Aborto farmacologico. Una
conquista da difendere -
L'Uaar ha
tra i propri obiettivi l'"eliminazione di ogni
ostacolo per l’utilizzo della pillola Ru486". Ha di conseguenza accolto
con favore il superamento da parte del Ministero della salute delle restrittive direttive del 2010: dal 12
agosto 2020, in base alle nuove linee guida, le donne che non
vogliono portare a termine una gravidanza potranno accedere all'aborto
farmacologico fino alla nona settimana e senza obbligo di ricovero. Anche se
con un ritardo pluriennale l'Italia si è uniformata alla maggior parte dei
paesi occidentali per quanto riguarda l'accesso alla pillola Ru486.
Ma per le
donne che vogliono autodeterminarsi e decidere di interrompere una gravidanza
indesiderata i problemi non sono affatto finiti. Organizzazioni integraliste
hanno diffuso cartelloni con l'intento di
colpevolizzarle, veicolando il messaggio (privo di valore scientifico) che la
pillola Ru486 sarebbe veleno. Alcune regioni hanno boicottato il loro diritto
di poter scegliere per la propria salute (Umbria, Marche, Abruzzo). Per questa ragione l'Uaar ha
deciso di lanciare la nuova campagna Aborto farmacologico. Una
conquista da difendere per sostenere le donne e il loro diritto di
compiere scelte libere e consapevoli. Una campagna a favore
dell'autodeterminazione, della scienza e della salute.
Non solo.
Altro obiettivo della campagna è rimuovere lo stigma sull'aborto volontario
quale scelta che sarebbe sempre e per tutte sofferta, e passibile di
riprovazione sociale. Una parte della società ancora intrisa di clericalismo e
paternalismo guarda alle donne come esseri fragili incapaci di scelte autonome
e razionali. Vogliamo ribadire che ogni donna ha diritto di scegliere se
abortire o meno, di decidere del proprio corpo e della propria vita e
lo Stato ha il dovere di garantire alle donne il diritto di
autodeterminarsi e il dovere di mettere a loro disposizione le migliori
soluzioni che la scienza prevede. L'aborto è una procedura medica che nulla a
che vedere con le posizioni etiche del politico o del sacerdote di turno.
Ricordiamo che un altro obiettivo dell'Uaar è l'"abolizione dell’obiezione
di coscienza prevista nei reparti di ginecologia degli ospedali pubblici, che
devono garantire premura e tempestività nei confronti di chi chiede una Ivg e
che devono inibire l’accesso agli attivisti ideologicamente orientati".
La
testimonial della campagna è Alice Merlo, una giovane donna che ha avuto il
coraggio di raccontare la propria esperienza, di dire che ha abortito con la
pillola Ru486 e che non è stato un dramma. Le sue parole campeggiano sul
manifesto dell'Uaar: «Ho scelto di interrompere volontariamente una gravidanza
con la terapia farmacologica. L’ho potuto fare in tutta sicurezza. La Ru486
evita il ricovero ospedaliero e l’intervento chirurgico: una scoperta
scientifica meravigliosa per la salute delle donne». Nel suo racconto in un
post su Facebook Alice denunciava inoltre come i «maggiori problemi legati
all'ivg sono le dinamiche colpevolizzanti, la riprovazione sociale per aver
fatto quella scelta, l'imposizione del senso di colpa e del dolore».
Dichiarazioni di libertà e di impegno che hanno spinto l'Uaar a chiederle di
esserne il volto di questa campagna che segue e completa Testa o croce? Non affidarti al caso! che
l'Uaar aveva lanciato a fine 2018. Perché il suo sguardo e le parole da lei
scelte testimoniano la capacità di ogni donna di scegliere per se stessa,
l’irrinunciabilità di decidere del proprio corpo e della propria vita,
l’importanza della ricerca scientifica in materia di salute sessuale e
riproduttiva…
Sotto attacco la campagna Uaar in favore dell’aborto farmacologico - Maurizio Franco
Le braccia incrociate e lo sguardo convinto. Lo sfondo bianco e la scritta azzurra che campeggia sul manifesto: aborto farmacologico. Una conquista da difendere. Il mezzo busto di una ragazza e un suo commento in calce.
L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) ha lanciato una campagna “per sostenere le donne e il loro diritto di compiere scelte
libere e consapevoli”. Volantini, gigantografie in oltre quaranta città italiane e manifesti che
rivendicano il fondamento della pillola abortiva Ru486, “una scoperta
scientifica meravigliosa per la salute della donna”.
“Il nostro
intento è ribadire con la forza della comunicazione un principio non
negoziabile: l’autodeterminazione delle donne. E rompere le gabbie delle
narrazioni tossiche della disinformazione sul tema”, dice Cinzia
Visciano, dirigente Uaar e, nello specifico, responsabile nazionale
dei circoli. Visciano ha curato la capillarità e la diffusione della campagna
nei territori.
Il volto impresso sulla carta è quello di Alice Merlo, una ventisettenne
genovese: in poche parole, racconta la sua esperienza con il farmaco che,
ancora oggi, spaventa un pezzo dell’opinione pubblica. Nel settembre dello
scorso anno, Merlo ha deciso di abortire. Un post Facebook in cui scriveva
delle sue vicende e l’incontro con Uaar per partecipare alla campagna.
“A mio avviso è necessario normalizzare la narrazione sull’aborto, eliminando
il tono giudicante e gli stereotipi che ci colpevolizzano. Interrompere la
gravidanza è, a volte, una scelta difficile ma è anche una scelta liberatoria e
fatta in serenità. Nel mio caso lo è stato. Perché non dirlo?” dichiara
Merlo a Micromega.
Ad alcuni,
per utilizzare un eufemismo, la campagna di sensibilizzazione non è piaciuta.
Come denuncia Uaar, molti manifesti sono stati imbrattati. Ad
esempio, in Lombardia, Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia, con pennarelli neri e
bombolette, è andato in scena l’estro artistico reazionario di ignoti. Il
tenore delle critiche: “Pillola o proiettile non cambia”, “assassine” o
“assassini” – il genere cambia in base al target degli atti vandalici, secondo
l’interpretazione di Uaar: l’emancipazione femminile o l’Unione degli atei e
degli agnostici. Il logo dell’organizzazione è stato sistematicamente
scarabocchiato. “Un attacco all’autodeterminazione delle donne con
frasi inquietanti e pericolose per la nostra democrazia, scagliato contro la
tutela di un diritto che lo Stato non riesce a garantire pienamente” afferma
Visciano. In Italia, infatti, il 70 per cento dei medici è obiettore di
coscienza.
Alice Merlo
è stata subissata dagli insulti via social network. “A marzo ho ricevuto vere e
proprie minacce di morte e, ogni giorno, mi ritrovavo a segnalare o bloccare
degli haters. Addirittura, mi hanno addebitato la morte dei loro figli”,
racconta Merlo. Nelle ultime settimane, invece, il suo profilo Instagram è
stato colpito da un bombardamento digitale: i suoi post sono stati puntellati
da commenti denigratori di utenti anonimi o facenti capo a fantomatiche sigle
politiche. Un grumo di odio. Merlo ritiene che siano account fittizi, bot
facenti capo ad un’unica persona o ad organizzazioni che non hanno digerito la
schiettezza del suo racconto e la forza della sua testimonianza. “Gli
attacchi sono coordinati. Gli account utilizzano la stessa terminologia e
le stesse modalità social”.
Il 12 agosto
2020 il Ministero della Salute ha riformulato le linee guida per l’accesso alla
pillola Ru486, eliminando l’obbligo di ricovero per l’interruzione volontaria
della gravidanza, tramite aborto farmacologico. Una rivoluzione necessaria che
dà corpo e forza alla legge 194, che ha depenalizzato e disciplinato l’aborto e
che “allinea l’Italia a molti Paesi europei” come commenta Visciano.
L’universo
delle organizzazioni no choice ha reagito, tappezzando le
plance con poster che paragonano il farmaco ad un veleno. Nonostante nel nostro
Paese la pillola sia legale dal 2009 e fornita, quindi, dallo Stato. E le
risultanze delle evidenze scientifiche che certificano la sua totale sicurezza.
“Ho visto la mia città inondata di questi manifesti. L’amministrazione genovese
ha ritenuto che tutto questo fosse lecito e non è intervenuta. Mi sono sentita
in dovere di fare qualcosa”. E Alice Merlo ha scelto, letteralmente e
liberamente, di metterci la faccia.
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