La tempesta
perfetta per israeliani e palestinesi.
Un’analisi dell’organizzazione al comando
nella Striscia
e del vantaggio che ne trae la destra
israeliana
Due forze di destra ultraconservatrice, entrambe
sostenute dalle rispettive superstizioni confessionali nelle frange più
estremiste, si confrontano legittimandosi a vicenda.
Abbiamo chiesto ai sodali di “Atlante delle guerre” di
riprendere l’articolo di Eric Salerno publicato il 15 maggio per arricchire il
nostro Studium sulle Terre resistenti e la comunanza tra le realtà oppresse
intorno al Mediterraneo risulta sempre più valido. Quello che ci è sembrata una
sorta di cancrena, che continua a riproporsi da più di trent’anni di impunità
sancita dal blocco di ogni organismo di controllo, è dimostrata dagli articoli
scritti da Eric a suo tempo – e qui riprodotti – che fotografano esattamente il
momento in cui è scattata la trappola.
Trentaquattro anni fa la popolazione della Striscia
era un quinto dell’attuale e l’estensore dell’articolo era già stupito della
densità e della precarietà della condizione delle esistenze in quell’inferno,
che già nel 1987 era chiaramente inquadrato come un sistema di apartheid («Qui
siamo come a Soweto»), ma “la bomba a orologeria” è stata fatta brillare più
volte senza fare danni, se non riducendo diritti, producendo vittime
palestinesi e mettendo le radici di quella società bi-etnica che ora anima la
guerra civile in corso nelle città israeliane abitate da arabi ed ebrei.
Machiavelli, quel nostro principe che amava raccontare
e suggerire gli intrighi più complessi, si sarebbe divertito a guardare il
conflitto israelo-palestinese e le palesi contorsioni di alcuni
suoi protagonisti che gli osservatori non solo italiani, spettatori sempre più
relegati al ruolo di commentatori inutili, non sembrano capaci – o non
vogliono? – denunciare. Eppure quello che si svolge davanti ai nostri occhi
ricalca un nostro – antico romano e non italico – progetto: Dīvĭdĕ et
ĭmpĕrā. Il modo migliore per controllare un popolo è dividerlo, provocando
rivalità e fomentando discordie.
Hamas, che in queste ore, è nell’obiettivo dei
bombardieri israeliani, deve molto a Israele. Per almeno dieci anni, tra il
1978 e il 1987, il movimento fondamentalista, costola dei Fratelli musulmani
egiziani, è
riuscito a sviluppare nella striscia di Gaza una base formidabile di consensi,
grazie anche ai servizi segreti di Tel Aviv. Gaza, allora, era territorio
occupato come la Cisgiordania. Nella striscia si erano istallati undicimila
coloni israeliani tra i più radicali. Protetti da un apparato militare
imponente la cui amministrazione vedeva di buon occhio l’avvento di un
movimento islamico religioso come contraltare ai laici dell’Organizzazione per
la liberazione della Palestina (Olp) guidata da Yasser Arafat e tendente a
sinistra. Un funzionario israeliano, intervistato nel 2009 dal “Wall Street
Journal”, raccontò molto di quell’operazione che, spiegò, appariva convincente
ma che si sarebbe dimostrato, «per molti di noi», un errore. O no?
Tel Aviv vedeva nel leader del movimento, il
paraplegico Sceik Yassin, un uomo di fede da contrapporre all’Olp. La sua “Mujama”,
una organizzazione caritatevole con scuole, cliniche, una biblioteca e una
università, poteva alleggerire la pressione sugli occupanti e ridurre la
tensione che rischiava di esplodere. «Se fossi nato e cresciuto qui – mi disse
allora Giulio Andreotti durante una visita nella Striscia – diventerei un
terrorista». Tornai a Gaza appena scoppiata la prima Intifada e vi incontrai i
leader di Hamas che erano usciti allo scoperto aggiungendo alla loro attività
di assistenza sociale una Carta intrisa di antisemitismo e votata alla
distruzione di Israele.
Dopo Oslo
Poi vennero gli accordi di Oslo (agosto 1993), la
bozza di pace firmata da Rabin, Peres e Arafat sotto gli occhi di Clinton sul prato
della Casa bianca. Il mondo esultò. O quasi. I ricordi sono sempre
utili: ne ho uno di quel pomeriggio, dopo la firma, particolarmente
significativo. Ero presente al ricevimento offerto dall’ambasciata israeliana
per i suoi leader e i giornalisti accreditati in Israele. Un giornalista ebreo americano,
molto noto per le sue posizioni, affrontò Rabin con un’accusa: «Come hai potuto
fare questo a noi!». Pace sì, voleva, ma senza i palestinesi. Anche Hamas
voleva la pace, ma senza gli israeliani. E lo fece capire diventando sul piano
militare la più grossa minaccia all’occupazione israeliana. E alla credibilità
di Arafat, in quegli anni chiuso nella sua fortezza di Ramallah circondato
dalle forze israeliane e che lasciò per farsi curare in Francia e dove tornò
per essere sepolto. E con lui gli accordi che aveva firmato a Washington e che
non piacevano al centro-destra israeliano o, direi, alla maggioranza degli
israeliani.
Rabin (paragonato a un traditore anche da Netanyahu)
venne assassinato e le sue ceneri riportarono al potere i discepoli di Jabotinsky,
sionista di estrema destra, discepolo-protetto di Mussolini.
E
torniamo a Gaza. A Hamas. Ariel Sharon, ex generale diventato politico,
responsabile (quanto meno indirettamente) dei massacri nei capi palestinesi di
Sabra e Shatila (Beirut) da premier si lanciò in ciò che poteva apparire come
un passo avanti verso la fine dell’occupazione israeliana dei Territori.
«Lasciamo Gaza, – annunciò al mondo, – via le nostre truppe e via gli
undicimila coloni con i loro insediamenti».
Abu Mazen, il successore di Arafat, si congratulò ma,
quasi in ginocchio, esortò Sharon a concordare con lui il ritiro per consentire
all’Autorità nazionale palestinese e alla nuova politica del dialogo di guadagnare
punti invece di far apparire il ritiro come una vittoria della lotta armata, o
terrorismo, portata avanti con fervore dai militanti di Hamas. La risposta fu
un netto rifiuto. E alla elezioni successive in Palestina, le ultime [14 anni
fa], Hamas vinse non soltanto a Gaza ma anche in molti centri abitati della
Cisgiordania compresa la capitale, Ramallah.
Israele non ha mai voluto distruggere Hamas. Probabilmente
dopo aver ridotto per l’ennesima volta il suo potenziale militare, la lascerà
ancora viva.
E con i palestinesi sempre più disperati e divisi, i
vari Netanyahu continueranno a imperare.
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