Il mercoledì sera sui tavoli dove fino a un anno fa il ristorante Rob de matt serviva gli aperitivi, ora ci sono delle grandi cassette di verdure e buste con formaggi e carne: sono i prodotti a filiera corta distribuiti nel quartiere di Dergano, a Milano, attraverso l’app L’Alveare che dice sì, che mette insieme gruppi di acquisto per aiutare gli agricoltori. Il lunedì, invece, è dedicato alla preparazione dei pasti per i senzatetto. Intanto, si lavora a SoDe (che sta per Social delivery), un progetto di consegne a domicilio che vuole creare un modello diverso rispetto a quello delle grandi multinazionali. Milano è la città perfetta per sperimentarlo: colpita duramente dalla pandemia, ha visto cambiare in poco tempo il tessuto commerciale e l’offerta culturale, dove ora giocano un ruolo di primo piano piattaforme come Amazon, Netflix, Deliveroo, Glovo.
SoDe nasce da un’idea piuttosto semplice: creare una realtà che offra a chi
fa le consegne contratti stabili, mezzi e formazione adeguata. I costi saranno
sostenuti dai promotori del servizio, ma in parte anche dai clienti: al momento
di pagare, le persone potranno pagare il prezzo di mercato oppure “il ‘costo
equo effettivo’ della consegna, cioè quanto effettivamente costerebbe la
consegna dei prodotti acquistati per un rider con un contratto subordinato e le
giuste tutele”. La scommessa non è scaricare tutto sul consumatore ma educarlo
a un uso consapevole delle consegne a domicilio: il comune di Milano sostiene
il progetto investendo 37.500 euro e il crowdfunding, ancora in corso, ha già
raggiunto l’obiettivo dei 25mila euro.
“Il cibo per noi è sempre stato un modo per fare comunità: prima con gli
aperitivi e il ristorante, durante il lockdown con il
sostegno alle persone che hanno avuto più bisogno. Così ci è venuta l’idea di
SoDe”, spiegano Francesco Purpura e Lucia Borso, due dei fondatori di Rob de
matt, l’associazione di promozione sociale che gestisce questo ristorante un
po’ atipico nella periferia nord di Milano. Aperto nel 2017, nasceva con
l’obiettivo di dare lavoro a chi ha fragilità psichiche, a ex detenuti, a
persone in carico ai servizi sociali. In tre anni ha fatto fare sessanta
tirocini. Oggi il trenta per cento dei suoi lavoratori arriva da queste
esperienze. “La nostra idea è sempre stata quella di creare un luogo che avesse
un valore sociale ma dove fosse anche bello fermarsi”.
Pandemia e sfruttamento
Funzionava. Il bar-ristorante era diventato un punto di riferimento,
frequentato da molti che nemmeno ne conoscevano la missione sociale, il momento
in cui avrebbero pareggiato l’investimento e i costi era a portata di mano. Poi
è arrivato il lockdown: “La prima settimana è
stata da mani nei capelli. Poi siamo ripartiti”. Con una formula nuova: Rob de
matt è diventato un riferimento nel quartiere Dergano per la raccolta di pacchi
alimentari, le cucine sono state destinate alla preparazione dei pasti per i poveri
(180 al giorno) consegnati dalla Croce rossa e dalle Brigate volontarie per l’emergenza. Prima
tutti i giorni, ora una volta a settimana.
“Quello che è successo è che ci siamo accorti che qui ci conoscevano sempre
di più e che la nostra impronta sociale era sempre più definita: quando abbiamo
riaperto, i clienti sono tornati più rapidamente e in numero maggiore di quanto
è successo altrove. Per noi il progetto sociale è sempre più un elemento di
sostenibilità economica dell’impresa, non un costo”. SoDe nasce da questa
logica: mettere insieme sociale e commerciale, costruendo una rete che da
Dergano si allarghi ad altre periferie milanesi come Baggio, Giambellino, Nolo: “Vogliamo coinvolgere le
botteghe artigianali con cui già lavoriamo per progetti di inclusione sociale.
I fattorini saranno terminali di una rete: faranno le consegne e collaboreranno
con i negozi di quartiere, segnaleranno situazioni di disagio”.
La critica alle grandi piattaforme di consegne a domicilio che è alla base
di SoDe è condivisa anche da altre realtà di Milano. Il ristorante Slow sud
effettua le consegne senza affidarsi alle multinazionali. Altri locali milanesi
hanno creato la piattaforma Sergio, che mette insieme varie realtà e
permette di ordinare cene da consumare a casa. Nel manifesto dell’iniziativa si
legge: “Sergio non sfrutta sistemi di delivery pieni di ombre e aperte ai
rischi di caporalato. Il delivery è disponibile se il ristorante mette a
disposizione il proprio servizio, altrimenti Sergio incoraggia il take away,
anche per conoscere chi ti ha preparato il pasto: sul cibo si fondano le
comunità”.
Le immagini delle stazioni della metropolitana milanese che durante il lockdown erano popolate per lo più da fattorini in
bicicletta con gli zaini colorati hanno fatto emergere i meccanismi di
sfruttamento e la corsa al prezzo più basso di un sistema che non si è fermato
durante la pandemia, ma che è anzi cresciuto.
“Mentre il comune prevedeva il divieto di entrare nei domicili per fare le
consegne”, spiega Mario Grasso, sindacalista Uiltucs, “solo dietro alla
sollecitazione delle associazioni di rider le piattaforme
hanno smesso di pretendere la consegna al piano. Ma ci sono stati altri
problemi, nati per esempio dalla reticenza a fornire i rider di dispositivi di
protezione individuale come le mascherine”.
La procura della repubblica di Milano ha accusato Glovo, Uber Eats, JustEat e
Deliveroo di aver violato le norme sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, e
le indagini hanno portato a multe da 733 milioni di euro e all’ingiunzione di
assunzione per 60mila collaboratori in Italia. Le multinazionali sembrano
orientate a fare ricorso.
Non solo ristorazione
L’operazione SoDe non si capisce se non si guarda ad altri esperimenti in corso
a Milano, che non riguardano solo il settore della ristorazione. Il Beltrade è
un piccolo cinema poco a nord della stazione centrale. Dal 2013 si è distinto
per una programmazione curata, attenzione e aiuto al cinema indipendente, solo
film in lingua originale e sottotitolati, spazio agli incontri con i registi e
clienti molto affezionati.
“Quando nel febbraio 2020 abbiamo dovuto chiudere dominava lo sconforto,
l’incredulità. Poi però sono arrivate molte attestazioni d’affetto: abbiamo
deciso di andare online, anche se noi amiamo la sala, perché era l’unico modo
per ricevere aiuto dai nostri spettatori e allo stesso tempo dare loro la
possibilità di vedere i film che noi selezionavamo”, spiega Monica Naldi,
esercente insieme alla socia Paola Corti. Hanno così cominciato a caricare i
film sulla piattaforma Vimeo, fino a raggiungere un catalogo di 70-80 titoli,
tutti a pagamento. Quanto lo decide lo spettatore: “Da un minimo di 1,8 euro a
un massimo di 9. Il risultato è che in media le persone decidono di pagare 6
euro” spiega Naldi.
Netflix ha piani mensili tutto compreso da 8 o 15 euro. I guadagni per
il Beltrade sono molto lontani da quelli di quando le sale erano aperte, ma
l’esperimento ha comunque avuto successo e sarà mantenuto per dare
un’alternativa di visione anche quando si tornerà alla normalità. Il cinema,
inoltre, partecipa a una nuova piattaforma, 1895.cloud,
che mette insieme dieci sale indipendenti italiane e funziona con lo stesso
meccanismo di pagamento “responsabile”, lasciando la scelta allo spettatore.
Lo stesso accade nel mondo dei libri: La scatola
lilla, una piccola libreria appena fuori la circonvallazione di
Milano, in zona Lodi, è tra quelle che nel 2020 è riuscita a mantenere il
fatturato del 2019 grazie a un e-commerce aperto tre anni prima: “Dal momento
che sono molto presente sui social network, mi ero accorta che tante persone mi
ringraziavano per i consigli di lettura ma che poi i libri li compravano
altrove”, spiega Cristina Di Canio. Adesso l’e-commerce è la modalità di
vendita prevalente: “Le consegne cittadine le faccio io, per fuori Milano mi
appoggio a Libri da asporto”, una rete alternativa ad
Amazon di cui fanno parte librai ed editori. “I clienti capiscono che dietro
c’è una libraia, non un algoritmo”. Di Canio offre anche qualche servizio in
più: libri autografati dagli autori milanesi, pre-order e pacchetti regalo che
comprendono una chiacchierata video con lei sul romanzo scelto, molto
apprezzata dalle persone anziane.
Alcune librerie hanno aderito a un’altra piattaforma indipendente, Bookdealer,
che permette di scegliere online la libreria dove comprare il libro, che poi si
occuperà di consegnarlo. Tra loro c’è Mamusca, un caffè-libreria per ragazzi a poche
centinaia di metri da Rob de matt. Nata nel 2013, punto di incontro delle
famiglie con bambini nel quartiere, durante la prima ondata ha organizzato una
raccolta di cibo per chi ne aveva più bisogno attraverso le “ceste sospese” appese ai balconi.
“I libri ci hanno salvato quando la caffetteria ha dovuto chiudere o
comunque lavorava molto poco”, racconta Francesca Rendano che, dopo le ceste
sospese, si è inventata “Fuori i libri!”, un’iniziativa che porta le
letture ad alta voce per bambini e ragazzi in giro per il quartiere e, su
richiesta, anche nei cortili privati. “Avviciniamo alla lettura anche quei
ragazzi che magari non hanno libri o genitori disposti a leggergliene”, spiega.
Intanto è cresciuta la visibilità e la riconoscibilità della libreria e, grazie
a Bookdealer, “abbiamo raggiunto molti nuovi clienti”.
Elena Perondi, docente al Politecnico di Milano che ha curato lo studio di
fattibilità economica per SoDe, parla di “nicchie che funzionano e che adesso
devono diventare abbastanza grandi per garantirsi la sopravvivenza. Non credo
che possano sfidare i big e certamente non sostituirli, ma i benefici che
offrono in termini di ricadute sociali possono giustificare in un certo
pubblico un prezzo più alto”.
Secondo Perondi si può creare un processo virtuoso: “Con una base di
clienti più ampia, le offerte di nicchia potrebbero offrire prezzi più
competitivi e così allargarsi ancora. I big, a loro volta, potrebbero così
essere invogliati ad alzare i loro standard: nel delivery un po’ già sta
succedendo”. D’altronde, conclude, se guardiamo ai nati dopo gli anni ottanta
“nove su dieci considerano la credibilità delle aziende e la vicinanza con i
loro valori come elementi fondamentali per gli acquisti”.
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