ecco il film di Gianni Serra ispirato al romanzo di Laura Conti
qualche comune dedica una
strada a Laura Conti
Udine – via Laura
Conti
Bolzano
– Via Laura Conti
Corsico
– Via Laura Conti
Ravenna Via Laura Conti
dice Laura Conti:
L’ecologia si
serve delle scienze sperimentali ma non è una scienza sperimentale: è una
scienza di esperienza e non di esperimento, perché non può lavorare su modelli
della realtà ma può soltanto osservare la realtà. […] Ciò la induce ad
affidarsi, spesso, ai pregiudizi. Per gli scienziati sperimentali i pregiudizi
sono cose orride e nefaste, da liquidare senza pietà. Invece, nella cultura dei
movimenti ecologisti il “pregiudizio” è la convinzione a priori che le
soluzioni affermatesi nel corso dell’evoluzione biologica, essendo state
collaudate per tempi lunghissimi, abbiano maggiori probabilità di essere
affidabili di quante ne abbiano le soluzioni escogitate dagli scienziati,
collaudate solo per tempi brevissimi. (da l’Unità, 13 giugno 1992; citato in Laura Centemeri, Ritorno a Seveso: il danno
ambientale, il suo riconoscimento e la sua riparazione, Bruno
Mondadori, 2006, cap. 3.2.3, p. 121)
Laura Conti: una scienziata ecologista – Chiara Zamboni
Vorrei parlare di Laura Conti,
perché la penso come la figura più importante dell’ecologia in Italia dagli
anni Ottanta del Novecento. Considero essenziale riconoscere il sapere,
l’impegno politico ed esistenziale di quella che potremmo chiamare una “madre di
tutti noi”. Studiandola, leggendola, considerando la sua passione politica, si
può comprendere ora dove ci collochiamo e qual è l’insegnamento che possiamo
riprendere da ciò che ci ha lasciato in eredità.
Non è stata femminista in senso
stretto in un periodo in cui il femminismo era diffuso, seguendo la sua seconda
ondata. Ma ha avuto, come medica e scienziata, grande attenzione per la salute
delle donne e la vita delle donne essendo una donna. E di questo aveva grande
consapevolezza. Per me questo basta. Essere una donna e assumerlo orientandosi
nella realtà, è il primo e più importante passo politico, se si parla di
politica delle donne.
Prima però di parlare
direttamente di lei, ricostruendo una genealogia che ci è necessaria, vorrei
riprendere alcuni elementi della differenza sessuale. Potrebbe sembrare inutile
e ripetitivo, ma altrimenti, mi sembra, perdiamo la misura di fronte alla
miriade frammentata di temi, di questioni, di conoscenze, di informazioni, che
la questione della natura e il dibattito ecologico portano con sé. È come
camminare su sabbie mobili, tanto le posizioni si uniscono o si contrappongono,
o si modificano. Quindi tenere ben stretto il filo della differenza sessuale ci
aiuta a non sperderci. Ad orientarci nel grande mare di temi, informazioni,
conoscenze, questioni che l’inquietudine per la natura, e l’attenzione
all’ecologia suscitano.
In prima battuta quello che
propongo è un’ermeneutica sessuata di queste questioni. Il che significa che
noi leggiamo e patiamo questi temi a partire da una incarnazione sessuata. Ho
visto quanto questa posizione sia facilmente travisata e ridotta ad una
semplice simmetria tra il femminile e il maschile, le donne e gli uomini, un
genere e l’altro. In definitiva, parlare di genere femminile e maschile riduce
il tutto ad uno sguardo neutro e di sorvolo che da fuori e dall’alto vede la
simmetria dei due generi distendersi nel mondo sotto di sé. Come ogni sguardo
neutro, anche questo facilita un ragionare scorrevole e senza intoppi e
l’azione politica diviene come pattinare su di una superficie liscia, su cui si
può agire come su di una scacchiera, muovendo le pedine. Allo stesso tempo si
ritiene che con leggi, decreti, consigli istituzionali, si possa cambiare la
realtà dei generi o cancellarli.
Ma la prospettiva da cui si muove
il pensiero della differenza è che essere una donna significa avere
consapevolezza costitutiva dell’altro, che è l’uomo, e questo si accompagna
allora alla consapevolezza degli altri esseri, del mondo.
Un’ermeneutica sessuata dell’altro,
degli altri, del mondo implica un esserci, un patire la propria presenza in
rapporto all’altro, indicarla a chi ci ascolta, sentirla, dargli parola senza
uscire dal cerchio della relazione. Una donna trova in questo il proprio modo
di fare teoria nel cerchio della relazione e così fa vedere cose che altrimenti
non potremmo vedere. Senza uscirne. Esattamente qui e ora.
Il pensiero della differenza dà
una impronta, che mi sembra inaggirabile, all’ecologia. Non si tratta infatti
semplicemente di dire che il mondo è relazionale. L’ecologia mostra che tutto
il cosmo è relazione. Questo è ancora uno sguardo neutro che si pone fuori dal
cosmo e guarda dall’alto che tutto è relazione. Io parlo, piuttosto, a partire
da una relazione incarnata e da lì posso dire qualcosa di vero che riguarda
anche altri, il cosmo. Ma non posso mettermi dall’alto e guardare come se ne
fossi all’esterno. Come se fossi sulla Luna a guardare la Terra. Sono qui e
ora, sono una donna che parla all’interno di relazioni. Ciò che caratterizza
questo gesto è una dimensione asimmetrica, squilibrata. Non sono un soggetto
onnisciente. La posizione neutra è la posizione di chi si pone al posto di Dio,
non dal punto di vista di chi patisce dall’interno una certa situazione.
Dove Laura Conti ha mostrato
l’incarnazione della differenza sessuale, questo essere in una relazione
incarnata? Asimmetrica. Dove e come ha mostrato di fare un discorso teorico
mettendosi in gioco personalmente e non semplicemente di dare una conoscenza
oggettiva, per cui lei dunque supera l’opposizione soggetto-oggetto? Lo ha
mostrato quando ha parlato dell’amore per la Terra come leva fondamentale che
l’ha portata all’ecologia. Ad occuparsi politicamente del nostro pianeta. È il
suo punto incandescente in cui si nota più fortemente l’asimmetria. Non
necessariamente per tutte è questa la via della differenza, ma questa donna
offre qualcosa di vivente al processo di verità quando tocca questo punto
asimmetrico vivente, fertile, generatore.
Vorrei spiegarmi, riprendendo
alcune linee del pensiero di Laura Conti, per mostrare il modo di darsi di
questo punto di incandescenza sessuato, che è nel suo percorso l’amore per la
Terra. La sua affermazione, che si sente impegnata soggettivamente per la
salute e il benessere di tutte le creature umane e non umane e per il pianeta e
che fonda questo impegno nella conoscenza scientifica, rende la conoscenza
scientifica non neutra. È non neutra perché inserisce i processi di sapere
all’interno del campo più vasto del sentire soggettivo che impegnano più di
qualsiasi scelta etica. Ed è anche non neutra perché dire che è l’amore che la
spinge verso il conoscere il pianeta per renderne migliori le condizioni è
qualcosa che per lo più sono le donne a dire nella nostra contemporaneità.
Molte sono le testimonianze di
giovani scienziate, che dichiarano di aver iniziato studi lenti e faticosi di
biologia, medicina, fisica ecc., in quanto guidate da amore per il mondo e la
natura. Succede che poi non sanno esprimerlo all’interno della loro disciplina,
prese dallo studio così come viene veicolato in paradigmi disciplinari. In
questo senso c’è una loro differenza femminile che si esprime in questo e che
viene avvertita come fuori posto dallo sguardo degli altri; loro stesse
finiscono per autocensurarsi su questo tema con l’andare del tempo.
Laura Conti invece lo esprime, lo
scrive. Come lo scrive anche Evelyn Fox Keller quando riporta la posizione di
Barbara McClintoch, la genetista che parlava di amore per la singolarità del
gene del grano che stava studiando. È il passaggio da un’episteme fondata sulla
contrapposizione soggetto-oggetto ad una nuova episteme legata alla relazione
amorosa nella ricerca scientifica. Un’area di discorso che viene censurata
accuratamente negli studi di allora. Come di oggi. Considerata superflua…
Laura Conti – Renata Borgato
«Obiettività scientifica e
partecipazione affettuosa, lucidità di analisi e impegno militante»[1].La storia di Laura Conti racconta con la
molteplicità del suo impegno l’unità di una visione attenta e partecipe in cui
non hanno molto significato le separazioni tra privato e politico, poesia e
scienza, individuo e ambiente, natura e cultura. La concretezza con cui ha
lavorato ne fanno un riferimento politico ed etico utile e necessario ai nostri
tempi.
Laura Conti da piccola visse a Trieste, poi a Verona e infine a Milano, che
considerò sempre la sua città. I suoi genitori erano stati costretti ad
abbandonare Trieste in seguito all’impegno antifascista dei genitori, che
avevano perso la propria azienda commerciale. A Milano la famiglia avrebbe
avuto una vita dura, isolata, senza contatti: «la mia divenne una famiglia che
si opponeva al mondo, disperata e molto sola» [2].
Sulla sua educazione resta una sua testimonianza diretta: «in casa non si
occupavano di spiegarmi le cose: avevo tutti i libri a mia disposizione, non
avevo che da attingere agli scaffali, liberamente, prima ancora di andare a
scuola». Ma probabilmente fu proprio questa modalità ad abituarla alla ricerca
autonoma, alla riflessione, alla libertà.
Come molte donne, nella prima giovinezza Laura costruì la propria immagine per
differenza, ripensando alle scelte di sua madre: «mia madre era maestra e
rinunciò al suo lavoro adattandosi al modello di mio padre che, coraggioso e
onesto intellettualmente, era tuttavia un tiranno della peggior specie. Lei era
una meridionale succuba del modo tradizionale di concepire la famiglia. Però
soffriva e io lo avvertivo…»
Proprio per questo Laura si rese molto presto conto che i ragazzi avevano
diversi modelli cui ispirarsi, ma che quello proposto alle donne era
prevalentemente quello della casalinga-madre, che a lei risultava estraneo.
Forse per questo ebbe una vita ricca di amicizie, intellettualmente,
professionalmente e affettivamente importanti, ma non costruì una famiglia,
probabilmente anche per il dolore seguito alla perdita di Armando Sacchetta,
divenuto suo compagno nel lager di Bolzano e morto pochi giorni dopo la
Liberazione in seguito all’emorragia seguita a un intervento chirurgico
effettuato nel tentativo di arrestare una cancrena.
D’altra parte lei stessa aveva scritto: «pensavo che mi sarei fatta una vita
mia, eventualmente con dei figli, ma priva dei legami coniugali che mi facevano
orrore. Così è stato e se i figli non sono venuti, non si è trattato di una mia
scelta».
Quando a scuola le regalarono una biografia di Maria Curie, pensò di aver trovato un modello che le si
adattava meglio: «non è escluso che anche di qui sia nata la mia passione per
le scienze».
Laura si iscrisse alla facoltà di medicina e nel 1944 entrò nelle file della
Resistenza, aderendo al Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la
libertà. Ebbe il rischioso incarico di fare propaganda presso le
caserme. «Avevo molta paura ma al contempo avevo la sensazione che il mondo
fosse troppo piccolo per albergare i nazisti e me, che fosse persino necessario
morire, perché se i nazisti avessero trionfato, il mondo non avrebbe più avuto
attrattive». Venne arrestata già nello stesso 1944 e, dopo una breve detenzione
nel carcere di San Vittore a Milano, fu trasferita nel Campo di transito di
Bolzano, dove rimase fino alla fine della guerra.
Questa esperienza le avrebbe suggerito un’opera narrativa, La condizione sperimentale,
scritta nel 1965 in cui ripercorre la sua esperienza nella Resistenza e nel
Campo di transito di Bolzano.
L’esperienza fatta l’avrebbe indotta anche a riprendere la riflessione sul
ruolo femminile, dopo aver constatato la subalternità al modello tradizionale
di molte delle donne che avevano condiviso la sua esperienza di detenzione.
Donne che avevano scelto di lottare per un mondo nel quale gli uomini vivessero
un rapporto democratico, senza che ciò trasformasse la subalternità delle
donne.
La scrittura sarà un altro dei tratti costanti della vita di Laura Conti. Prima
di La condizione sperimentale aveva
già scritto Cecilia e le streghe, sua opera prima, con cui nel
1963 aveva vinto il premio Pozzale. Il romanzo, quasi un thriller scritto con
grande finezza per le ambientazione e gli stati d’animo di cui restituisce la
potenza, soprattutto nei vuoti impossibili da descrivere, prende le mosse da un
misterioso incontro fra due donne, nelle strade deserte di Milano in una sera
di mezz’agosto e affronta con toni poetici i temi della malattia, della morte,
del dolore, della fede e dell’eutanasia, affrontando pienamente le pieghe del
rapporto fra medico e paziente…
è appena uscito – ne riparleremo presto – per Fandangolibri, “Laura non c’è“ di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi. Ecco la
presentazione.
Laura Conti non c’è. È morta il 25 maggio 1993, ma se fosse
ancora viva avrebbe 100 anni, ed è così che la immaginano le autrici Barbara
Bonomi Romagnoli e Marina Turi.
Una donna pungente, divertente e con ancora tante cose da dire al
mondo. Perché nonostante Laura Conti sia scomparsa dai grandi discorsi
ambientalisti ed ecologisti della sinistra italiana degli ultimi trent’anni, le
sue parole, il suo pensiero e le sue riflessioni sono ancora qui, a
disposizione di tutte e tutti.
Un libro fatto di dialoghi impossibili che diventano reali grazie
alla forza della narrativa e dell’immaginazione.
Sette incontri con altrettante donne con le quali affrontare i
temi a lei cari: la pandemia e il lavoro, i disastri ambientali, la vita e la
salute delle donne, l’ecologia, la caccia e l’aborto.
Un libro che ci permette di conoscere una delle pensatrici più
importanti del nostro paese, considerata a ragione la fondatrice dell’ambientalismo
scientifico in Italia che per ragioni incomprensibili non ha trovato posto nei
libri di storia e nel nostro patrimonio culturale.
Laura Conti in bottega
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