Da settembre le mie telefonate, i miei messaggi e le mie chat sono state ascoltate, registrate e archiviate. E continuano a farlo. In questi mesi ho parlato e scritto di amore, di lavoro, di politica, sogni progetti e desideri. Ho pianto e riso al telefono, ho raccontato delle mie debolezze e limiti, delle mie certezze e dei momenti di difficoltà o felicità. Ho ascoltato sfoghi, riflessioni, racconti di quotidianità, parole di rabbia o di amore, parole intime, personali che ritenevano di essere ascoltate e raccontate a me. Ho affrontato questioni personali di persone con cui lavoro, come operatore sociale alcune di queste sono particolarmente delicate, ma ho anche cazzeggiato e preso in giro i miei interlocutori. Avete presente le vite degli altri? Ecco, quella era ed è la mia vita. Volevo scusarmi con tutte queste persone. Quelle a me più care e quelle che invece conosco appena: non ho saputo, né potuto, tutelare le vostre parole, i vostri racconti o le vostre confidenze. Questo il cruccio maggiore di questi giorni.
Può sembrare paradossale, ma la
mia preoccupazione di queste settimane non riguarda il capo d’imputazione che
riguarda me Beppe (Caccia) e Luca (Casarini, leggi anche Sono colpevole), favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, ma l’aver favorito, anche se inconsapevolmente,
la violazione dell’intimità delle persone che con me si sono relazionate in
questi mesi. Lo so, probabilmente dovrei urlare la mia innocenza, ma è
modalità che non mi appartiene, non sono innocente, non lo sono mai stato.
Alcuni anni fa, durante un processo che mi riguardava, chiusi la mia
deposizione in questo modo: Non sono innocente, l’innocenza è una categoria che
appartiene ai bambini. Credo si debba parlare di responsabilità, e per quanto
mi riguarda, visto quello che succede quotidianamente, mi sento molto più
responsabile di quanto non sono riuscito a fare rispetto a quel poco che invece
ho fatto.
Però una “semplice” accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
– che comunque raggiunge pene tra i quindici e trent’anni – non poteva bastare,
sarebbe stata, anche in caso di improbabile condanna, una “medaglietta” da
esibire, perché questa accusa nella realtà quotidiana si traduce nel supportare
uomini donne bambini e bambine che affrontano le diverse vie di terra (rotta
balcanica o attraverso i monti della Val di Susa per chi tenta di entrare o
uscire dal nostro Paese) o di salvarle mentre affrontano il mare. Diventa
quindi “reato di solidarietà” e
questo alle Procure molto spesso non basta. Non era certo questo il modo in cui
potevano fermare me Luca Casarini e Beppe Caccia, così come non è bastato a fermare
i molti che prima di noi di questo sono stati accusati. Accusati e poi mai
condannati. Per questo motivo, l’infornata
delle ultime inchieste, prevede in quasi tutti i casi l’aggravante del lucro, del tornaconto
personale. Questo “il piatto” da fornire alla stampa, questo il fango da
spargere. Speculare sulla pelle di chi è in fuga dalla Libia e rischia
la propria vita in mezzo al mare.
Questa accusa è per me infamante e intollerabile,
fango che si appiccica e che rischia di non andare via del tutto; non con risposte
razionali, non con documenti o spiegazioni e nemmeno con assoluzioni
processuali, l’alone rischia di rimanere. Con questo sto facendo i conti in
questo momento, anche dal punto di vista lavorativo e professionale, e per
molto ancora toccherà farlo.
Mediterranea è l’impresa più grande con cui mi
sono misurato, quella che mi ha dato le più grandi emozioni e quella in cui
maggiormente mi sono assunto responsabilità e che mi ha costretto a
confrontarmi con i miei limiti. Il più grande di questi è stato sicuramente
quello di non essere riuscito a curare fino in fondo la mia vita personale,
affettiva, lavorativa e relazionale davanti a un progetto enorme e emozionante
che mi ha travolto completamente; negli ultimi mesi, quando ho tentato di fare
spazio e riprendere “la mia vita”, mi sono reso conto che non tutto era
recuperabile e parti importanti erano perse per sempre. Forse anche per questo, questa accusa della
Procura di Ragusa la sento veramente bruciare nella mia carne. Come mi è
stato detto, se devono ammazzarti lo fanno da mostro, non ti regalano il farti
morire da martire. O perlomeno ci provano.
Ma intanto, sono ancora vivo.
“Il bosco è piacevole, scuro e profondo, ma ho promesse da mantenere, e
miglia da fare prima di dormire, e miglia da attraversare prima di dormire”
(Robert Frost, 1922)
P.S. Questioni tecniche, valutazioni politiche, documenti e comunicati li
trovate sul sito di Mediterranea, compresa qualche mia intervista in cui entro nel
merito delle diverse questioni, questa è solamente una riflessione personale,
su un social, che avevo voglia di condividere
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