Pubblichiamo una sintesi dell’incontro tenutosi mercoledì 26 maggio nella
sede del CLE nell’ambito delle iniziative organizzate in Università dai giovani
studenti No Tav e apparsa sul sito https://serenoregis.org/ a cura di
Daniela Bezzi.
Dopo le partecipate assemblee già tenutesi il 12 maggio nella sede del CLE
(per dire delle recenti requisizioni di San Didero) e il 19 maggio nella
sede di Palazzo Nuovo (in cui la commissione tecnica del Movimento NoTav ha
sottolineato i molti aspetti di insostenibilità del progetto
Torino-Lione), l’incontro del 26 maggio della serie Cosa succede in
Valsusa? è stato curato del Collettivo della Facoltà di Giurisprudenza
e ha messo a fuoco il metodico lavoro di insabbiamento da parte della
magistratura nei confronti dei responsabili dei tanti e documentati episodi di
violenza da parte delle FF.OO (Forze dell’Ordine) nei confronti degli attivisti
NoTav.
Il confronto si è svolto di nuovo al CLE (Aula autogestita) alla presenza
dell’avv. Valentina Colletta (già difensora di Nicoletta Dosio, oltre che di
Dana Lauriola, e di molti altri militanti del Movimento NoTav), ed è iniziato
con la proiezione del film Archiviato: un documentario che fu lo
stesso legal team del Movimento a concepire, per denunciare la
sistematica impunità dei tanti episodi di violenza perpetrati nel corso di
varie manifestazioni di protesta contro manifestanti inermi, a volte non più
giovanissimi, in alcuni casi rimasti menomati per il resto della loro vita.
Un lavoro firmato da Carlo Amblino e con voce narrante dell’attore Elio
Germano, essenzialmente di montaggio di vari spezzoni girati (spesso dalle
stesse FF.OO.) durante gli scontri in valle, che ha visto la collaborazione e
il patrocinio di varie associazioni (Gruppo Antigone, Associazione Giuristi
Democratici, Controsservatorio Valsusa, A Buon Diritto) e, che nell’ottobre
del 2016 venne presentato anche al Senato della Repubblica ma
si trovò incredibilmente rifiutato l’anno successivo dalla manifestazione Biennale
della Democrazia di Torino “che pur si pregia di essere un Forum di
confronto, su tematiche di fondamentale importanza” ha fatto notare
l’Avv. Colletta introducendo il film.
Ricollegandosi a quanto già anticipato introducendo il documentario, l’Avv.
Colletta ha innanzitutto ricordato l’origine della maggior parte dei filmati,
per la maggior parte prove documentali fornite dalle stesse FF.OO. nell’ambito
delle varie udienze svoltesi nel corso degli anni presso il Tribunale di
Torino, in particolare durante il cosiddetto ‘processone’ riguardante
l’impressionante serie di denunce a carico dei manifestanti. “Ma come il
documentario ben dimostra, è stato regolarmente impossibile – a parte
pochissime eccezioni – individuare i responsabili delle violenze subìte dai
manifestanti, non solo tra gli agenti direttamente responsabili ma anche tra
colleghi e dirigenti che ne erano senz’altro partecipi.
Trattandosi di azioni di gruppo, chiunque è testimone di un abuso avrebbe
il dovere di denunciare e testimoniare, rendendosi protagonista dell’abuso se
non lo fa… ma così non è stato per gli inquirenti, dando per scontato che anche
in caso d’indagine i ‘colpevoli’ avrebbero negato qualsiasi responsabilità” ha
detto l’Avv. Colletta, sottolineando però l’accanimento investigativo che si è
invece abbattuto sul fronte opposto, criminalizzando chiunque (benché
incensurato) fosse stato individuato partecipe oppure in
qualche modo vicino al Movimento No Tav, non solo in Val Susa
ma nel resto dell’Italia.
“La Digos è stata attivissima nell’individuazione dei fiancheggiatori,
sulla base delle foto estrapolate dai filmati. Mentre non è stato fatto alcuno
sforzo per individuare i responsabili di violenza tra le FF.OO. e per questo
abbiamo deciso di muoverci direttamente come legali.” Nel caso della
manifestante Marta, oggetto di violenza persino sessuale, l’individuazione dei
responsabili sarebbe stata semplicissima, essendo gli stessi che firmarono il
verbale di fermo; e solo grazie al confronto con le foto prodotte direttamente
dal legal team del Movimento, si è arrivati ai colpevoli – ma
anche il caso di Marta si è concluso con l’archiviazione con l’incredibile
motivazione che le circostanze di concitazione caratterizzanti quel momento di
scontro ‘escludono la possibilità di desideri sessuali’!
“Come Avvocati avevamo sperato di non dover dare seguito a questa
documentazione, che si è chiusa nel 2016” ha proseguito l’Avv. Colletta.
“Senonché proprio recentemente, a seguito di una manifestazione assolutamente
pacifica che si è svolta a San Didero il 17 aprile scorso, eccoci a denunciare
l’ennesimo caso di violenza, con uso indiscriminato di lacrimogeni ad altezza
d’uomo contro un gruppo di manifestanti. Tra essi è rimasta gravemente colpita
Giovanna Saraceno, tuttora ricoverata in ospedale per fratture alla calotta
cranica con prognosi di almeno un anno – e per la quale abbiamo esposto querela
sperando che i responsabili tra le FF.OO. vengano individuati, ma non è affatto
certo…
L’unica cosa certa, dal 2016 ad oggi, è la crescita esponenziale degli
indagati e dei verdetti, come nel caso di Dana Lauriola, che solo da poco ha
ottenuto i domiciliari dopo sette mesi di carcere che avrebbero dovuto essere
addirittura due anni, benché incensurata. E non sono pochi gli indagati sul suo
stesso caso, che com’è noto è di lieve rilievo: il blocco dei tornelli su un
tratto di autostrada, per denunciare le condizioni gravissime del compagno Luca
Abbà precipitato dal famoso traliccio (luglio 2012) per un danno complessivo ai
gestori di poco più di € 700.”
A nome del Collettivo di Giurisprudenza è quindi intervento Alessandro che
ha sottolineato come “più che di repressione si dovrebbe parlare di
criminalizzazione, a fronte della più sistematica decriminalizzazione, ovvero
dell’uso selettivo del crimine: da una parte per sopprimere il dissenso di
chiunque si oppone alla Grande Opera, dall’altra per autorizzare qualsiasi
abuso da parte di chi si fa Agente di tale repressione, evidenziando
l’ipocrisia di un sistema che teoricamente renderebbe obbligatoria l’azione
penale (…) e invece valorizza il protagonismo degli Agenti di Polizia, chiamati
a concorrere con schedature, informative e quant’altro: frequentazioni,
convegni, amicizie, tutto concorre all’istruzione dell’accusa…”
Un’intenzionalità confermata dall’Avv. Colletta quando ha ricordato che il
cosiddetto pool di inquirenti sulla situazione NoTav, è stato
creato nel 2010, ovvero prima che si evidenziasse una
particolare necessità inquisitoria. Contribuendo cioè a orientare a
priori le indagini in corso, in quanto affidate appunto allo
stesso pool. “Per esempio la stessa partecipazione alle udienze nei
vari processi, che sarebbe un diritto per chiunque – a cominciare dalla famosa
Aula Bunker che ha visto lo svolgersi del ‘processone’ – diventa un’occasione
di schedatura da parte della Digos, per attenzionare chi per
esempio è attivo su vari fronti di protesta sociale (…) Anche in assenza di
comportamenti criminosi ecco che la scheda-Digos concorrerà alla definizione
di indagato solo perché fisicamente presente magari solo come
testimone, allo sgombero di una casa occupata, e tutte queste assiduità verranno
poi impugnate in sede di giudizio.”
L’Avv. Colletta ha tra l’altro ricordato le recenti udienze per i
tafferugli che si verificarono un anno fa contro alcuni studenti del FUAN
all’Università “in cui si è arrivato alla richiesta di misure cautelari per
condotte che al massimo potrebbero definirsi bagatellari, a fronte
della più assoluta indulgenza nei confronti del banchetto del FUAN la cui
presenza è stata giustificata come libertà di espressione!”
Alessandro del Collettivo Giurisprudenza ha poi richiamato l’attenzione su
alcuni studiosi che hanno dedicato una particolare attenzione all’accanimento
giudiziario sul caso Val Susa in particolare Alessandro Senaldi (Università di
Genova, autore di Cattivi e primitivi. Il movimento NoTav tra discorso
pubblico, controllo e pratiche di sottrazione – Ed. Ombre Corte, 2016)
e Xenia Chiaromonte (ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry, autrice del
fondamentale Governare il conflitto – Ed. Meltemi, 2019).
“Senaldi scherzosamente sottolinea l’alta velocità dei
procedimenti contro i NoTav, che normalmente prevedono rinvii a giudizio 2
volte e mezzo inferiori che in altri casi, mettendo in dubbio l’assunto secondo
il quale La legge è uguale per tutti…”
“Infatti non lo è, ma non solo per il Mov NoTAV o per altri conflitti
sociali. La legge è fondamentalmente classista” ha fatto eco l’Avv. Colletta.
“La considerazione riservata a una persona abbiente sarà indubbiamente diversa
da quella per un tossicomane (per fare un esempio di cui mi sono occupata
recentemente) che in un supermercato ha rubato un pezzo di formaggio –
evidentemente perché aveva fame… Ma il solo fatto che dopo essersi divincolato
abbia cercato di scappare, identifica il reato come rapina. La sentenza non è
stata ancora emessa ma potrebbe essere esemplare, ovvero severa, e
questa è purtroppo la norma – mentre tutt’altro che esemplarmente vediamo
puniti i responsabili dei tanti casi, per esempio di strage, bancarotte,
nocività ambientali, fallimenti fittizi etc, che si trascinano per anni e
magari si concludono in prescrizione, sebbene così impattanti sui territori e
sul corpo sociale.
Per cui: la giustizia NON è uguale per tutti e non
è una bestemmia dirlo. Per una ragione innanzitutto procedurale: perché se il
giudice incarica la polizia di indagare circa le responsabilità della stessa
polizia, non si arriverà a nessuna conclusione, è normale che all’interno dello
stesso corpo di polizia ci si difenda con l’omertà – la cosa
cambierebbe incaricando forse i carabinieri o la guardia di finanza, ma ciò non
succede.”
È intervenuta poi dal pubblico Irene che ha definito aberrante
l’archiviazione dell’abuso sessuale documentata dal film Archiviato verso
il finale, con la NoTav Marta non solo palpeggiata nelle parti intime e
insultata come puttana da un’agente per giunta donna, ma intimidita dallo
stesso giudice mentre riconosce i responsabili degli abusi: “speriamo solo che
il crescere di sensibilità su certe problematiche renda difficile il riproporsi
di simili situazioni: un vero schifo!” Richiamandosi poi al dibattito che è
cresciuto in altri paesi del mondo, per esempio negli Stati Uniti, sul tema
della police brutality, Irene si è chiesta come mai un’attenzione
analoga non si è sviluppata in Italia e in particolare su ciò che succede in
Val Susa.
“Su questo punto dovremmo ragionare se non altro perché apre uno spiraglio
di speranza” ha convenuto l’Avv. Colletta. “Forse quel che fa la differenza è
un diverso sistema d’informazione, benché i casi di violenza qui da noi non
siano meno ‘schiaffo in faccia’ di quelli che hanno motivato le proteste
oltre-atlantico. Penso alla povera Giovanna letteralmente rovinata da un
lacrimogeno; o a quella signora non più giovanissima che dopo gli scontri di
Chianocco non potrà più camminare normalmente, per non dire delle conseguenze
sul piano psicologico che sono stati in molti a soffrire – o di quelle immagini
che documentano l’irruzione delle FF.OO. all’interno di un bar durante gli
scontri di Chianocco… Forse se queste immagini venissero diffuse dai nostri
media, cambierebbe qualcosa, ma la mia impressione è che il sentimento
prevalente da noi è aprioristicamente in favore delle FF.OO. Forse negli
Stati Uniti si è raggiunta una diversa consapevolezza.”
Ha ripreso la parola Alessandro del Collettivo di Giurisprudenza che ha
sottolineato l’ulteriore protagonismo dei Sindacati di Polizia che si
costituiscono regolarmente parte civile nei processi. Riferendosi poi al caso
di Giovanna ha ricordato che la Convenzione di Ginevra considera i lacrimogeni
armi da guerra che come minimo andrebbero utilizzati a parabola e non ad
altezza d’uomo, come è troppo spesso successo in Val Susa. E in relazione alla
riflessione di Irene, ha messo in rilievo il cambio di paradigma riscontrato
dai sociologi del diritto americani rispetto a una ‘macchina della polizia’ che
da un certo punto in poi è stata vista non solo da dentro, ma
anche da fuori.
Sempre sul tema della police brutality sollevato da Irene
è intervenuto poi un altro studente, ricordando i casi di Federico Aldovrandi,
Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, che hanno richiesto anni per arrivare a un
riconoscimento di giustizia benché insoddisfacente. “E comunque non dovremmo
sottovalutare l’aspetto della rabbia, che tutti questi casi di ingiustizia
contribuisce ad accrescere, nei confronti dello Stato” ha concluso, facendo
riferimento al quartiere in cui vive, quartiere Aurora, spesso teatro di
violenti scontri con la polizia, per esempio durante il lockdown.
“La funzione della polizia dovrebbe essere di difesa dei cittadini e invece
finisce per essere di repressione della protesta sociale, e questo genera
rabbia…”
Sulla tesi delle ‘mele marce’, ovvero dei ‘casi isolati’ all’interno delle
FF.OO., l’Avv. Colletta ha ritenuto importante ricordare i fatti di Genova 20
anni fa, che anche per lei hanno rappresentato un momento di non ritorno:
“Ammesso che la tesi sia accettabile, io avrei voluto vedere una radicale
pulizia tra i ranghi della polizia, come dei carabinieri nel caso di Cucchi. E
invece abbiamo assistito a sistematici insabbiamenti e deviazioni delle
indagini, per arrivare al massimo a condanne simboliche che però non escludono
il reintegro e addirittura le promozioni, dopo i periodi di sospensione! Ma se
il caso Cucchi ha richiesto 15 anni, durante i quali ai responsabili è stato
dato persino il diritto di insultare chi cercava di fare giustizia, significa
che dietro le ‘mele marce’ c’è un sistema, un apparato, un corpo pronto a
difendere a oltranza le ‘mele marce’!”
E tornando sul caso della Val Susa, sulla sproporzione delle pene inflitte
per reati relativamente gravi, nel confronto con ciò che è successo per esempio
alla Diaz durante i giorni di Genova, ha ribadito la funzione fondamentalmente
rieducativa di qualsiasi pena. “Nessuno pretende l’impunità in caso di
danneggiamento, a patto che il danneggiamento non venga scambiato per
terrorismo o eversione. Se questo succede, io cittadina ho il diritto di
pensare e di dire che non è giusto.”
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