L’epidemia di Covid è coincisa con una pandemia
di esperti, ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti: chi spiega se vaccinarci o
no e quale vaccino faccia bene e quale male; chi dice che in India è un
ecatombe e chi dichiara che invece manco se ne sono accorti; chi pensa che i
bambini siano untori, chi li ritiene frugoletti innocenti. Gli esperti
impazzano su giornali e in televisione, sproloquiando a più non posso,
ignorando ciò che i Greci conoscevano: il dubbio.
I dizionari spiegano che l’esperto è una persona
saggia per esperienza. La parola viene dal latino expertus,
participio passato del verbo experiri, che significa “provare in
modi diversi”, per vincere una sfida. Gli antichi greci usavano una parola
simile, empeiros, che derivava dal verbo peirao. È
probabile che sia i termini latini che quelli greci provengano da una più
antica radice indoeuropea * pe (i) r, che esprimeva l’idea di “oltre”. In
latino, questa radice ha dato origine anche a periculus (pericolo), pereo
(morire, cioè passare oltre la vita), partus (partorire, parto), porta (che
porta oltre, cioè cancello, porta), peritus (abile, che passa oltre una
difficoltà), pirata (qualcuno che oltrepassa il baluardo di una nave, cioè un
pirata). In greco antico, la radice * pe(i)r generava il verbo peirao (tentare
di andare oltre un problema, e quindi, semplicemente “tentare”), e il verbo
peiro (perforare, sputare). A sua volta, peiro ha generato i sostantivi peran
(attraverso) e peras (fine, estremità), che, aggiungendo il prefisso privativo
“a”, sono diventati a-poria (senza passaggio, cioè, incertezza) e a-peiron
(senza un oltre, cioè infinito). L’idea
di esperienza ha quindi a che fare con lo spettro dei significati legati all’idea di “oltre”.
In altre parole, l’esperto è qualcuno che si occupa di un “oltre” (non di
“altrove”, di cui si occupano invece i mistici).
Esistono due tipi di “oltre”. Ci sono grandi
“Oltre”, scritti in lettere maiuscole, come il Futuro, l’Umanità, la Giustizia,
la Legge, l’Amore: a me lasciano sempre un po’ a disagio. Poi, ci sono gli
“oltre” delle piccole cose, che io amo molto: “oltre i miei problemi”, “oltre
il nostro piacere”, “oltre quell’incomprensione”, “oltre il tuo rimprovero”,
“oltre una mia paura o una mia pigrizia” e così via. Grandi e piccoli
“oltre” sono per noi più essenziali dell’aria che respiriamo, perché permettono
di superare lo stato di cose presente. Creano orizzonti – piccoli o grandi
orizzonti – ma sempre orizzonti. Ogni orizzonte è infatti il punto di
congiunzione tra un “al di qua” e un “al di là”, che altrimenti non
comunicherebbero. Come Giano, l’antico dio romano, l’orizzonte guarda sempre
sia avanti sia indietro. Quando guarda indietro, ti dice dove sei e, usando
l’orizzonte come riferimento, ti permette di localizzarti. Quando guarda avanti,
l’orizzonte ti permette di immaginare – sognare e a volte temere – l’ignoto. Se
l’orizzonte fosse chiuso, saremmo murati vivi nella nostra tomba. Se
l’orizzonte fosse incondizionatamente aperto, ci sarebbe solo un infinito “qui
e ora” in cui ci disperderemmo. Gli esseri umani non possono sopportare né la
chiusura né apertura incondizionate. L’orizzonte è in definitiva la loro unica
possibilità. Infatti, quando l’orizzonte “esce fuori dai cardini”, quando “al
di qua” e un “al di là” si disarticolano, il nonsenso irrompe nella vita.
L’esperto dovrebbe essere quindi il “guardiano
dell’oltre”, colui che cerca di tenere le cose in ordine, impedendo che (grandi e
piccole) assurdità si impadroniscano delle nostre esistenze. Con la sua stessa
esistenza, l’esperto testimonia che – al di là dei problemi, delle domande,
delle incertezze – ci sono risposte e soluzioni. Non importa quanto il problema
sia complesso: “when in trouble, call an expert” è stato per decenni il
mantra della dell’ottimismo americano, dal presidente Roosevelt sino a Mister
Wolfe di Pulp Fiction.
L’economia digitale rimuove l’intermediario dal
rapporto acquirente-venditore e gli esperti sono una categoria peculiare di
intermediari. Di conseguenza, l’era
digitale stava liberando il mondo dagli esperti. Chi ha ancora bisogno di un
esperto quando la maggior parte dei servizi e (quasi) tutte le informazioni
rilevanti possono essere facilmente trovate online? Si potrebbe
sostenere che non è possibile trovare “esperienza” online, quindi l’esperienza
sarebbe il vero vantaggio offerto dagli esperti. Non è vero: in realtà, i “mercati online
verticali” sono proprio mercati che offrono expertise e sono una delle evoluzioni
più interessanti del web. Come
dobbiamo quindi intendere l’attuale “pandemia di esperti”?
Credo che la si possa spiegare in due modi
almeno.
Il primo è banale, ma pur sempre vero: un evento
imprevedibile e misterioso (almeno per i più) come un’epidemia ha bisogno di
qualcuno che fornisca alle persone un orizzonte, cioè che sappia dire alle
persone dove sono e cosa vi sia al di là; l’esperto, l’ho detto, dovrebbe
proprio essere costui. Tuttavia, è vero anche ciò che ho detto poco dopo, che
il mondo digitale ha reso pleonastico questo tipo di esperto: le stesse
informazioni che ci forniscono tutte le sere Antonella Viola o Matteo Bassetti
si possono facilmente trovare su Wikipedia o sulle pagine – ben fatte –
dell’Istituto Superiore di Sanità italiano, senza dover per forza ascoltare i
programmi di Barbara Palombelli o Giovanni Floris.
C’è, però, una seconda spiegazione da
considerare: gli esperti televisivi che ci affliggono (non solo in Italia ma in
tutto il mondo) non sono esperti nel vero senso del termine, sono, in realtà
aruspici. Gli aruspici erano nell’antica Roma, sacerdoti di origine etrusca che
divinavano il futuro leggendo le viscere, il fegato in particolare, degli
animali sacrificati. L’arte aruspicina si basava su una complessa distinzione dello spazio in
zone familiaris (il regno dei vivi) e hostilis (il regno dei morti) e sul
concetto di identità tra macro e microcosmo. In qualche modo, quindi, gli
aruspici erano “costruttori di
orizzonti” – proprio come gli esperti di cui ho parlato – ma costruivano grandi orizzonti cosmici e
disprezzavano i piccoli eventi di ogni giorno. Erano un po’ come quei
nostri virologi e clinici che ci sanno spiegare per filo e per segno gli
influssi dei cambiamenti climatici sulla nascita di nuovi virus, ma che –
quando chiedi loro se bisogna prendere l’aspirina ai primi sintomi di Covid –
cambiano discorso. Li ascoltiamo con piacere un po’ per il gusto maligno di
vederli sempre in disaccordo, punzecchiarsi, e un po’ perché ci regalano narrazioni,
fiabe della buonanotte, a volte consolatorie a volte paurose, ma che sempre ci
consolano dall’assurdo dandoci un senso.
Del resto, chi non ha mai notato quanto Massimo
Galli assomigli a un vecchio nonno e Ilaria Capua a Nonna Papera?
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