Molti credono che i poveri sono quelli che non hanno un lavoro. Ma le cose non stanno così. In Italia il 10% degli operai e l’1% degli impiegati è “in povertà assoluta” (cioè guadagna così poco da non riuscire a soddisfare i suoi bisogni primari: meno di 603 euro al mese per una persona di 18-59 anni che abita a Napoli, meno di 566 euro se abita in un piccolo comune, meno di 980 euro per una coppia di napoletani con un bimbo piccolo [1]). Il 12% di tutti i lavoratori è a rischio povertà [2].
Le persone in povertà assoluta sono 4,6 milioni (di cui 1,4 milioni
minorenni) e si trovano soprattutto al Sud: l’8,5% delle famiglie del
Meridione si trova in questa situazione, al Nord è il 6% e al Centro il 4,5%
[1].
Un altro indicatore di quanto sia diffusa la precarietà economica è il
numero di persone che non hanno alcun euro da parte o una quantità davvero
misera: in Italia 10 milioni di persone hanno meno di 400 euro di
“risparmi”.
Questi dati si riferiscono al 2019, prima della crisi economica determinata
dal covid, e dipingono un quadro drammatico. Eppure nel 2019 la
situazione è migliorata: dopo quasi 10 anni la povertà per la prima volta
diminuisce e in maniera molto significativa. Infatti le persone a
rischio di povertà sono diminuite di un milione, quelle in povertà assoluta di
circa mezzo milione e chi rimane povero lo è un poco meno [1].
La causa principale di tale miglioramento è l’istituzione del cosiddetto
reddito di cittadinanza (in realtà un sostegno al reddito per persone
povere o a rischio di povertà). Probabilmente non è l’unica causa (come qualche
giornale e qualche politico ha detto). Ciò è vero soprattutto per la riduzione
del numero delle persone a rischio di povertà, perché in tutta la UE c’è stata
una diminuzione di tale categoria, anche se da noi è stata doppia (-1,7% contro
-0,8% della UE [3]).
La povertà è un fenomeno complesso e per giudicare i provvedimenti per
contrastarla bisogna cercare di non avere preconcetti, conoscere bene le
caratteristiche del provvedimento e cercare verificare tutti gli effetti. Qui
cercheremo di analizzare il reddito di cittadinanza (RdC)
Il reddito di cittadinanza si propone tre obiettivi: 1) sostenere
economicamente chi è povero; 2) far lavorare i poveri che possono lavorare; 3)
recuperare socialmente quelli che non possono lavorare.
Esso è condizionato a determinati requisiti e obblighi. Tra i requisiti:
essere cittadino italiano o straniero regolare risiedente in Italia da almeno
10 anni; avere un reddito complessivo ISEE inferiore a 9.360 euro annui (se
si è in casa in affitto); non avere depositi bancari/postali superiori
a determinate cifre; non avere proprietà immobiliari del valore superiore a
30.000 euro (esclusa la casa dove si abita); non possedere veicoli
superiori a un determinato valore ecc.
Per quanto riguarda gli obblighi essi variano a
seconda se si viene giudicati idonei a lavorare o bisognosi di un reinserimento
sociale. Nel primo caso si è obbligati a svolgere corsi di qualificazione,
accettare il lavoro offerto, prestare tra 8 e 16 ore settimanali di lavori
socialmente utili organizzati dal Comune ecc. Nel secondo caso
a partecipare a un patto personalizzato per l’inclusione sociale, che può
prevedere obblighi quali: sottostare a determinate cure (psichiatriche, di
disassuefazione da dipendenze ecc.), mandare i figli a scuola ogni giorno,
partecipare a colloqui o corsi, accettare l’aiuto di operatori sociali ecc.
L’assegno economico che si riceve varia in base al reddito, al numero di
componenti della famiglia, alla presenza di persone disabili ecc. e può andare
da 40 euro a oltre i 1.000 euro al mese (per 200mila percettori è inferiore a 200
euro, per 60mila superiore a mille euro, la media è 253 euro per i pensionati e
573 euro per chi non lo è [4]).
Come ogni intervento esso è esposto a due tipi di “errore”: 1) non
raggiungere le persone che si prefiggeva di aiutare; 2) reclutare persone che
non si voleva aiutare. Dall’analisi dei vari tipi di sostegno al
reddito attuati nella UE si sa che circa il 20% dei soggetti bisognosi
del sostegno non lo riceve [5]. I motivi possono essere vari:
mancata conoscenza di questa opportunità, convinzione che non si è capaci di
presentare la domanda, sfiducia, difficoltà di poter fornire i dati richiesti,
timore di perdere condizioni che non si vuole perdere (lavoro a nero, altri
sussidi), indisponibilità a sottostare agli obblighi richiesti, vergogna a
svelarsi come povero, criteri troppo stringenti ecc.
L’altro tipo di “errore” può avere due ordini di cause: la difficoltà di
individuare efficaci criteri (e buoni strumenti per certificane
il possesso) e i comportamenti illegali (evasione fiscale,
lavoro nero, dichiarazioni false, documentazione contraffatta ecc.). In genere
più si cerca di evitare uno dei due errori e più aumenta la probabilità di
cadere nell’altro. Secondo alcuni autorevoli esperti [5, 6] il reddito
di cittadinanza cade soprattutto nell’errore di primo tipo (non riesce a
raggiungere il 30% di quelli che ne avrebbero realmente bisogno [5]).
Non c’è molto da stupirsi: questa misura di sostegno ai poveri è stata molto
avversata e con argomentazioni che facevano riferimento solo al secondo tipo di
“errore”: “Soldi ai nullafacenti”, “Così si invoglia la gente a starsene seduta
sul divano”, “Lo Stato aiuta i disonesti e non si interessa dei lavoratori”,
“No all’assistenzialismo” ecc. Per alcuni opinion leader la
possibilità di percettori impropri era un motivo sufficiente per non introdurre
una tale misura (come a dire che poiché alcuni non pagano il biglietto sui
mezzi pubblici si può anche abolire il servizio). Così sono stati
aumentati criteri e obblighi per accedere al sussidio: forse abbiamo avuto
meno non aventi diritto che l’hanno percepito, ma abbiamo sicuramente avuto più
aventi diritto che non lo hanno avuto. Ci si dovrebbe chiedere se ne è
valsa la pena. Soprattutto in considerazione del fatto che i non aventi
diritto che ricevono il sussidio sono comunque persone con basso reddito anche
se non povere (è difficile che un ricco o un benestante acceda al RdC, ma
proprio per questo riceve enorme attenzione dai media). Certo bisogna impedire
tali comportamenti delittuosi, ma il problema lo si deve affrontare con
attività investigativa (controlli incrociati) e con la certezza della pena.
Quanti siano i percettori illeciti del reddito di cittadinanza è impossibile
saperlo. Nel 2019 sono state denunciate alla magistratura 709 persone e,
spesso, grazie a questi controlli, sono state scoperte aziende in nero. Sarebbe
bene che la lotta al lavoro nero fosse molto più incisiva, perché in tal modo
diminuirebbe l’evasione fiscale, lo sfruttamento dei lavoratori, l’inquinamento
ambientale e anche il fenomeno dei finti “privi di reddito” che percepiscono
sussidi.
Malgrado i limiti sopra esposti possiamo dire che il primo
obiettivo (sostenere i poveri e le persone a rischio di povertà) è stato
abbastanza raggiunto.
Esaminiamo ora il secondo obiettivo (far lavorare i poveri che possono
lavorare). Il 55% dei percettori del reddito di cittadinanza non è, al
momento, idoneo al lavoro (perché pensionato, malato, responsabile
della cura di un minore o di un disabile, disoccupato da troppo tempo
ecc.). Il restante 45% (1.369.000 persone) ha sottoscritto il patto per
il lavoro ma solo 352mila persone, cioè il 26%, hanno avuto almeno un rapporto
di lavoro (il 65% a tempo determinato, il 15,5% a tempo indeterminato)
[4]. Tale magro risultato è solo in parte ascrivibile al ritardo col quale sono
entrati in servizio i cosiddetti “navigator”. Due sono i motivi principali:
1) l’offerta di lavoro è scarsa; 2) le persone povere, anche se teoricamente
adatte a lavorare, non sono quelle che il mercato del lavoro oggi cerca (per
esempio il 70% ha solo un titolo di studio inferiore, mentre oggi si vuole
personale qualificato [5]).
Pensare che i corsi di formazione e i centri per l’impiego avrebbero potuto
risolvere la questione era ingenuo e velleitario. Ancora più fuori
dalla realtà è pensare che servano le minacce (togliere il sussidio) o
costringere i datori di lavoro a prendere personale non qualificato o non
idoneo (si pensi alle proposte della Lega e di Fratelli d’Italia di
utilizzare i percettori del reddito di cittadinanza per svolgere i lavori
agricoli). Proposte demagogiche che però fanno presa su chi non conosce le
situazioni.
Il secondo obiettivo, quindi, in parte è fallito, ma è fallito perché era
velleitario. La disoccupazione la si combatte con la politica economica,
industriale, del lavoro, agricola, turistica, sanitaria, educativa, con la
velocizzazione della giustizia civile ecc. molto più che con una misura come il
reddito di cittadinanza.
Per quanto riguarda il terzo obiettivo (il recupero sociale di soggetti
problematici) a oggi non vi sono dati sufficienti per dare un giudizio.
Un’altra accusa che è stata fatta al reddito di cittadinanza è di favorire
“l’indolenza e la pigrizia” dei poveri (come se la povertà fosse una colpa
dei poveri e non un’ingiustizia sociale). In realtà le ricerche
effettuate in altri Paesi UE evidenziano che tale fenomeno è
del tutto marginale e ciò, molto probabilmente, vale anche per il
reddito di cittadinanza, perché utilizza accorgimenti, quale la riduzione
scalare dell’assegno in base al numero dei componenti il nucleo familiare, che
hanno proprio questo fine [7]).
Un’altra critica che viene mossa è che pochissimi percettori del
reddito hanno svolto le 8-16 ore settimanali di lavori socialmente utili,
ed è vero (sono solo 7.000 persone). Bisogna però considerare
che il decreto attuativo è stato varato a ottobre 2019, dopo il quale
i Comuni hanno potuto attivarsi (deliberare i progetti di lavoro ecc.),
ma da marzo a luglio a causa del covid si è fermato tutto e quando si è
ripartiti c’erano tutte le difficoltà legate alla pandemia. In realtà è
molto più complicato di quel che si pensa impiegare i percettori di reddito in
lavori socialmente utili. Come ha detto il responsabile per il welfare
dell’ANCI: “È un problema di risorse umane e finanziarie. Risorse che i
Comuni non hanno. Dietro ai Puc (i lavori socialmente utili, ndr) c’è un gran
lavoro: programmazione, raccordi con i nuclei familiari, i Centri per l’impiego
e il Terzo settore, predisposizione di bandi, stipula di convenzioni e
assicurazioni, formazione, tutoraggio, acquisto dei dispositivi di protezione,
predisposizione di schede e via di seguito. Un insieme di attività che richiede
personale e fondi, spesso sottratti ad altri compiti” [8]. Tutto ciò scoraggia
molti Comuni dal servirsi di questa opportunità.
Una critica che noi facciamo al RdC è la scarsa considerazione per gli
stranieri in povertà. Concedere il sussidio solo agli stranieri che da almeno 10 anni
risiedono legalmente in Italia è, a nostro giudizio, una scelta ingiusta e
sbagliata. Questi lavoratori hanno pagato per 3, 5, 7, 9 anni
contributi pensionistici e tasse e a moltissimi di loro l’INPS non verserà mai
la pensione (perché avranno lasciato il nostro Paese o perché non
avranno raggiunto il minimo): se ora una parte di loro è povera, perché
non aiutarla? L’integrazione degli stranieri non passa anche dal venire
incontro ai loro bisogni e dal farli sentire parte della nostra società? Meno
disuguaglianze non significa anche meno tensioni e conflitti?
Purtroppo per vari esponenti politici e opinion leader dare soldi agli
stranieri è una bestemmia e darli ai poveri quasi. Il reddito di
cittadinanza è costato 3,8 miliardi nel 2019 e poco meno di 6
miliardi nel 2020 e c’è stato un coro di voci di protesta, come se per
colpa di questa manovra l’Italia andasse in bancarotta. L’abolizione
dell’IMU costa 4 miliardi all’anno, il superbonus al 110% 10 miliardi (che
per il 35% andranno a famiglie ad alto reddito [9]), eppure sono pochissime le
voci contrarie a tali provvedimenti. Forse perché i beneficiari non sono i
poveri (la maggioranza dei poveri abita in case in affitto e un centinaio di
migliaia abita per strada)? Lo Stato regala 8.000 euro a chi compra
un’auto elettrica (prezzo da 26.000 a 116.000 euro), 4.500 a
chi compra un’auto ibrida (prezzo da 30.000 a 182.000 euro), 260
milioni alle aziende delle acque minerali, 1.316 milioni alle proprietarie di
centrali elettriche a combustibili fossili (i principali responsabili
del cambiamento climatico) eppure solo qualche associazione ambientalista
protesta [10]. Si sono fatti innumerevoli regali ai ricchi (abolizione
dell’IVA sui beni di lusso, riduzione delle aliquote IRPEF per i redditi alti,
diminuzione delle tasse di successione ecc.) e solo pochi hanno
protestato. Insomma in Italia ci si indigna solo quando sono i poveri a
essere aiutati. Forse anche perché la maggioranza dei poveri è al Sud e il Sud
deve sempre avere meno finanziamenti del Nord e del Centro.
.Da: ki.noblogs.org
Fonte: Associazione Marco Mascagna.
Note: 1) Istat: Report povertà 2019; 2) Per l’Istat le persone “a rischio di
povertà” sono quelle che vivono in famiglie con un reddito equivalente
inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano, per una famiglia
composta da una sola persona significa guadagnare meno di 1100 euro lorde al
mese; 3) Eurostat 2020; 4) INPS: www.inps.it/nuovoportaleinps...; 5) www.eticaeconomia.it/le-crit...; 6) ci riferiamo alle
analisi degli economisti Maurizio Franzini e Michele Raitano (docenti alla
Sapienza) e Elena Granaglia (doc. a Roma Tre); 7) www.eticaeconomia.it/le-crit...; 8) VITA: reddito di
cittadinanza e progetti utili alla collettività; 9) Lo dichiara un documento
del Governo Italiano che stima che solo il 10% dei fondi del superbonus
avvantaggeranno le persone di basso reddito, mentre per il 35% quelle ad alto
reddito. Si veda: Bloomberg: Climate Adaptation Italy Bets on a Low-Tech Plan
to Green the Economy and Save Jobs, 29 dicembre 2020; 10) Legambiente: Stop
sussidi alle fonti fossili e ambientalmente dannosi, 2020
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