Passiamo ora all’esame comparato con l’altro grande genere di lettura popolare tutt’ora in pieno vigore: il romanzo poliziesco-giudiziario che, in quanto a vastità di seguito, è secondo solo alla Pornografia (stima a naso, provvisoria, non fondata su cifre).
Considerato il cerebralismo insito in ogni
Giallo che si rispetti ci si sentirebbe autorizzati a ipotizzare un ancor più
intimo imparentamento con la Fantascienza, genere che più d’ogni altro si
abbandona alla ginnastica mentale; o che volentieri ha accettato di lasciarsene
contaminare. A rafforzare tale possibile errore vi è poi il ruolo svolto dal
Mistero il cui scioglimento è affidato all’acume e all’esperienza
dell’Investigatore Privato e a volte Pubblico: le fantasiose modalità che
utilizza, la progressiva astrazione dalla realtà delle procedure in essere
ricordano da vicino alcune maniere proprie alla Fantascienza. Anche in essa il
Mistero è di casa, anche in essa è praticata la fuga dalle condizioni reali di
esercizio della scienza (e delle sue procedure); anche in essa si passa a volo
radente sulle condizioni reali che determinano la vita. Ma basta questo ad
avvicinare i due generi? A stabilire paragoni, a considerarli fratelli nel
tutt’uno della cultura della quale sono i fermenti?
Di per sé l’interrogativo non mi avvince. Come
non mi appassionano i romanzi d’investigazione. Leggo sempre volentieri Chandler,
Hammet e ho quasi tutto quello che ha pubblicato Camilleri; essendomi raramente
capitati tra le mani, non avverto alcun bisogno di andare a ripetere
l’esperienza cercando Simenon, Chesterton, Christie e loro sodali. I miei
bisogni intellettuali sono soddisfatti da tutt’altro che da queste letture di
pacificazione, di forte inquietudine in vista della normalizzazione, nelle
quali l’irruzione del delitto, che dovrebbe spezzare il tranquillo procedere
dell’esistenza, non fa che richiamarlo (la soluzione del Giallo è integralmente
tesa a ottenere questo risultato: il ritorno allo status quo precedente).
Il Giallo, chiunque ne sia il protagonista, qualunque sia il suo grado di
comprensione della realtà in cui opera (suo scetticismo e a volte cinismo)
approda sempre alla conferma del principio di autorità, alla sopravvalutazione
del ruolo dello specialista (un “tecnico” della repressione) e all’affermazione
dell’inevitabilità del crimine in funzione della difesa
dell’opportunità-necessità degli apparati di repressione del crimine.
Il massimo a cui può arrivare è una visione
sconsolata della nostra realtà; una realtà fatta d’ambiguità e disdoro, di soli
vizi e bassifondi, di ricchi avviliti dalla loro ricchezza, poveri impoveriti
dalla loro povertà e ferocia che sconfina nella malattia mentale (in Camilleri
almeno c’è la scapataggine di Montalbano, le sue solenni mangiate, il sole
della Sicilia, l’idea di un ambito vitale nonostante i residui di mentalità
arcaica, nonostante la politica, nonostante la mafia, nonostante tutto). Le
miserie umane e poco altro.
Al contrario essi (bisogni intellettuali) sono
pienamente soddisfatti dalla Fantascienza la quale, ponendosi molte domande,
suggerisce l’opportunità e possibilità di altrettante risposte; suggerisce
l’opzione di ripudiare il presente (troppo piatto, banale e invivibile) in
favore di un futuro da costruire e modificare con l’ottimismo della volontà e
pessimismo della ragione; possibilità offerte dai diversi bivi, molteplici
occasioni che si aprono1 per noi senza interruzione.
L’eroe di Fantascienza da questo carico di possibilità (che spesso sono
impossibilità) può essere travolto. Può non farcela con l’assassino di turno
(Grande Dittatore, Scienziato Pazzo, Invasore Spaziale, Robot Efficientista o
Mutante che sia). Può smarrirsi e farci smarrire nei meandri dei suoi incubi,
nei labirinti delle sue inaudite visioni (Dick). Di questo futuro egli sempre
però sperimenta la ricchezza e così cresce, amplia la sua visione delle cose
(lo fa per procurare stimoli al lettore). Arricchito da tale ampia apertura, il
procuratore-lettore ritorna al presente, dopo l’ebbrezza della fuga nella
fantasia, con capacità critiche accresciute. Torna non per accettarne i limiti,
ma per meglio conoscerlo nel suo cieco contraddittorio procedere e per
potervisi destreggiare. L’Investigatore di Fantascienza in effetti è più che
altro un esploratore, un viaggiatore nelle foreste vergini dell’attualità,
dalla quale dipendiamo e dalla quale, buoni aborigeni, traiamo di che vivere,
ma la cui gran parte poco conosciamo. Compito dell’Investigatore è dunque di
rappresentarcela per permetterci di muoverci più agevolmente in essa.
Può anche non acciuffare mandanti e/o
esecutori materiali. Esserne addirittura vittima. Non ci lascia alla fine, come
avviene nel Giallo – Perry Mason e Poirot permettendo – con un pugno di mosche
consolatorie in mano (la soluzione trovata). Ci ha dato invece di che di mettere
in funzione l’attività cerebrale con qualcosa in più dei soliti quesiti da
Settimana Enigmistica (dei quali per altro siamo pieni) e con i quali
assurdamente si pretende di calcolare il quoziente intellettivo. La
Fantascienza non misura niente. Si preoccupa di prendere il lettore così com’è
per portarlo in luoghi dove, se vuole, se non tentare concretamente di
aumentare il suo quoziente intellettivo, quantomeno può dargli di che nutrirsi.
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