Quando la politica e la fiction si intrecciano, in un
uso strumentale dei mezzi di comunicazione, per uscire vincitori in una lotta
di potere tra le diverse correnti del sistema politico iraniano. Marina Forti
ci racconta come realtà e finzione si sovrappongono a Teheran, tra arresti,
condanne a morte, fughe di notizie pilotate, messaggi lanciati via social e
vere e proprie azioni di intelligence.
Pragmatici e riformisti, ortodossi e
oltranzisti
Una serie tv
e una strana “fuga di notizie” illustrano la furibonda lotta di potere in corso
a Tehran, in un momento particolarmente delicato per l’Iran. Infatti, da un
lato sono in corso a Vienna difficili negoziati tra l’Iran e le sei potenze
mondiali per resuscitare l’accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel
2015 – da cui l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si era ritirato
nel 2018 benché l’Iran avesse osservato tutti i suoi obblighi. D’altro lato, il
18 giugno l’Iran eleggerà un successore al presidente Hassan Rohani, che
conclude il suo secondo mandato. Le candidature non sono ancora definite, e la
competizione tra le diverse correnti del sistema politico iraniano è serrata: i
pragmatici al governo con il presidente Rohani, i riformisti, o all’opposto le
correnti più ortodosse e oltranziste, le Guardie della rivoluzione, la magistratura
(sottotraccia c’è anche la corsa a “posizionarsi” per influenzare la futura
successione al leader supremo, l’ottantunenne Ali Khamenei).
I negoziati
in corso a Vienna e la battaglia elettorale sono molto intrecciati. E questo ci
porta alla serie tv intitolata Gando, dal nome di
un coccodrillo delle zone palustri del Sistan Baluchistan, provincia
sudorientale dell’Iran.
Gando: il coccodrillo e la spy story
Gando è una spy story in cui eroici agenti del
controspionaggio delle Guardie della Rivoluzione combattono agenti stranieri
infiltrati fino ai vertici della diplomazia iraniana. Messa in onda dalla tv di
stato, la prima stagione è andata in onda nel 2019: sullo sfondo dei negoziati
sul nucleare, coraggiosi agenti iraniani smascherano il corrispondente di una
famosa testata degli Stati Uniti, in realtà una spia americana. I titoli di
testa avvertivano che la fiction era “ispirata a fatti reali”. In effetti il
giornalista-spia assomigliava molto a Jason Rezaian, l’ex corrispondente del
“Washington Post” a Tehran arrestato nel 2014 e accusato appunto di spionaggio
(accuse mai spiegate in modo convincente), condannato dopo un processo a porte
chiuse e infine liberato nel 2016 grazie a uno scambio di prigionieri con gli
Usa, proprio mentre l’accordo sul nucleare entrava in vigore. Ovviamente la
fiction sposa le tesi dell’accusa.
La prima
puntata della seconda stagione è andata in onda lo scorso 21 marzo, un giorno
dopo Nowruz (il capodanno persiano). Questa volta “i nostri eroi” sventano
l’infiltrazione di spie occidentali nei ranghi della delegazione iraniana ai
negoziati avvenuti tra il 2013 e il 2015, conclusi con la firma dell’accordo
sul nucleare. Una puntata dopo l’altra, gli spettatori scoprono con orrore che
tra i massimi negoziatori ci sono agenti stranieri.
Anche nella
nuova stagione troviamo “citazioni” esplicite. C’è per esempio un giornalista
che ricorda un noto oppositore iraniano residente in Europa, Ruhollah Zam,
invitato a Baghdad e là rapito da agenti di sicurezza iraniani, portato in
Iran, processato e condannato a morte per spionaggio (fatto reale: la condanna
di Zam è stata eseguita lo scorso dicembre).
Non solo. I
due negoziatori che (nella fiction) fanno il doppio gioco a favore di potenze
straniere assomigliano molto a due assistenti del ministro degli Esteri Javad
Zarif, che guida la delegazione (reale) ai negoziati. La fiction sembra
suggerire che lo stesso capo delegazione sia una spia.
La censura e le accuse
La serie ha
suscitato grandi polemiche, poi si è interrotta bruscamente. Pare che il
presidente Rohani abbia fatto grandi rimostranze presso il leader supremo. Ora
giornali e media legati a settori oltranzisti accusano il governo di aver
censurato Gando.
Accusa
paradossale, perché Irib, la radiotelevisione statale, costituisce un potere a
sé tra le istituzioni della Repubblica islamica. Il suo direttore è nominato
direttamente dal leader e non risponde al governo. È un monopolio (non esistono
radio e tv private), ed è sempre stata una roccaforte delle correnti più
oltranziste. Le voci vicine ai riformisti non vi trovano spazio, che si tratti
di artisti, cineasti o intellettuali non allineati. Al governo del moderato
Rohani la tv di stato riserva una copertura ridotta e spesso malevola.
Il monopolio
della radio e tv di stato però è sempre più insidiato. In primo luogo dalle tv
che arrivano via satellite, tra cui diversi canali occidentali in lingua farsi
(“Bbc Persian” o “Voice of America” in lingua farsi) che lo stato vieta ma non
riesce del tutto a oscurare. Ma non solo dei canali di news, anche la fiction e
l’intrattenimento sono terreni di battaglia per imporre una “narrativa”. Le
serie tv più guardate per esempio vengono dalla Turchia: più spigliate e
professionali, doppiate in farsi in modo molto professionale, sono diffuse da
canali satellitari o su piattaforme come Namava, un equivalente di Netflix.
Lo stile aiuta
Dunque una
buona fiction è un investimento politico. Gando è più
brillante delle solite serie della tv di stato. Ha attori famosi, uno stile tra
James Bond e l’ironia di Ncis, è stata girata
tra l’Iran e la Turchia, prodotta con grande dispendio di denaro. Sceneggiatore
e produttore sono nomi noti. Nel 2019 il giornale (governativo) “Jam-e Jam”
aveva scritto che la casa produttrice era finanziata da società delle Guardie
della Rivoluzione (nulla di strano: hanno interessi in ampi settori
dell’economia iraniana e anche nell’industria culturale). Nel gennaio scorso il
ministro Zarif è stato esplicito: «L’intelligence delle Guardie della
Rivoluzione ha fatto Gando». La cosa non
è stata smentita.
Giornalisti
e commentatori vicini ai riformisti o al governo Rohani accusano Gando di travisare la realtà, screditare il
governo con false illazioni, gettare fango sui negoziatori che invece hanno
lavorato nell’interesse dell’Iran. È ben noto che le correnti più oltranziste
della Repubblica islamica, in particolare legate ai militari, hanno osteggiato
il negoziato: non potevano impedirlo, perché aveva il beneplacito del leader
supremo, ma non l’hanno mai digerito.
Parlare a nuora perché suocera intenda
Sembra che
quando Gando è tornato sugli schermi, in marzo, il
presidente Rohani si sia lamentato presso il leader per questo attacco subdolo.
Così, quando la serie si è interrotta in modo un po’ brusco, giornali e social
media vicini ai conservatori hanno accusato il governo. Il produttore, Mojtaba
Amini, ha parlato di censura. Un noto commentatore (Pooyan Hosseinpour, su
Twitter, 24 marzo) ha ammonito il governo: «Non dimentichiamo il disastro di
Dorri-Esfahani, che spiava i negoziatori sul nucleare». Abdolrasoul
Dorri-Esfahani era il rappresentante della Banca centrale iraniana nel team
negoziale guidato da Zarif tra il 2013 e il 2015; in seguito è stato accusato
di passare informazioni riservate a governi stranieri e per questo è stato
condannato nel 2017: a molti è sembrata una ritorsione degli oltranzisti
furiosi per l’avvenuto accordo. Un avvertimento obliquo? Qualcuno l’ha inteso
così: Zarif è avvertito, potrebbe fare la fine di Dorri-Esfahani.
Fatto sta
che nei primi giorni di aprile il quotidiano “Vatan-e Emrooz”, allineato su
posizioni oltranziste, ha criticato aspramente la diplomazia iraniana per aver
accettato di tenere colloqui con gli Stati Uniti in vista del rilancio
dell’accordo sul nucleare, in un editoriale di prima pagina dall’eloquente titolo: La terza stagione di “Gando” verrà scritta a Vienna?.
Zarif, il bersaglio
Insomma: Gando è un’operazione politica e il suo target,
ancor più che il presidente Rohani, è proprio il ministro degli esteri Javad
Zarif.
I motivi
sono almeno due. Primo, screditare i colloqui di Vienna – che però di nuovo
hanno il beneplacito del Leader (se arriveranno a un esito è ancora incerto,
anche se alcuni segnali sono positivi; è chiaro che molti lavorano contro, non
solo a Tehran ma anche a Washington e in alcune capitali del Medio Oriente).
Ma il
discredito buttato su Zarif ha soprattutto lo scopo di mobilitare la base dei
conservatori a fini interni, e premere perché l’organismo di controllo (il
Consiglio dei Guardiani) sbarri la strada alla sua possibile candidatura alle
elezioni presidenziali del 18 giugno.
Infatti
Javad Zarif resta una figura popolare in Iran, proprio perché è stato il volto
pubblico di un Iran che si riapre al dialogo, e la sua popolarità sarebbe di
sicuro rafforzata se i colloqui di Vienna portassero a far cadere le sanzioni
che soffocano l’economia del paese. Anche se Zarif ha sempre escluso di volersi
candidare, molti sono convinti che sarebbe la carta migliore per moderati e
riformisti, l’unica in grado di sfidare i pronostici che danno vincente lo
schieramento opposto. Di più: l’unica capace di mobilitare l’elettorato, di
fronte a diffusi propositi di astensione.
È qui che
entra in gioco la “strana” fuga di notizie. Una intervista, o meglio: tre ore
di conversazione tra il ministro Zarif e un noto giornalista ed economista,
Saeed Leylaz, diffusi il 25 aprile da “Iran International”, tv satellitare con
sede in Arabia Saudita e a Londra. Il capo della diplomazia parla in modo
schietto e critica l’eccessivo ruolo delle Guardie della Rivoluzione nel determinare
la politica estera iraniana, scavalcando la diplomazia. Hanno fatto scalpore i
passaggi in cui cita le brigate Al Qods, il corpo speciale delle Guardie della
Rivoluzione, e il defunto comandante Qassem Soleimani (ucciso da un attacco mirato
degli Stati Uniti a Baghdad nel gennaio 2020).
La fuga di notizie
Chi ha
diffuso quella registrazione, per di più facendola arrivare a un canale tv
“avversario”? Tre giorni dopo la devastante fuga di notizie, un infuriato
presidente Hassan Rohani ha dichiarato durante una riunione di gabinetto
(trasmessa dalla tv) che quella conversazione era confidenziale, fa parte di un
progetto di storia orale a cui sta lavorando il Centro di ricerche strategiche
affiliato alla presidenza della repubblica. Ha aggiunto che diffondere quei
brani è stato un gesto irresponsabile che mira a far deragliare i colloqui in
corso a Vienna per rilanciare l’accordo sul nucleare e rimuovere le sanzioni
contro l’Iran. E ha annunciato un’indagine: «il ministero dell’Intelligence
dovrà usare tutte le sue abilità per scoprire come sia successo». (A quanto
pare anche l’intelligence delle Guardie della rivoluzione, separata e spesso
concorrente a quella del governo, ha aperto la sua indagine.)
Intanto
tutto lo schieramento conservatore ha lanciato attacchi
feroci contro
il ministro degli Esteri, chiedendo che si scusi per le affermazioni
“sacrileghe” su Soleimani, o meglio ancora si dimetta.
Ovviamente
diversi media hanno citato solo questa o quella frase. Chi ha ascoltato per
intero quelle tre ore di audio (tratte da una conversazione di sette ore)
riferisce che Zarif non fa affermazioni del tutto nuove. Riferisce precisi
episodi in cui le Guardie della Rivoluzione hanno preso iniziative non
coordinate. Dice che la Russia avrebbe
preferito far fallire i negoziati sul nucleare (per mantenere l’Iran
nella sua sfera d’influenza), e le Guardie della Rivoluzione hanno cercato
l’aiuto russo per lo stesso scopo.
Zarif
racconta che sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare è
venuto a sapere dal suo omologo John Kerry (allora segretario di stato Usa) che
l’Iran aveva intensificato l’invio di aiuti a Damasco usando i voli di Iran
Air, con evidente danno per la posizione negoziale iraniana, al punto di
scoprire dalla tv che il presidente siriano Bashar al-Assad era in visita a
Tehran (era il febbraio 2019, e in effetti quella volta Zarif diede le sue
dimissioni – rifiutate da Rohani: «quel giorno compresi che se non mi
dimettevo… nessuno più mi avrebbe preso sul serio», dice in quella
conversazione confidenziale).
La politica delle cannoniere
Il ministro
degli Esteri rivendica però i suoi buoni rapporti con Soleimani, che incontrava
spesso, e proclama la sua fedeltà al sistema della Repubblica islamica. Ricorda
che le linee di politica estera vengono definite dal Consiglio di sicurezza
nazionale, in cui sono rappresentate diverse istituzioni tra cui i militari, e
sanzionate dal leader supremo: però poi i militari prendono iniziative proprie.
Secondo Zarif, vedono le relazioni internazionali “con lenti da guerra fredda”:
«pensano che chi è forte sul piano militare sia anche forte sulla scena
internazionale… perseguono la politica delle cannoniere. Non credono che anche
l’economia, e la diplomazia, e la solidarietà nazionale possano renderci più
forti». (Secondo la corrispondente del “Financial Times”, dalle parole di
Zarif emerge chiaro che chi detiene davvero
il potere a Tehran sono i militari).
Il 2 maggio
il leader in persona è
intervenuto a criticare i giudizi dati da Zarif in quella registrazione, pur
senza nominarlo: «non dobbiamo fare commenti che evocano quelli del nemico»;
questo è “un grave errore” che «un alto funzionario dello stato non dovrebbe
commettere». Poche dopo il ministro degli Esteri, in un post su Instagram, ha
precisato che le sue parole volevano offrire in modo “onesto” il suo punto di
vista, si scusa se hanno “contrariato” la massima autorità e ringrazia il
leader per aver “messo fine al dibattito”.
Un noto
esponente riformista, Abbas Abdi, ha scritto che le rivelazioni «avranno il
sicuro effetto di impedire la candidatura di Zarif». Aggiunge però che danno un
ritratto degli oltranzisti come degli irresponsabili, e dei riformisti come
deboli, quindi in ultima istanza non beneficiano proprio nessuno. Certo
descrivono una lotta di potere senza esclusione di colpi.
Nessun commento:
Posta un commento