Ho partecipato a uno di questi dibattiti elettronici da tempo di Covid, che detesto. Avevo già detto di no a altre proposte di intervento sul tema, ma questa volta ho accettato. L’argomento era quello dell’ennesimo episodio inquisitoriale che ha investito il libro London, di Gian Butturini.
Il libro, uscito in prima edizione nel 1969, è stato
recuperato grazie a Martin Parr, che ha aggiunto una prefazione alla nuova
edizione inglese e gli ha fatto conferire un premio.
Una ragazza ha accusato sui social Butturini, Parr,
l’editore e il libro di essere un'operazione razzista.
Naturalmente, soprattutto in Inghilterra, questa
denuncia ha subito suscitato una quantità di approvazioni e manifestazioni
che hanno
indotto Parr a dimettersi dal premio e a consigliare
l’editore di ritirare il libro dal commercio. La famiglia, che rappresenta la
Fondazione Butturini si è opposta e ha ricomprato le copie ritirate. Il motivo
di questo attacco censorio era stato innescato da una doppia pagina del libro
nella quale si fronteggiano due fotografie, una mostra una donna nera
accovacciata, umiliata, l’altra un orango dietro le sbarre nello zoo di Londra.
Butturini, già nel 1969 aveva chiarito in un testo che accompagna il libro le
sue intenzioni di denuncia antirazzista e in questo caso anche contro le
crudeltà nei confronti degli animali, che metteva graficamente in relazione.
Non è bastato.
Un episodio tra i molti, purtroppo, in questo tempo di
inquisizione da social che stiamo vivendo.
All’inizio mi sono molto irritato per questa fuga, sia
di Parr che dell’editore davanti ad accuse platealmente infondate, frutto di
analfabetismo visivo e di presunzione, per giunta animata da nobili scopi. Poi,
avendo incrociato altri episodi del genere, alcuni anche peggiori, che arrivano
al linciaggio personale, alle accuse di pedofilia, sono arrivato alla
conclusione che li capisco. In realtà, credo che davanti a simili aggressioni
scandalose per il semplice buon senso, la migliore delle reazioni sia di non
dare corda a questa stupide e pericolose manifestazioni di
intolleranza.
Se gli dai corda quelli la usano per impiccarti.
Pensate alla soddisfazione di questa ragazza presuntuosa per avere provocato un
simile vespaio.
Per questo mi ero rifiutato prima di intervenire, su
questo come su altri episodi altrettanto pretestuosi quanto inquietanti.
Ma conoscevo Butturini e il suo lavoro, animati da
forte impegno sociale e morale. E poi, qui si bruciano i libri, come al tempo
dell’Inquisizione o del nazismo, quando non si arriva ai roghi mediatici delle
persone. Si induce un clima insopportabile di autocensura.
E allora ho accettato. Mezzora di preparazione,
poi il
dibattito tra cinque persone.
Oltre tre ore; nemmeno Ben Hur.
È stato un buon dibattito, e sono state dette molte
cose sensate e intelligenti. Per la prima ora ho soprattutto vissuto complessi
di colpa per i nobili inviti a reagire, a usare gli stessi social per
controbattere, discutere, addirittura per educare chi si abbandona a queste
pratiche, cercare di capirli, tenere conto delle loro qualche volta nobili
motivazioni.
Mi è venuto in mente l’episodio di De Gaulle quando,
discendendo a Parigi gli Champs Elysées per celebrare la vittoria contro il
nazismo, si trovò davanti a uno striscione di anarchici che recitava Mort
aux cons, morte agli imbecilli. Vaste programme!, commentò.
Poi, con lo scorrere delle ore il mio istinto mi
spingeva alla fuga.
Non ho Facebook, Twitter, Instagram e
niente di tutto questo. Non posseggo uno smartphone e il mio telefonino è stato
probabilmente trovato durante gli scavi di Pompei. Niente di tutto questo,
naturalmente, riesce a tenermi al riparo dall’alluvionale chiacchiericcio
elettronico. Con due miliardi di smartphone, con internet e social
generalizzati non è più possibile. Tutto, in un modo o in altro, filtra, tutto
ti arriva. Fin troppo. Ogni tanto mi sento in colpa per questa, mi rendo conto,
un poco assurda autoemarginazione dalla “modernità”. Tutti mi considerano un
poco handicappato. Forse è una faccenda generazionale. Magari è snobismo, come
molti polemicamente e magari giustamente insinuano. Per carità, mi servo come
tutti di Internet. Con juicio, però, almeno credo. Ma se mi imbatto in un testo
un po’ lungo che mi interessa devo stamparmelo e lo leggo sulla carta. Solo
così mi sembra di acquisirlo nella memoria e nella coscienza. Considero
Internet, per quanto inventato dai militari e ora nelle mani di pochi, oscuri
gestori, un formidabile strumento culturale.
Sui social, lo ammetto, sono molto più critico.
Il dibattito, lo ripeto, è stato un buon dibattito,
anche se in definitiva eravamo tutti d’accordo. Tuttavia, a soli due giorni mi
sembra già di non ricordarlo più bene nel suo sviluppo e nei dettagli. Credo, e
magari mi sbaglio, che occorra molto masochismo per restare tre ore davanti a
uno schermo di computer andando dietro a cinque persone che parlano. Durante la
conversazione sono state mostrate alcune pagine del libro, compresa la doppia
pagina incriminata. Su un monitor le cose vanno veloci. Cercavo di figurarmi le
reazioni di quella ragazza davanti al libro. Si imbatte in quella doppia
pagina, dove io vedo anche una certa ingenuità tipica di quegli anni: la
contrapposizione tra il nuovo e il vecchio, i giovani e gli anziani, i ricchi e
i poveri, due forme di ingiustizia. Un tentativo di rafforzare la denuncia. Ma
la ragazza si indigna. Non per le immagini, vecchie di cinquant’anni, peraltro,
ma perché il fotografo le ha accostate. Tutti, ormai, sono convinti di capire
il linguaggio delle immagini. Si mette davanti al computer e attraverso i
social stigmatizza, accusa di razzismo. Accusa chi? Accusa Butturini di avere
denunciato il razzismo. Ma soprattutto accusa il curatore e l’editore per avere
ripubblicato il libro tale e quale. Se avessero censurato quelle due pagine non
avrebbe potuto farlo. Insomma, censura chi non ha censurato. E trova molti
seguaci.
Come opporsi a un tale cumulo di insensatezze?
Credo di sapere quali sono le cause di questo mio
rifiuto nevrotico dello tsunami elettronico. Già molti anni fa mi aveva colpito
la dichiarazione di un importante scrittore francese che diceva di detestare le
folle perché sapeva bene che cosa vi diventasse dentro.
Sarei stato capace in mezzo alla folla di piazza
Venezia di esprimere dissenso tra migliaia di persone in delirio per le parole
di Mussolini che annunciava la dichiarazione di guerra che avrebbe rovinato il
paese e mandato migliaia di giovani a morire?
Credo che la folla elettronica non sia meno
indiscriminata e pericolosa. Penso che la lucidità intellettuale e le scelte
morali siano un fatto individuale. Con l’aggravante, credo, che,
come capì benissimo Ennio Flaiano, dentro la folla mediatica, dentro la società
di massa, l’imbecille, l’ignorante, ha ora idee e le esprime e trova consensi
qualche volta molto vasti.
Penso che il fenomeno sia basato su un collettivo
senso di colpa. Chi se la sentirebbe di non essere decentemente contro il
razzismo, l’omofobia, lo schiavismo, la discriminazione religiosa, ideologica,
nei confronti delle donne, degli handicappati, la pedofilia? Molte aggressioni
ignoranti e fondamentaliste si basano su questo ricatto. E sono, ahimè, spesso
ricatti morali e ideologici “di sinistra”, ammesso che ci possa essere
un’inquisizione di sinistra. Sembra che ci sia stata una divisione dei compiti.
La destra colpisce soprattutto con le menzogne, le fake news. Da sinistra si
utilizza il ricatto morale e ideologico.
Kundera ce lo ha insegnato: i censori del mondo
comunista non erano sempre dei trinariciuti crudeli, che rovinavano a cuor
leggero la vita delle persone che non la pensavano come loro, quando non li
spedivano nei gulag. Erano spesso, invece, persone dallo sguardo limpido,
convinti di difendere a qualsiasi costo le magnifiche sorti e progressive che
stavano costruendo. Con la stessa aggressività e violenza dei reazionari che
utilizzano le menzogne. Per giunta con effetto retroattivo, come per le due
fotografie di Butturini.
Chi ce l’ha più con Nabucodonosor? scriveva
Cioran. E invece, sì. Devi avercela con Nabucodonosor, con i faraoni che hanno
sacrificato migliaia di schiavi per costruire le piramidi. Vogliamo distruggere
anche le piramidi?
Si imbratta a Parigi la statua di Voltaire, che ci ha
insegnato la tolleranza e il pensiero laico, in nome di un episodico e magari
riprovevole peccato di partecipazione a imprese di finanziamento a navi che
rastrellavano schiavi.
Confrontarsi, dicono, educare, persuadere. Vaste
programme!
Mi è capitato, e non solo a me, di provarci. Sei
immediatamente sommerso da violente aggressioni. Che diritto hai tu di parlare?
Sei un bianco privilegiato, la cui condizione nasce dallo sfruttamento
plurisecolare di questi tuoi privilegi. Taci, dunque.
E uno tace. Come avveniva ai tempi dei processi
inquisitoriali, durante il nazismo. Credo che sia questa la conseguenza più
grave del clima intimidatorio che viviamo.
Taciamo, con grandi complessi di colpa, appunto.
Non è una tendenza che si prospetta di breve durata. È
un virus, e come il virus che stiamo subendo, non si sa bene per quanto tempo
dovremo confrontarci. Né ci sono prospettive di vaccini.
Continuo a ripetermi che non si può fare altro se non
continuare a pensare, a confrontarci con noi stessi sui temi morali e ideologici
che la situazione implica.
E però, tanto per confermare la mia natura
contraddittoria, ho partecipato a quel dibattito.
E però, sto scrivendo questo articolo amaro.
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