Al processo contro Lucano e Riace, la
Procura di Locri ha tenuto ieri l’altro la sua requisitoria e l’ha conclusa con
richieste pesanti, prima fra tutti i 7 anni e 11 mesi di reclusione chiesti per
Mimmo Lucano.
Stupore? Mah, a sentire la requisitoria
del pubblico ministero si direbbe che tutto torna. Anzi, per essere più
precisi, sembra che non ci sia nemmeno stato il dibattimento. Da cittadina
comune che osserva il processo, è questo che soprattutto mi colpisce. Tutte le
ipotesi di reato dell’informativa della Guardia di finanza, che è servita per
mesi a illustrare l’impianto accusatorio, sono di nuovo qui, intonse. Solo che
in sede di requisitoria non sono più ipotesi di reato, sono ormai accuse belle
e buone che si traducono nell’ammontare della pena. Nulla in questi due anni di
udienze è valso ad incrinare le certezze del pm, a insinuare qualche dubbio.
Neanche il crollo del super-testimone Francesco Ruga, che aveva accusato Lucano
di concussione, ma che già nel 2018 il GIP aveva dichiarato inattendibile
accusando la Procura di essersi fidata delle sue parole senza approfondire.
Portato in aula tre anni più tardi, Ruga aveva dovuto riconoscere che Lucano
non lo aveva mai minacciato (https://volerelaluna.it/societa/2021/04/08/processo-a-lucano-va-in-scena-laccoglienza/).
A tutti era apparso come un colpo di scena; invece non ha colpito per niente il
Pm, che anzi ribadisce in pieno l’attendibilità di Ruga e rivendica la sua
denuncia all’origine dell’indagine e del processo. Da lì, da quel momento
iniziale che pure non era molto esaltante, con il GIP che aveva escluso la
stragrande maggioranza delle accuse e aveva accusato l’indagine di
superficialità e sciattezza, il PM non si è mosso.
Non si è fatto intimidire nemmeno dalla
Cassazione, che nel febbraio 2019 aveva giudicato regolare l’affidamento della raccolta
differenziata a due cooperative sociali di Riace e non aveva riscontrato nessun
comportamento fraudolento (https://volerelaluna.it/commenti/2019/04/29/domenico-lucano-litalia-la-giustizia/):
nella requisitoria ritroviamo intatte tutte le ipotesi di reato sulla raccolta
dei rifiuti. Né dal Consiglio di Stato, che un anno fa aveva definitivamente
dichiarato illegittima la chiusura dello SPRAR di Riace da parte del Viminale,
accusato di comportamento ostile per aver improvvisamente chiuso un progetto
triennale che solo un mese prima aveva approvato e rifinanziato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/07/08/domenico-lucano-come-procede-un-processo-politico/).
Né dal Tribunale del Riesame che a luglio scorso, nel respingere una nuova
richiesta di domiciliari per Lucano, aveva sostenuto che non c’è nessuna prova
del reato associativo, né di un vantaggio personale di Lucano.
Non si è fatto intimidire nemmeno dalle
vicende giudiziarie dell’avvocato Sergio Trolio, che aveva fatto la prima
indagine a Riace e a febbraio è stato arrestato come protagonista di quel
“sistema Crotone” che vendeva ai migranti le pratiche di richiesta di
protezione – più rapido il servizio, più alto il costo. Che credibilità può
avere un tale teste? Eppure il pm cita lungamente la sua deposizione e le
critiche rilevate nel sistema di accoglienza a Riace; la sceglie come indagine
affidabile, a differenza di quella coordinata da Francesco Campolo, che secondo
lui era amico di Lucano e per questo scelse «di redigere una relazione sul CAS
di Riace secondo criteri non tecnici», in sostanza una relazione positiva.
Ma soprattutto il pubblico ministero non
si è fatto intimidire neanche dalle domande del presidente, durante le udienze,
sulle prove del vantaggio personale che non sono mai emerse, in un processo che
la Procura aveva avviato dichiarando che Lucano si era intascato due milioni di
euro sottratti dai fondi per l’accoglienza. Il movente è stato per tutto il
dibattimento il punto debole della narrazione dell’accusa. Non riuscendo a
provare che si fosse appropriato di soldi pubblici, si è tentato di sostenere
che il suo interesse era politico-elettorale; ma anche questo era naufragato,
perché Lucano non si era mai candidato in nessuna competizione elettorale;
rimaneva solo un’intercettazione in cui diceva al fratello “quasi quasi mi
candido”, riferendosi alle politiche del 2018, ma poi non ne aveva fatto
niente. E il tema del movente di Lucano sembrava scivolare via dalla scena.
Ora invece sappiamo che il movente di
Lucano c’è. Il pm lo aveva preparato quando all’ultima udienza istruttoria
aveva sorpreso tutti chiedendo l’acquisizione di una recentissima intervista in
cui Lucano raccontava di essersi deciso ad entrare nelle liste di De Magistris
per le prossime regionali (https://volerelaluna.it/societa/2021/04/29/domenico-lucano-le-elezioni-e-le-fantasie-del-pubblico-ministero/).
Al presidente che gliene chiedeva le ragioni, rispondeva che la decisione di
candidarsi dimostrava che in effetti l’attività politica era il suo vero scopo,
come diceva quella vecchia intercettazione. Adesso di fronte alla sua
requisitoria si capisce meglio il perché di quella strana richiesta che il
presidente aveva respinto. Tutta la requisitoria è costruita su questo assunto:
l’accoglienza è il pretesto che Lucano utilizza per costruirsi un sistema
clientelare che gli assicuri i voti per portare avanti il suo progetto politico
e lo sviluppo del paese. Così Lucano inflaziona i numeri di sua iniziativa e
non su richieste pressanti della Prefettura come testimoniato dagli stessi
funzionari. «L’incremento dei numeri è voluto e la ragione della continua
“disponibilità” alla ricezione di migranti è l’economia associata all’accoglienza».
Quando Lucano, nelle sue dichiarazioni spontanee, afferma: «Io ho detto sempre
sì perché alla fine avevo capito che era utile per il territorio di Riace», il
pm traduce: «Era utile perché garantiva un continuo afflusso di denaro» e
quindi la possibilità di perpetuare il sistema clientelare che rafforzava il
potere di Lucano.
Secondo il pm è questo il succo della
politica per Lucano. Lo sviluppo locale, il riscatto rispetto al destino di
spopolamento, la rivitalizzazione della comunità attraverso nuove opportunità
di lavoro, tutti quegli aspetti che hanno fatto la specificità del sistema
Riace non compaiono nemmeno, per non parlare dell’idea di costruire una
comunità coesa con i migranti che nello sviluppo hanno giocato un ruolo attivo,
non da semplici ospiti. È logico allora che il sistema delle “economie”, di cui
tanto abbiamo parlato nel monitorare le udienze, sia completamente asservito ad
assicurare a Lucano il ritorno in termini di sostegno elettorale e che tutte le
attività che sono servite a finanziare non contino, che sparisca il loro
apporto in termini di integrazione. Salvo riproporre qua e là il sospetto
dell’arricchimento personale: «Parte dei fondi pubblici destinati ai migranti
sono stati utilizzati per interessi personali, ovverosia la patrimonializzazione
dell’Associazione di Lucano. L’acquisto dei macchinari per il frantoio o la
ristrutturazione di case destinate non ai migranti, ma a B&B non può
considerarsi finalità pubblica ma arricchimento personale». E così abbiamo
sistemato anche il turismo solidale!
Perché il movente politico offre questo
vantaggio: non ha bisogno come quello economico che si produca la prova, che si
trovino i soldi, “il gruzzolo” come lo chiamava il colonnello Sportelli. Lo si
può semplicemente suggerire come intento occulto, senza doverlo dimostrare.
Lucano era stato rieletto nel 2014 per la terza volta consecutiva e non avrebbe
potuto ricandidarsi a sindaco; allora la ricerca spasmodica di voti nel
2016-2017 a cosa gli serviva? E siccome non si è candidato in nessun’altra
competizione elettorale, come possiamo provarla? La prova il pubblico ministero
l’ha trovata nella sua intenzione di candidarsi oggi alle prossime regionali:
come dicevo nel report precedente (https://volerelaluna.it/societa/2021/04/29/domenico-lucano-le-elezioni-e-le-fantasie-del-pubblico-ministero/),
la candidatura di oggi conferma le intercettazioni di quattro anni prima, il
suo piano era quello di candidarsi un giorno… Peccato che si tratti di quattro
anni dopo, di quattro tornate elettorali dopo e soprattutto dopo il tentativo
massiccio di distruzione del modello Riace. Ma tant’è. Quell’intercettazione
del 2017, che perdeva significato di fronte al dato di realtà che non si era
poi candidato, per cui diventava difficile sostenere in modo convincente il suo
interesse politico-elettorale, ritrova finalmente il suo senso predittivo in
un’intervista di oggi.
Per questo, fra i 15 capi d’accusa che
pesano su Lucano, quello di essere il capo e promotore di un’associazione a
delinquere è decisivo, ancorché tutti i tribunali abbiano dichiarato
insussistente il reato associativo e nella stessa istruttoria si sia rivelato
un punto debole dell’accusa. Perché è l’associazione che consente di mettere in
evidenza il ruolo di dominus, di sostenere che tutto il sistema era
strumentale all’interesse politico-elettorale di Lucano, era preordinato alla
costruzione di un sistema clientelare. Non avrebbe certo potuto farlo da solo.
L’associazione dice l’intenzionalità e la progettualità. Anche se la «congrua
struttura organizzativa» di quest’associazione si riduce a un fatto
linguistico: «L’utilizzo del “noi” è sintomatico dell’appartenenza al sistema»,
afferma il pubblico ministero. E tanto vi basti.
Allora, davvero tutto torna? È solo
l’essenziale che non torna per niente: Riace è ridotta a un progetto
criminale. E proprio sulla base di quelle pratiche che per anni sono state
portate avanti alla luce del sole, rivendicate pubblicamente da Lucano anche in
contesti istituzionali, guardate come buone pratiche da tanti interessati alle
politiche di accoglienza. C’è una rottura di senso qui che non può passare
sotto silenzio.
Proviamo allora a parlare davvero di
politica. In apertura di seduta il Procuratore capo Luigi D’Alessio ha detto
che questo non è un processo politico al modello Riace e tanto meno
all’accoglienza. La prova sarebbe che molti governi diversi si sono alternati
in questi anni dal 2016 a oggi e nessuno ha fatto pressioni sulla Procura di
Locri. È piuttosto un processo contro una cattiva gestione, tutta tesa ad
assicurarsi clientele, dato che «ai migranti sono state date solo le briciole
dei finanziamenti».
Forse però il punto non è se ci sono
state pressioni da parte dei governi, ma un altro. Perché quelle pratiche che
da sempre hanno caratterizzato il modello Riace improvvisamente sono diventate
pratiche criminali? Per questo non c’è bisogno di pressioni. Basta opporre
all’idea di accoglienza e solidarietà che le animano un’altra idea delle
politiche migratorie, quella che proprio in contemporanea con l’avvio
dell’inchiesta ha cominciato a monopolizzare la politica e l’informazione nel
nostro paese. Le accuse di invasione e sostituzione etnica scagliate contro
Riace sono espressione di una posizione politica lontana mille miglia da quanto
vi si era realizzato. Ed è da questa posizione che le pratiche di Riace vengono
tramutate in altro: non le finalità d’integrazione, ma il consolidamento di una
posizione di potere. Dire che il frantoio sociale non serve a dar lavoro ai
migranti è affermare un’idea diversa dell’integrazione; pretendere che serva
solo a consolidare clientele locali utili a fini elettorali richiede che si
possa andare oltre una supposizione, che si portino prove che mancano. Gli atti
sono gli stessi che nel 2009 Wim Wenders aveva ritratto nel film Il
Volo, e che tutti conoscevano. Ma se gli tolgo l’anima, all’integrazione,
ne cambio il senso senza che cambino gli atti. Mutatis mutandis, è
un po’ come quelli che dicono: i naufragi sono responsabilità vostra che
lasciate arrivare i rifugiati e pretendono così di trasformare il soccorso in
disprezzo delle vite umane.
Il carattere politico di questo
processo, D’Alessio se ne faccia una ragione, sta tutto qui: idee contro idee.
Come diceva Calamandrei a proposito del processo contro Danilo Dolci, un
processo politico porta sempre con sé un rovesciamento di senso, di senso
morale e perfino di senso comune. Capire come avviene questo rovesciamento è il
cuore di un processo politico (https://volerelaluna.it/commenti/2018/10/02/larresto-di-mimmo-lucano-il-mondo-al-contrario/).
C’è qui un salto, uno iato che il collegio di difesa e poi il collegio
giudicante dovranno riempire: come è possibile che gli atti di un uomo come
Lucano, che tutti riconoscono mosso dai suoi ideali di umanità e solidarietà,
che ha dato tutto se stesso per l’accoglienza e lo sviluppo del suo paese, al
punto da vivere in povertà, possano essere presentati come un progetto
criminale?
L’articolo è pubblicato anche in www.pressenza.com
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