo, i
politici si appropriano del “non è dimostrato” avanzato da alcuni, mentre
gli altri tacciono perché non sta bene di ricordare che non si è cercato di
provare. E questi politici non ascolteranno questi altri scienziati che
sono gli psicologi che avrebbero potuto testimoniare dei danni causati ai
bambini quando perdono la loro vita sociale. Era un problema che
ovviamente è sorto dall’inizio ma che è diventato improvvisamente trattabile ed
espresso quando si è iniziato a pensare al deconfinamento.
La scienza era quindi di fatto soggetta alla
non-decisione politica. È un processo profondamente vizioso. E quello
che è grave è che a causa di ciò si può facilmente perdere fiducia in delle scienze che potrebbero avere qualcosa da dirci ed essere interessanti
di fronte a questa pandemia. Ma quando si trattano le persone come degli
idioti e che si chiede loro di fidarsi di ciò che è inaffidabile, generalmente
ci si ritrova di fronte a degli scettici. E questa è una catastrofe
culturale».
Si conosce il ruolo che gli esseri umani svolgono nelle modificazioni
del loro ambiente, nel modo in cui queste modificazioni lo influenzano, in
particolare su questo tema della pandemia. Si può sperare che quanto è
successo metta in discussione e modifichi il nostro rapporto con l’ambiente?
«Si potrebbe sperarlo, soprattutto perché ci si può attendere un
susseguirsi di pandemie. Questa è la prima che funziona meravigliosamente
per il virus, ma che sicuramente non sarà l’ultima. I virus sono delle
macchine da inventare. Parlo apposta di macchine e non di esseri viventi, perché la loro unica
ragione d’essere è incontrare un ospite che li accoglie e gli dia
ospitalità. A volte questo viene a scapito di quell’ospite, ma questo di
per sé non è il progetto del virus. Il virus prende vita solo se incontra
questo ospite, quindi i virus mutano velocissimi, innovano in tutte le
direzioni per massimizzare le loro possibilità di incontrare l’ospite benedetto
che gli permetterà di far parte della vita. Si potrebbe anche dire che è
un esule dalla vita che cerca di trovare una terra di accoglienza! E a
volte funziona. Quindi, molte cose che ci costituiscono in quanto
mammiferi, lo dobbiamo a dei virus che hanno saputo esistere con e nelle
cellule e permettere a dei tessuti cellulari di innovare. La placenta per
esempio, che caratterizza i mammiferi, è un’invenzione virale. Il
nostro genoma è pieno di resti di virus che sono riusciti ad acclimatarsi nel
tempo!
Ovviamente, nel nostro mondo, le probabilità di incontri e le
possibilità di fare un’innovazione fruttuosa per i virus sono moltiplicate per
il fatto che tutti gli ambienti sono devastati e invasi dall’uomo, per non
parlare degli allevamenti intensivi che sono meravigliosi incubatori di
innovazione per i virus. Per cui il modo in cui maltrattiamo la natura, in
cui maltrattiamo i nostri ambienti, proprio come maltrattiamo gli ambienti
umani, è pieno di opportunità d’oro per i virus. E una volta che sono
riusciti ad infettare un essere umano, scoprono un mondo, il mondo globalizzato
dove tutto circola, un mondo che è quasi fatto perché possano
diffondersi. Prima, potevano volerci anni prima che un’epidemia potesse
attraversare un continente e passare da un continente all’altro. Qui ci é
voluto qualche settimana grazie ai trasporti, all’aereo…Siamo dunque di
un’imprudenza folle per quanto riguarda questa natura e il modo in cui puo’
diventare minacciosa.
Ma c’è di peggio. Una pandemia è una crisi. Non si sa ancora
se finirà con centinaia di migliaia di morti o, come l’influenza spagnola, in
milioni di morti, ma per definizione, una crisi alla fine passa. Questa
crisi si installa, con la devastazione della natura, nell’insieme delle
pratiche umane di sfruttamento, d’estrazione e di combustione che ci porta al
mutamento climatico. Tuttavia, il mutamento climatico, lui, non è una
crisi: non passerà. I nostri discendenti e i discendenti dei nostri
discendenti dovranno ancora affrontarlo per secoli e secoli nella migliore
delle ipotesi … cioè, se sopravvivono. E d’altra parte, questo mutamento
climatico attiva ciò che gli umani stessi hanno messo in moto, vale a dire la
sesta estinzione che ci minaccia non solo noi, umani, ma anche la maggior
parte degli animali … I virus non sono esseri viventi ma i loro ospiti
principali, che sono i batteri, loro, non moriranno: ci sarà vita sulla
terra. Ma la vita della nostra era potrebbe benissimo estinguersi come si
è estinta la vita all’epoca dei dinosauri».
Come capire che c’è questo mantenimento di un rapporto con l’ambiente
che lo oggettivizza, che lo rende semplicemente inerte, come se si potessere
usare a nostro piacimento senza conseguenze?
«Questa idea si tiene perché fa parte di questo regime chiamato
capitalismo, capitalismo socialista incluso. Si sfrutta ciò che può essere
sfruttato, si estrae ciò che può essere estratto e il resto sono
rifiuti. Fa parte della storia in cui siamo stati imbarcati e in cui
abbiamo imbarcato il resto del mondo con la colonizzazione. Abbiamo distrutto
stili di vita attenti alla natura. Abbiamo infranto ogni possibilità di
prestare attenzione, ogni preoccupazione per le conseguenze. Questa idea
che sia nostro ruolo dominare la natura fa qui encora parte
dell’immaginario. Proprio quello che ci dice: “quelli che hanno paura sono
quelli che rifiutano il progresso”. La immaginazione, lei, ci parlerebbe
dei rischi … Ciò che colpisce quando si parla dell’insieme dei disastri
climatici che sono già iniziati è che si tratta dell’idealismo di cui ho
parlato sulla pandemia, ma questa volta su tempi più lunghi: ben sappiamo che
succederà, ma continueremo a comportarci come se nulla stesse per accadere,
come se un miracolo stesse per salvarci … È una reazione tipicamente
idealistica non fare altro che rispondere con una retorica rassicurante.
Capisco gli attivisti quando dicono: “Noi non difendiamo la natura,
siamo la natura che difende sé stessa”. Perché questa capacità idealistica
di non fare nulla, questa anestesia dell’immaginazione, si è imposta là dove
tutte le interdipendenze, tutte le solidarietà sono state, e sono sempre,
minate e ridotte all’impotenza. O ancora, ridotte a una sorta di
sacrificio “altruistico”: ciò va bene ai santi che si sacrificano per gli
altri, ma l’uomo normale veglia sui suoi interessi da buon egoista nativo quale
sarebbe… Ebbene se la natura fosse stata popolata di egoisti non ci sarebbe più
natura. Sappiamo ormai che la natura esiste attraverso interdipendenze
multiple e intricate, e che la devastazione della natura, è precisamente
la distruzione di mondi, o d’ecosistemi, tenuti insieme dall’interdipendenza
tra gli esseri viventi che vi coesistono. Quindi distruggere le
interdipendenze che si tessono nel suolo significa uccidere la sua fertilità,
significa avere solo raccolti che vivranno solo di input, cioè i fertilizzanti
e i pesticidi che ci avvelenano. Sono le monocolture che sono vulnerabili
alle epidemie ormai quanto lo siamo noi».
Sottolinei chiaramente il pericolo del mutamento climatico e la
mancanza di risposte ad esso. Si vede che a ciò si accompagna anche il
pericolo sui diritti sociali, se segue la tendenza iniziata negli ultimi anni,
si può temere il peggio per il futuro. Si deve anche temere il peggio
sulle questioni della democrazia e della convivenza che dovrebbero essere le
fondamenta delle nostre società?
«La democrazia può assumere molte forme, può seguire due
estremi. Da un lato, ridursi all’arte di condurre un gregge senza che si
rivolti, rendendolo docile con tutti i mezzi. D’altra parte, tendere verso
l’esigenza costantemente rinnovata e costantemente approfondita che le persone pensino insieme. Ci
può essere tensione e conflitto, ma le persone pensano insieme e cercano di
dare un senso in comune al futuro che sarebbe possibile per loro. È quindi
una forma di interdipendenza: si pensa con gli altri e grazie agli
altri. Questa forma di democrazia per la quale l’interdipendenza e la
crescente consapevolezza delle interdipendenze (e quindi l’arricchimento a cui
danno luogo) è effettivamente minata da tutte le parti si chiama democrazia
sociale. E’stata portata dai movimenti operai. I diritti sociali, o meglio
la solidarietà sociale, non sono stati creati dallo Stato, ma lo Stato li ha
ripresi in mano. E adesso può dire a coloro che ora sono chiamati beneficiari, che
lui li ha assegnati e che lui può tagliarli e persino portarglieli via. Lo
Stato può quindi effettivamente distruggere i diritti sociali man mano che la
democrazia diventera’ sempre più l’arte di guidare le greggi.
Ad esempio indirizzando il gregge contro coloro a cui si dice che sono
le pecore nere come i disoccupati, questi pigri, questi profittatori. I
disoccupati sono diventati i sospetti contro i quali si ribellano le persone
oneste che lavorano e che chiedono di essere protette. Quindi non è più
solo “guai ai vinti” ma “guai a tutti”! Perché tutti imparano a pensare
come parte di un branco dove ognuno si contrappone all’altro, dove ognuno
accusa docilmente gli altri di essere responsabile della propria situazione. Ci
vuole fantasia per resistere alla tentazione del “il disoccupato deve solo
trovarsi un lavoro”. Un’immaginazione solidale. Sono entrata ai
Diritti dell’Uomo e all’atelier dei
diritti sociali, in particolare a causa della sorte del
disoccupato. Al momento in cui si installava la crisi dell’impiego, sono
state imposte misure contro i disoccupati sotto sorveglianza. Poi delle
misure per motivare i disoccupati, ovvero per forzarli a vivere
nell’immaginario di trovare un lavoro, ad agire come se ci credessero: è tutto
quello che chiediamo loro ma devono farlo. Lì mi sono detta che ci
forzavano a pensare contro la realtà. Questa non è più una democrazia, non
direi nemmeno che è una democrazia in pericolo, è una democrazia in
putrefazione».
Il confinamento potrebbe essere stato un momento di accresciuta
consapevolezza per molti che si sono trovati in questa situazione
eccezionale. E allo stesso tempo c’è questo ritornello che ci dice: “non è
che una parentesi, si deve continuare come prima”. Quali sono giustamente
le prospettive per coloro che ora dicono che è ora di cambiare rotta?
«Prima di tutto, credo che non dovremmo farci troppo l’idea che la
sfiducia nei confronti di chi ci governa ci renderà liberi e che il “prossimo
mondo” sarà diverso perché avremo capito quello che noi dobbiamo alle
infermiere, ai netturbini, agli autisti di autobus… Perché la sfiducia può
anche produrre disprezzo, risentimento, xenofobia. Naturalmente, non
dobbiamo lasciare passare nulla, essere recalcitranti, non ammettere alcun argomento
senza sapere che racchiude una trappola. Ma soprattutto sapere che non
faranno un po’ diversamente se non li si costringe a farlo. Non bisogna
credere che loro abbiano imparato la lezione. Ad esempio, dobbiamo ricordare che
dopo la crisi finanziaria, ci è stato detto che tutto sarebbe cambiato e
abbiamo avuto l’austerità … Dobbiamo conservare ricordi e storie, dobbiamo
raccontare come succederà prima che accada. Dobbiamo crearci delle immunità contro
ciò . E senza dubbio stringere le alleanze che sono assolutamente
necessarie. In azione, gli attivisti anti-capitalisti e i sindacalisti
possono intendersi e fare causa comune di fronte a ciò che sta
accadendo. Credo sia giunto il momento di scavare in queste storie di
solidarietà improvvisate perché ci saranno ricatti sul lavoro, perché diranno
“noi, noi difendiamo chi vuole davvero lavorare” etc. Ci sarà un mucchio
di manovre di divisione, è già in preparazione. Quindi c’è da
aspettarselo. Occorre riuscire a fare che ciò che ha potuto nascere come
immaginazione e come rifiuto si difenda contro tutti i veleni che verranno
somministrati. Siamo in un momento in cui non possiamo sperare, perché non
lasceranno andare nulla e perché sono molto forti. D’altra parte, è
un momento in cui non si ha il diritto di disperare. Perché tutto ciò che
impareremo per resistere saranno cose che permetteranno ai nostri discendenti
di aiutarsi a vicenda e di sfuggire alla barbarie del ciascuno per sé».
Se ci fosse una cosa da dire su ciò che il nuovo coronavirus ha avuto
o avrà di positivo a cosa penseresti?
«Non ho voglia di rispondere a questa domanda perché fa troppa
distinzione fra le persone. Ce ne sono stati troppi per i quali è stato un
calvario. Durante il confinamento io non ero infelice. Non la
smettevo di stare all’erta, cercando di vedere cosa stava succedendo, insomma
ero curiosa ed è stato straordinariamente interessante notare le piccole cose
in rapporto a quelle grandi. Quindi ho imparato molto. Ma non posso
dire che sia stato un felice apprendimento. È stato semplicemente un
momento intenso dal punto di vista della questione “cos’è un mondo che vive
quando le risposte ovvie si sono dissolte?”, del “Cos’è un mondo che cerca la
sua strada nell’incertezza?”. E trovare a volte le parole per dirlo, per farlo
capire, per celebrare l’importanza di questo momento e le molteplici
risonanze che ha avuto. E’ stata un’attività che in definitiva era molto
filosofica anche se era il tempo stesso ad essere filosofico, vale a dire che
poneva il problema stesso di “che cos’è questa vita?”».
traduzione di Tiziana Saccani
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