intervento dell’Usi 24 marzo 2021 all'incontro promosso dal Prc su smart working
Il lavoro
agile o smart working, ha avuto un forte impulso in questo periodo di covid 19,
come una delle misure messe in atto per ridurre il fattore di rischio del
contagio. Ciò sia nel Pubblico Impiego che nel settore privato, con l’attuale
caratteristica di esecuzione delle prestazioni lavorative e professionali,
funzionale ad una modalità organizzativa del lavoro ampiamente flessibile, con
lo spostamento del luogo fisico dello svolgimento del lavoro salariato, cioè
“da casa”, rispetto all’originario luogo della prestazione lavorativa, definita
(anche in termini di disposizioni su salute e sicurezza) “luogo di lavoro”.
Tale
modalità flessibile, utilizzando strumenti telematici e tecnologicamente idonei
al lavoro “da remoto” (computer-p.c., tablet, smartphone…), rischia di spostare
in modo sostanziale la questione, dal mero luogo fisico dello svolgimento delle
prestazioni di lavoro e professionali dei dipendenti, pubblici o privati, con
il mantenimento delle rigidità tipiche del rapporto di lavoro subordinato e
della sua codificazione con i contratti di lavoro, anche individuali, verso una
modalità che vorrebbe incidere su orari di lavoro, di spazio e ambienti di
lavoro, aumento e intensificazione dei carichi di lavoro, andando quindi a
modificare l’oggetto e lo scopo del rapporto e contratto, della prestazione
oggetto del rapporto di lavoro stesso, rendendo quindi meno differenziati non
solo il confine tra vita personale e privata, impegni familiari con le mansioni
e le attività lavorative vere e proprie, ma anche con una compressione dei
diritti individuali del dipendente, normativi, salariali e con impatto negativo
sulla salute e sulla sicurezza di lavoratori e lavoratrici. Il tutto, con
un’accentuazione maggiore delle disparità di trattamento, di genere, dove le
lavoratrici, sono ulteriormente penalizzate nella gestione, già difficile in condizioni
“normali”, tra responsabilità familiari di madri, mogli, figlie con carichi non
frontali di cura e assistenza, con quelle di natura lavorativa e
professionale.
Quindi, un
tentativo ora mascherato, di MODIFICA IN CONCRETO DELLA NATURA E DELLA MODALITA’
DI SVOLGIMENTO DELLE PRESTAZIONI LAVORATIVE, dal mero luogo fisico allo scopo e
oggetto contrattualmente definito dal nostro codice civile del TEMPO DI LAVORO
(con la pretesa illegittima padronale, di avere i dipendenti perennemente
reperibili e “connessi”, disponibili anche fuori dal normale orario e tempo di
lavoro) E DELL’ORARIO DI LAVORO, DELLE STESSE MANSIONI ORIGINARIE per le quali
si è assunti o utilizzati, con conseguenze negative anche dal punto di vista
salariale, di indennità, di carichi e aumento del lavoro come ritmi reali, di
indebolimento nella fruizione di diritti considerati consolidati, nonché per la
piena ed efficace tutela della salute, uno degli aspetti meritevoli di tutela
di fonte costituzionale, con tutela di fonte europea.
Non è di
difficile comprensione, che l’utilizzo, anche prolungato di strumenti
tecnologici, telematici e digitali, ha degli effetti negativi sulla salute di
chi lavora, non solo per aspetti relativi alla postura statica durante la
prestazione lavorativa per un certo numero di ore consecutive (ndr non
tutti-e applicano le disposizioni sui riposi e pause tecniche già in uso per i
video terminalisti, di 10 minuti ogni due ore di pausa e di tutele ora
riconosciute anche dal D. LGS. 81 2008), con disturbi muscolo – scheletrici e
disagi muscolari, ma anche sotto il profilo psicologico; lavorando “da casa” ma
da soli rispetto ad un contesto collettivo lavorativo in un ufficio, si
accentuano fenomeni di dipendenza dalle tecnologie, di isolamento, stati di
ansia, insonnia, fino al c.d. “burnout”, in contrasto con il diritto-pretesa ch
ha ogni lavoratrice-lavoratore e come obbligo-dovere di ogni datore di lavoro,
di garantire a tutti i prestatori di lavoro l’integrità psico fisica e morale
(articolo 2087 del codice civile…del 1942!).
In Italia,
abbiamo visto una legislazione parziale, rispetto alle stesse indicazioni
dell’Unione Europea (Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021,
recante raccomandazioni alla Commissione UE sulla proposta di Direttiva sul
“diritto alla disconnessione”), attraverso la Legge 81 2017, che è limitata al
solo “lavoro agile”. Il legislatore italiano, non ha riconosciuto la
disconnessione come un diritto. Inoltre, l'articolo 19 della legge, ha
previsto che l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per
iscritto e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta
all'esterno dei locali aziendali. Tale accordo, dovrebbe individuare i
tempi di riposo del lavoratore nonché "le misure tecniche e organizzative
necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni
tecnologiche di lavoro". Quindi, come al solito, un aspetto rilevante e
fondamentale è rimesso NON A UNA PREVISIONE LEGISLATIVA CON EFFICACIA ERGA
OMNES (leggi e atti aventi forza e valore di legge), ma ad una negoziazione tra
le parti, una fonte del diritto pattizia (ndr dove la forza
lavoro è la più debole contrattualmente e non ha la parità e capacità negoziale
paritaria, rispetto ad altri c.d. negozi giuridici, come la compravendita,
criterio falsato e già utilizzato per la prima volta in Italia, come finta
parità negoziale tra datore di lavoro e lavoratore-trice, dalla legge 30/2003 e
dai decreti attuativi D. Lgs. 276/2003…). Senza un intervento
legislativo, estendibile a ogni settore lavorativo, privato o pubblico,
che definisca in modo equilibrato la vicenda del controllo del tempo di lavoro
e dell’orario di lavoro con il riconoscimento erga omnes, per tutti-e del
“diritto alla disconnessione”, quindi di sottrazione di una parte del tempo di
chi lavora, alla reperibilità e alla disponibilità di aspettative datoriali,
non meritevoli di tutela anche dal nostro ordinamento giuridico, ad essere
sempre connessi e “on line” , fuori dell’orario normale di lavoro, senza subire
penalizzazioni o discriminazioni, compresi gli effetti negativi (ai fini di
progressione di carriera, migliorie salariali o di altra natura), in caso di
mancata accettazione di accordi individuali o collettivi in pejus, che
magari diano premi o incentivi di natura economica svincolati dalla normale
retribuzione, a coloro che accettino di essere “sempre reperibili o connessi”,
quindi subordinando la libertà di rispondere alle comunicazioni di lavoro (come
telefonate, e-mail, messaggi) durante i periodi di riposo o di non lavoro,
senza che questa situazione possa compromettere la situazione lavorativa del
dipendente. Il c.d. “diritto alla disconnessione”, tra le frontiere dei nuovi
diritti e agibilità nel rapporto di lavoro subordinato, non solo non dovrebbe
essere confinato al solo smart working o lavoro agile, ma dovrebbe prevedere un
intervento legislativo italiano e adeguato alle indicazioni dell’Unione
Europea, come riconoscimento di un diritto fondamentale, legato
alla disciplina dell’orario e dei tempi, ritmi di lavoro (ndr già disciplinato
in applicazione di direttive U.E. dal D. Lgs. 66 2003), intrecciato come
fattore di prevenzione dai rischi e pericoli collegati alla tutela della salute
e della sicurezza sul-del lavoro (D. Lgs. 81 2008, anch’esso di ratifica di
direttive europee in materia). UN LIMITE SUL CONTROLLO DELL’ORARIO DI LAVORO E
DELLA DISPONIBILITA’, come assoluta pretesa padronale, ad essere sempre
reperibili e disponibili, quindi sul TEMPO E SUI RITMI DI LAVORO e di
intensificazione delle prestazioni lavorative, visto che anche il legislatore
italiano nella Legge 81 2017 (capo II), pone l’accento sul lavoro agile come
“possibilità per il dipendente di prestare la propria opera anche al di fuori
dell'azienda, senza vincoli di orario. La legge sul lavoro agile chiarisce
che il lavoratore è tendenzialmente libero di stabilire in autonomia i tempi di
lavoro (ma quando mai, in pratica…). L'unico vincolo, è dato proprio
dalla durata massima dell'orario di lavoro, che si deduce per via empirica
in 13 ore giornaliere (24 ore - 11 ore di stacco tra la fine della prestazione
lavorativa e l’inizio di quella successiva) e nel giorno di riposo settimanale.
Raggiunto questo limite, anche il lavoratore "flessibile" ha il
diritto di "staccare la spina" e rendersi irreperibile, riprendendo
il controllo e la libertà sui tempi di vita e sulla loro gestione. Il confine
giuridico è ancora labile, di questi limiti, anche se nei pochi esempi italiani
di contrattazione collettiva, analogamente a quanto già riconosciuto dalla
legge sul lavoro francese, il c.d.”diritto alla disconnessione” e quindi la
pretesa legittima di chi lavora di rendersi irreperibili, è ormai considerato
un criterio generale di riferimento per esempio sull'utilizzo di cellulari e
altri dispositivi di comunicazione. In tale ambito, nell'ottica di un
rapporto più equilibrato tra vita lavorativa e vita privata/familiare, la
possibilità di effettuare chiamate ai dipendenti, di inviare e mail per motivi
di lavoro, è dichiaratamente limitata al solo orario di lavoro e non
è concessa nelle restanti ore della giornata, come applicazione in concreto di
quei principi fondamentali di correttezza, buona fede e diligenza (disciplinati
dal nostro codice civile), che caratterizzano per entrambe le parti del rapporto
di lavoro subordinato (datori di lavoro e forza lavoro salariata) i criteri e
principi basilari anche della correttezza sul piano delle relazioni sociali,
oltre che rispettoso delle raccomandazioni e risoluzioni Europee sopra citate,
da applicarsi con disposizioni NORMATIVE (cioè leggi e atti aventi forza
e valore di legge, secondo la nostra Costituzione) e non delegandole alle sole
disposizioni di fonte pattizia cioè accordi collettivi o individuali, i quali
potrebbero disporre solo clausole e condizioni di miglior favore.
Anche su
tutti questi aspetti, i rapporti di forza e la doverosa attività di
informazione, diffusione del “sapere operaio” e della formazione continua, sono
fattori ed elementi fondamentali per non cedere alle aspettative datoriali-padronali
e al controllo sul TEMPO DI LAVORO e del TEMPO DI VITA, fino a creare le
condizioni per il superamento totale dello stato di cose presenti, ad opera di
lavoratori e lavoratrici in forma indipendente, autorganizzata: l’emancipazione
sarà opera di lavoratrici e lavoratori…o non sarà.
Digitalizzazione e lavoro
Digitalizzazione e
lavoro
In epoca Covid si è tanto sentito parlare
di "smart working" o lavoro agile, una modalità di
esecuzione della prestazione lavorativa caratterizzata da flessibilità
organizzativa, perché priva di vincoli orari o spaziali, basata sull'utilizzo
di strumenti che consentono di "lavorare da remoto" (smartphone, pc,
tablet etc). La digitalizzazione e l'uso di strumenti digitali ha apportato dei
benefici come appunto una maggiore flessibilità e autonomia nell'organizzazione
dell'attività lavorativa. C'è però un rovescio della medaglia, lo svolgimento
della prestazione lavorativa "da casa" comporta inevitabilmente che
siano meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata con
conseguente intensificazione dell'orario di lavoro. L'uso prolungato di
strumenti tecnologici e digitali ha ripercussioni negative sulla salute dei
lavoratori, tra questi una postura statica per lunghi periodi di tempo può
determinare tensioni muscolari e disturbi muscolo scheletrici; senza contare
l'aggravamento di fenomeni quali l'isolamento, la dipendenza dalle tecnologie,
la privazione del sonno, ansia e burnout.
Diritto alla
disconnessione: cos'è?
Partendo dal presupposto che grazie alle
nuove tecnologie siamo sempre "tutti connessi", "tutti
online", tutti facilmente rintracciabili, il diritto alla disconnessione
non dovrebbe essere una prerogativa dei soli "lavoratori in smart
working". L'essere perennemente connessi ingenera nel datore di lavoro
l'aspettativa che i lavoratori siano raggiungibili in qualsiasi momento e
ovunque, anche durante gli orari non lavorativi. Il diritto alla
disconnessione si sostanzia nel diritto di non essere costantemente
reperibile, ovvero nella libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro
(come telefonate, e-mail, messaggi) durante il periodo di riposo, senza che
questo possa compromettere la situazione lavorativa del dipendente.
L'Unione Europea e il
diritto alla disconnessione
Sul punto, si ricorda la Risoluzione del
Parlamento europeo del 21 gennaio 2021, recante raccomandazioni alla
Commissione UE sulla proposta di Direttiva sul diritto alla disconnessione.
Preso atto che, attualmente, manca una normativa europea specifica sul diritto
dei lavoratori alla disconnessione dagli strumenti digitali a scopi lavorativi,
si sottolinea l'importanza di colmare tale lacuna. L'essere sempre connessi e
reperibili può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori,
sull'equilibrio tra la loro vita professionale e quella privata, nonché (come
si è visto) sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere. Se da un
lato, il diritto alla disconnessione comporta la possibilità del lavoratore di
non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell'orario di
lavoro, senza essere per questo penalizzato; dall'altro lato, i datori di
lavoro non dovrebbero incentivare la cultura del sempre connessi, ad esempio
con favoritismi nei confronti dei lavoratori che rinunciano a tale diritto.
Diritto alla
disconnessione: arriva la legge Europea
Nella Risoluzione de qua viene enunciato
un principio fondamentale, da non tralasciare, ovvero: "Il diritto alla
disconnessione dovrebbe applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i
settori, sia pubblici che privati, e dovrebbe essere attuato
efficacemente".
Proprio perché mira a garantire la tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque,
compreso l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, il diritto alla
disconnessione deve essere un diritto generalmente riconosciuto (erga omnes).
La normativa - parziale
- italiana: la legge 81/2017
Si è pronunciato in merito anche il
legislatore italiano con una normativa, purtroppo parziale, in quanto limitata
al solo lavoro agile. Il riferimento è alla legge 81/2017- il Capo II è
dedicato appunto al lavoro agile- la quale però non ha apprestato un'adeguata
tutela. Innanzitutto, non ha riconosciuto la disconnessione come un diritto.
Inoltre, l'articolo 19 della suddetta legge dispone che l'accordo relativo alla
modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto e disciplina l'esecuzione
della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali. Tale
accordo individua i tempi di riposo del lavoratore nonché "le misure
tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del
lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro".
In sostanza, la disconnessione è rimessa
alla negoziazione delle parti. Indefettibile quindi un intervento del
legislatore che riconosca la disconnessione come un diritto fondamentale dei
lavoratori e che tale diritto venga applicato in ogni ambito e settore
lavorativo.
Antonia De Santis
Praticante Foro di Nocera Inferiore
Diritto alla
disconnessione e smart working
In realtà, il diritto alla disconnessione
è un istituto dai confini ancora fumosi nel nostro ordinamento, anche se ha già
trovato riconoscimento ufficiale all'estero e sia già diffusamente
rispettato nella pratica aziendale nostrana.
A dire il vero, tale diritto viene preso
in considerazione anche a livello normativo, nella legge che disciplina
lo smart working in Italia. Quest'ultimo, anche conosciuto
come lavoro agile, rappresenta una modalità di svolgimento dell'attività
lavorativa ampiamente adottata nella realtà lavorativa italiana e postula la
possibilità per il dipendente di prestare la propria opera anche al di fuori
dell'azienda, senza vincoli di orario.
L'orario, appunto: questo il punto in
comune tra smart working e diritto alla disconnessione. La legge sul
lavoro agile (l. 81/2017) chiarisce che il lavoratore è
tendenzialmente libero di stabilire in autonomia i tempi di lavoro. L'unico vincolo,
anzi, è dato proprio dalla durata massima dell'orario di lavoro.
Raggiunto questo limite, anche il lavoratore "flessibile" ha il
diritto di "staccare la spina" e rendersi irreperibile.
L'irreperibilità nella
contrattazione collettiva
Al di là del dato normativo appena
esaminato, è possibile citare anche quanto avviene nell'ambito della contrattazione
collettiva, dove il diritto alla disconnessione è ormai considerato quale
criterio generale da tenere in considerazione, relativamente all'utilizzo di
cellulari e altri dispositivi di comunicazione.
In tale ambito, nell'ottica di una
migliore conciliazione tra vita lavorativa e vita privata familiare, la
possibilità di effettuare chiamate ai dipendenti e inviare mail per motivi di
lavoro viene dichiaratamente circoscritta al solo orario di lavoro e
non è concessa nelle restanti ore della giornata.
Analoghe disposizioni, come detto, si
ritrovano già in alcuni ordinamenti stranieri, come ad esempio la legge
sul lavoro francese.
Diritto alla
disconnessione: una regola comportamentale
In realtà, al di là di qualunque appiglio
normativo, sembra corretto affermare che la questione del c.d. diritto
alla disconnessione riguardi, più che la sfera giuridica, quella
della correttezza nei rapporti sul piano sociale.
Prolungare il livello di attenzione e di
disponibilità del dipendente oltre il normale orario di lavoro per cui viene
retribuito, infatti, potrebbe a buon ragiona essere considerato una
fonte di ingiusto stress nei confronti dello stesso.
Del resto, pretendere che il dipendente
abbia uno specifico dovere di rispondere a mail e messaggi del tutto eventuali
anche fuori dell'orario di lavoro, vorrebbe dire riconoscere che lo stesso, in
certa misura, sia ancora a disposizione del datore e configurerebbe, in
ultima analisi, il suo diritto a un'indennità economica che compensi tale
reperibilità.
È dunque ragionevole affermare che, anche
in assenza di specifici accordi o normative, già sul piano
comportamentale è da ritenersi sussistente il diritto alla irreperibilità,
al di fuori dell'orario di lavoro, in capo a ciascun lavoratore dipendente.
Fonte:
(www.StudioCataldi.it)
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