Andalgalá: l'Agua Rica che toglie la vita - Pablo Bruetman
Qualche giorno fa la polizia di Catamarca ha attuato raid e
arresti ad Andangalá, entrando violentemente nelle case di diversi membri
dell'Assemblea di El Algarrobo, che si oppongono all'installazione del progetto
minerario Agua Rica. Sono stati emessi 25 mandati di cattura e 7 arresti,
come reazione alle recenti manifestazioni in cui si è anche verificato
l'episodio dell'incendio dell'ufficio della compagnia mineraria di proprietà
delle multinazionali Yamana Gold, Glencore e Newmont.
I membri dell'assemblea
dell'Andalgalá hanno accusato
il governatore Raúl Jalil della persecuzione e affermano con decisione che il
popolo di Andalgalá è unito e resiste. “Siamo un popolo che da più di 20 anni
dimostra di non volere la distruzione del proprio territorio, di non vendersi
davanti all'illusione di un falso progresso che pensa di poter distribuire
perline colorate mentre si avvale di infiltrati e violenza per promuovere
un modello impraticabile e incompatibile con la vita dei popoli”.
Sulla lotta anti-estrattista e in difesa del proprio territorio
che continua con grande tenacia ad Andalgalá, proponiamo la traduzione di un
ottimo articolo di Pablo Bruetman uscito recentemente su Revistacitrica.com.
(Red. Ecor)
Andalgalá: l'Agua Rica che toglie la vita - Pablo Bruetman
La città di Catamarca resiste a un nuovo attacco da parte del mega-mining. Le persone difendono l'acqua impedendo il passaggio dei veicoli dell'impresa che di fatto non dovrebbe operare nel territorio.
Rosa è andata in pensione da poco. La sua routine si ripete
quotidianamente da due settimane: alle 6:30 del mattino si siede sul ciglio
della strada per compiere il suo turno di blocco selettivo dei camion delle
miniere che cercano di caricare materiale là sulla montagna. Rosa è la prova
vivente che Andalgalá, Catamarca, non molla né mollerà
la sua storia in difesa dell'ambiente. Fu nel 2010 quando qui si riuscì, dopo
una violenta repressione, a fermare lo sfruttamento del progetto Agua Rica. E
oggi si è di nuovo in strada con l'obiettivo di impedire l'attivazione di Agua
Rica (mascherata sotto altro nome) nonostante gli elementi legali che ne
impediscono l'esplorazione e lo sfruttamento.
"Siamo un popolo dell'entroterra che non aveva mai vissuto
tutto questo, ciò ci ha fatto rendere conto del mostro", dice Rosa. Il
mostro ha diverse teste (compagnie minerarie, governi complici, giudici nemici
della giustizia) e una fame insaziabile. In Andalgalá lo conoscono bene, perché
questa città compierà presto mezzo secolo di resistenza contro il saccheggio
minerario. Nella memoria di Rosa e di tant* altr* c'è la grande città che il 22
agosto 1971 si oppose al progetto estrattivista denominato "La mia
vita".
Questa pensionata, che ha vissuto con il suo corpo anche la
brutale repressione del 2010 che lasciò vari feriti, racconta la lotta che ha
attraversato diverse generazioni: "Oggi ero nel blocco con una giovane
ragazza, le stavo raccontando quello che era successo. E' una storia triste che
ha lasciato un segno nella vita di molti. Molti tacciono sulle sofferenze che
subirono in quella repressione così inaspettata". Il mostro è ancora in agguato
un decennio dopo, ora con un nome diverso, ma con la stessa violenza.
Resistenze di ieri e di oggi
Le strade comunali per Potrero e Choya, in Andalgalá, sono
vietate al transito delle compagnie minerarie, secondo le risoluzioni 208 e 209
del Ministero delle Miniere della provincia. Nei media locali, le uniche
informazioni che appaiono su queste strade sono i reclami dei vicini sulle
cattive condizioni e sui blocchi stradali. I motivi di fondo non sono spiegati:
le società minerarie continuano a utilizzarli, passando sopra la legge e la
volontà popolare.
Lunedì 22 marzo, Giornata mondiale dell'acqua, l'Assemblea di El
Algarrobo di Andalgalá avrebbe realizzato una carovana unendosi alle
manifestazioni indette dalle organizzazioni socio-ambientali in tutto il paese,
ma prima di iniziare la marcia hanno visto diversi mezzi e un furgone in cui
erano trasportati lavoratori minerari. I piani cambiarono: decisero di attuare
un blocco selettivo e di organizzare un'assemblea permanente sul lato della
strada. Sapevano già cosa stava per succedere: la ripresa dello sfruttamento
sulle colline.
Tra le pietre miliari minerarie che vengono ostentate riguardo
ad Andalgalá c'è quella di essere stata la sede del primo mega
progetto minerario del Paese: Bajo La Alumbrera, che nel 1997 iniziò lo
sfruttamento che culminò nel 2019, anche a causa della forte pressione
esercitata dai cittadini. Come Esquel, nel sud del paese, Andalgalá è un
simbolo di resistenza al mega-mining a cielo aperto.
C'è una data tristemente famosa nei 50 anni di lotta di questa
città: il 15 febbraio 2010. In quel giorno, l'Assemblea di El Algarrobo (riceve
quel nome perché il punto d'incontro originale era sotto un carrubo che gli
garantiva l'ombra) realizzò un sit-in in mezzo alla strada per evitare l'esplorazione
e sfruttamento del progetto Agua Rica, di proprietà della multinazionale
canadese Yamana Gold.
Il procuratore Marta Nieva inviò la polizia locale. E il giudice
del controllo delle garanzie, Rodolfo Cecenarro, ordinò alla Polizia, alla
Fanteria e alla Divisione Operazioni Speciali "KUNTUR" di reprimere
senza esitare: "Cominciarono a picchiare, altri usavano spray al
peperoncino, proiettili di gomma, manganelli. Ti sparavano da due metri”. Così
raccontarono i partecipanti all'assemblea in un articolo pubblicato all'epoca
da 'La Vaca'.
Quella volta non ci furono morti per miracolo. La violenza delle
forze di sicurezza è stata condannata dall'intera città in una mobilitazione
senza precedenti che ha chiesto il rilascio dei detenuti e il blocco dell'attività
ad Agua Rica. I due obiettivi sono stati raggiunti ma la pressione mineraria
non si è fermata.
Cambio di nome, stesse intenzioni
I danni ambientali lasciati da Bajo La Alumbrera e le
esplorazioni e i tentativi di sfruttamento di altre miniere continuano ancora.
Le aziende non solo non se ne vanno dal territorio, ma anzi, si potenziano:
Agua Rica e La Alumbrera hanno ora formato il nuovo progetto MARA. Intendono
estrarre oro, argento e rame dal progetto che si arenò dopo la repressione del
2010 e inviare i minerali, attraverso una linea di trasporto, alle strutture -
oggi teoricamente in disuso - di Bajo La Alumbrera.
José Martes,
dell'Assemblea di El Algarrobo, parla delle assurdità e delle contraddizioni
legali e politiche che devono affrontare ad Andalgalá: “La Corte Suprema ha
dato luogo nel 2019 a un ricorso che bloccava tutte le attività della miniera
Bajo La Alumbrera, fatta eccezione per la manutenzione. Ma nel 2020, il
ministero delle Miniere ha dato la concessione per la perforazione di 11 pozzi
nel perimetro minerario".
Sul nuovo sviluppo estrattivista: "il luogo di estrazione è
lo stesso. Non hanno fatto altro che integrare. Il danno ambientale e sociale
continua latente. Quei pozzi consumano 20 mila litri di acqua al giorno di uno
dei fiumi principali, il Minas. Dopo questa autorizzazione, la Provincia ha
emesso la Legge di Emergenza Idrica in tutta la Catamarca".
Le due settimane di blocco selettivo delle strade comunali sono
trascorse con la consueta "normalità": poliziotti in borghese che
scattano foto e filmano video, e commissari che si avvicinano con tono gentile
e anche amichevole con l'obiettivo di identificare ogni membro dell'assemblea.
Ma questa tranquillità è stata rotta martedì 30 marzo, quando sono stati notati
strani movimenti.
C'era un camion carico di attrezzi a 300 metri dal campeggio
comunale, che aspettava i minatori che arrivavano con mezzi privati, senza
rispettare le leggi sul lavoro o il protocollo sanitario. Yamana Gold aveva
capito come aggirare il blocco selettivo: mandando i suoi lavoratori in
taxi.
Camuffamento e violenza
Alle 8:20 del 30 marzo, un'auto di pattuglia con quattro
poliziotti passa per il blocco di El Potrero. Cinque minuti dopo, un taxi che
nasconde un dipendente della compagnia mineraria canadese si ferma a 50 metri
dall'Assemblea. Quando l'Assemblea ferma l'auto per consegnare un volantino
informativo, l'autista dice che sta lavorando e che sta trasportando un
passeggero. Allora, quelli del blocco stradale chiedono al passeggero di
abbassare il finestrino per dargli l'opuscolo. Non lo abbassa, si nasconde.
Indossa l'uniforme della compagnia mineraria.
All'autista viene chiesto se sa che sta violando le risoluzioni
del Ministero delle Miniere, ma il tassista minaccia di chiamare
la polizia. Passano le macchine, vengono distribuiti volantini. Appare l'auto
di pattuglia che era passata prima. L'autista non la ferma, la lascia passare
perché ha già scorto una Fiat Duna grigia con targa AOP 025. Al volante c'è una
persona che di solito passa attraverso il blocco dando calci ai cartelli e
insultando le persone che stazionano all'Assemblea. Gli viene offerto un
volantino e afferma di essere un fornitore della società mineraria di Agua Rica
e che ha bisogno del denaro che gli porta la impresa finanziando le sue
forniture di pollame.
Ha anche vestiti con il logo Yamana Gold. Non è consentito
passare perché il blocco è anche per i fornitori della compagnia mineraria.
Dice che ha fretta e che passerà comunque. E se necessario, investirà chiunque
si metta sulla sua strada. Ed è quello che fa: mette la prima, accelera e
investe tutto il gruppo che sta realizzando il blocco.
Per 30 metri trascina sul cofano dell'auto un compagno, che
rimane con ematomi, graffi e un ginocchio contuso. Lascia anche una compagna gravemente
contusa sulla tibia e sulla caviglia. Di conseguenza all'urto rimane rotto il
parabrezza e lui scende per picchiare il compagno ferito. A quel punto appare
una nuova auto pattuglia e l'uomo della Fiat Duna inventa la sua versione: che
la gente dell'Assemblea l'avevano picchiato e rotto il parabrezza. La Polizia
ignora le persone ferite, e si adopera per incoraggiare quest'uomo e il
tassista a sporgere denuncia per il blocco della strada e per le presunte
aggressioni ricevute.
Tra i media e la paura
"Qui c'è molta complicità da parte dei media, è persino
venuto fuori che questa persona era stata aggredita dai membri dell'assemblea,
che lo avevano picchiato e che era sceso dall'auto per difendersi e che era
stato colpito con un bastone", riporta José Martes la versione che hanno
comunicato i giornali, la Polizia e la compagnia mineraria. L'Assemblea di El
Algarrobo, conoscendo già i metodi usati dal potere, ha richiamato un habeas
corpus (per "proteggere la nostra integrità fisica mentre esercitiamo il
nostro legittimo diritto di protesta").
L'appello è stato respinto il 24 marzo dal giudice Cecenarro, lo
stesso che aveva ordinato la repressione nel 2010. Il magistrato ha trovato
voce sul quotidiano 'El Ancasti', spiegando la sua decisione: "Continuano
ancora con vecchie pratiche degli anni Settanta, credendo che a forza di usare
la violenza, provocheranno una reazione da parte dello Stato". Così è
scritto in un articolo dove si descrive l'Assemblea come violenta e - guarda
caso - non appare nessuna dichiarazione
di alcun membro dell'assemblea. Il rigetto giudiziario è stato impugnato, per
cui la presentazione rimane in vigore fino a quando non si esprimerà la Camera
Penale di Appello.
Dall'Assemblea spiegano che chi non rispetta le leggi è la
compagnia mineraria Yamana Gold: viola due delibere emanate dalla Segreteria
delle Miniere (attuale Ministero delle Miniere) nel 2009, in cui si proibisce
il transito minerario attraverso le strade comunitarie di Choya e Potrero;
viola la Legge Generale dell'Ambiente, la Legge dei Ghiacciai e degli Ambienti
Peri-glaciali, la Legge delle Foreste e anche i Diritti Umani garantiti dalla
Costituzione e dagli Accordi internazionali firmati dall'Argentina.
Inoltre, Andalgalá ha un'ordinanza (029/2016) che vieta qualsiasi
attività mineraria nel bacino del fiume Andalgalá. Sebbene sia stato dichiarato
incostituzionale dalla Corte di Giustizia di Catamarca nel dicembre 2020
(proprio quando Bajo La Alumbrera e Agua Rica si unirono per formare il
progetto MARA), è ancora in vigore in attesa di una risoluzione della Corte
Suprema argentina.
Dopo 17 giorni di viaggio, è arrivata la conferma che i timori
dell'Assemblea non erano infondati. Lo stesso giorno in cui il presidente
Alberto Fernández ha annunciato le restrizioni dovute alla seconda ondata di
Covid-19, la compagnia mineraria ha portato le macchine di perforazione sulla
collina Nevado del Aconquija. Rosa, la pensionata militante: “È molto
frustrante, la nostra lotta è legittima ma ci rendiamo conto di non essere
ascoltati e il progetto MARA continua a rafforzarsi con il sostegno della
Giunta provinciale e il silenzio del Municipio".
Poveri d'acqua
Se l'attività di Agua Rica viene attivata al 100%, gli
agricoltori saranno completamente privati dell'acqua. L'azienda consumerebbe
300 milioni di litri al giorno, sei volte di più dell'intera città di 12.600
abitanti. "Quello che uno protegge è il corso del fiume, la compagnia
mineraria è alla sorgente del fiume", spiega Rosa.
Come continua questa lotta, Rosa? “Continueremo nonostante tutto
questo, continuiamo nella convinzione che il nostro popolo debba sapere cosa ci
succederà se permettiamo la installazione della compagnia mineraria. Non
vogliamo essere sacrificati come gli abitanti di Jáchal. Qui non c'è
l'autorizzazione, vorremmo una consultazione popolare o un referendum come è
successo a Esquel, ma il giudice di Catamarca ci ha negato questo diritto nel
2011. Siamo sicuri che il No alla miniera vincerebbe e con un gran
margine".
Ogni sabato dal 2009, ad Andalgalá si tiene una Marcia per la
Vita. 583 sabati senza interruzioni. Con il caldo, con il freddo o con i
temporali, sempre si è manifestato. Una lotta pacifica contro la laidezza della
lobby mineraria. Dice Rosa: "Alcuni ci accusano di non dialogare,
soprattutto i media che non si sono mai avvicinati al blocco o alle nostre
manifestazioni e copiano i post di Facebook dei pro-miniere".
Perché non dialogate, Rosa? "Cosa andiamo a dialogare? Un
dialogo si dà quando c'è fiducia e qualche possibilità di trovare soluzioni, ma
loro non ci danno mai risposte. Se otteniamo qualcosa è attraverso denunce in
ambito legale. Uno sopporta tutto questo, perché non ci sono alternative.
Quello che facciamo è rendere visibile la situazione che stiamo vivendo. La
situazione già ci ha esasperato e debilitato lo spirito, il sabato torneremo a
manifestare, quella di sabato sarà la 584esima volta. E ad agosto compieremo le
600 manifestazioni. È così, non ci fermeremo mai".
Non ci si ferma mai, perché chiuso questo articolo, le macchine
perforatrici stavano avanzando, sotto la custodia della forza pubblica, verso
il colle Nevado del Aconquija.
UN COMMENTO
·
ANGELO PANSA
Grazie al coraggioso Pablo Bruetman che
mediante La Bottega del Barbieri ci propone una riflessione sul modo di agire
delle multinazionali, appoggiate dai vari governanti, mettendo a rischio di
sopravvivenza intere popolazioni e l’ambiente (compresa l’acqua). Speriamo che
gli Stati importatori dei prodotti minerari e di altri prodotti alimentari (in
particolare la carne bovina) si rendano conto di essere conniventi con questi
crimini che possono essere considerati ecocidio ed etnocidio. Invito i lettori
a far circolare queste notizie e questi commenti. Padre Angelo Pansa.
“En Andalgalá vivimos una dictadura minera” - Walter Mansilla*
El día
anterior a mi detención ya había visto movimientos raros afuera de mi casa. Había dos combis con las
ventanillas polarizadas que tenían la inscripción del Gobierno de Catamarca. Yo
sé que ese tipo de combis son las que usan en los operativos antidrogas y ya
presentía que iba a ser el próximo detenido.
Dejé a
propósito las puertas abiertas para que entren sin romper nada. Estaba despierto, mandando
mensajes a mi grupo de alumnos porque soy preceptor, les estaba preguntando qué
situaciones estaban pasando con la pandemia. Ya no tenía ninguna chance para hacer
nada, cuando entraron lo único que hice fue meterme abajo de la cama.
Vi ocho
pares de botas alrededor de mi cama. Revolvieron todo, pero no me encontraron y
salieron. Cuando salieron del cuarto, traté de mandarle mensajes a mis amigos
para avisarles que estaban en mi casa y ahí me encontraron debajo la cama. No
me dieron tiempo a nada. La cama la volaron por los aires, la tiraron
directamente.
Me tiraron
en el piso boca abajo y uno de los policías me pisó los talones con sus pies. Me
gritaban que me quede quieto, mientras otro saltaba sobre mi espalda. Otros dos
comenzaron a patearme en el suelo. Nunca me resistí a la detención. Lo único
que les decía era que paren de pegarme. Yo me cubrí la cara con mis
manos porque era donde más me querían patear. Me obligaron a poner las manos
para atrás, me agarraron de los brazos, me levantaron y ahí aprovecharon a
patearme.
Me torcieron
las manos, me precintaron y en ese momento -sin ninguna necesidad- vino otro
policía y puso su arrodilla en mi cuello, para asfixiarme de la misma manera
que mataron a un hombre en Tucumán, como también lo hicieron en Estados Unidos
con George Floyd. Hicieron
esas cosas con el único propósito de herirme. Después, me obligaron a pararme.
No me podían mover de los golpes que me habían dado. Me levantaron de los
pelos, me sacaron al patio de mi casa y me obligaron a estar de rodillas. Me
decían que baje la cabeza, cada vez que me daba vuelta o miraba de reojo
recibía un golpe.
Entre esas
miradas pude ver alrededor de 30 efectivos dando vuelta toda mi casa. Yo había
dejado las puertas abierta para que no tengan que forzar nada, porque además no
tenía nada que ocultar, pero igual rompieron todo, los marcos, las puertas
todas quebradas.
Cuando me
llevaron a la comisaría estuvimos todos juntos en una sola habitación, al menos
ocho compañeros, las
mujeres estuvieron separadas. El trato fue muy violento, mucho desprecio. Nos
dijeron que teníamos que estar con barbijo, pero la celda estaba toda
sucia, el baño tenía larvas y materia fecal, pedimos lavandina y un
balde pero no nos dieron nada.
Una de
las noches en la comisaría hubo aprietes. Llegó Infantería, entró a la celda,
agarró a uno de nosotros al azar. Lo esposaron y se lo llevaron, al rato
hicieron lo mismo con otro y no sabíamos qué pasaba. No teníamos ningún familiar cerca
porque era de noche y por las restricciones de la pandemia nadie podía estar
afuera de la comisaría. Estábamos absolutamente solos. Fue muy feo ver cómo se
llevaron a compañeros.
A todos los
que se llevaron los interrogaron, les mostraron videos y fotos de las caminatas
y les pedían nombres de las personas que estaban ahí. A Gabriel, uno de los compañeros, le
leyeron todo sobre su vida, lo habían espiado, sabían todo: qué hacía, dónde
vivían sus hijas, qué hacía su ex pareja, habían hecho una trabajo de
inteligencia para que se quiebre y le decían que si no respondía las preguntas
lo iban a golpear, atrás había cuatro tipos. Justo cuando estaban apretando a
los compañeros, llegó nuestro abogado defensor, no se lo esperaban y
desarticularon toda esa operación que yo creo que iban hacer con todos.
Tuve la
suerte de tener una madre muy luchadora. Ella me inició en esta lucha, ya son
más de quince años, esto es lo que quiero y sabía que en algún momento esto iba
a tener un peso, me tocó ser el buscado esta vez.
En la
Asamblea siempre se dijo que no se habla de partidos políticos mentirosos. Creo
que llegó el momento de luchar con todos nosotros, no estar solo en las
calles, sino también contra los gobiernos. Y ahora que se despertaron
muchas asambleas que estaban en el olvido, ahora que sus luchas no se dieron
por vencidas y hoy están más fuertes que nunca es el momento de presentar un
grito desde ese frente también.
Este tipo de
atropellos lo vivimos desde hace muchos años. Esta violencia que
vivimos siempre la llamamos la dictadura minera y es muy evidente por la forma
en que me llevaron preso y la violencia que ejercieron. Todavía estoy
dolorido de los golpes que recibí. Me duele el brazo, la rodilla también. Pero
estamos enteros, fuertes y unidos. No hay cabezas, simplemente brazos
luchadores. Tenemos toda la fortaleza que uno necesita para seguir adelante y
no bajar nunca los brazos.
*Fotógrafo
de Andalgalá, una de las 10 personas que fueron detenidas, golpeadas y
hostigadas por la policía de Catamarca.
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