Bilancio provvisorio e alcune considerazioni per il futuro
I.
A vent’anni dal primo Forum Sociale
Mondiale (Fsm) di Porto Alegre del gennaio 2001 e in seguito in Italia, nel
luglio dello stesso anno, gli avvenimenti del G8 di Genova si possono avere due
modi. Il solito e rituale modo della celebrazione, il rinverdire il
protagonismo di taluni e talune in quegli eventi ecc. oppure, atteggiamento più
fecondo, riflettere e ponderare alla luce dei decenni trascorsi per trarre le
lezioni e per proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente
impariamo nel cammino.
II.
Beninteso, il fenomeno dei movimenti
antisistemici e della mobilitazione mondiale della società civile e dei
movimenti sociali e politici contro la globalizzazione neoliberista non data
solo dal primo Fsm di Porto Alegre.
Si è sempre detto che il Fsm, e il
corrispondente movimento altermondialista, non è un “dato”, bensì è un
“processo”. E come tale presenta dei prodromi, delle premesse, presenta un
percorso evolutivo che rimonta almeno nei decenni precedenti. Con il trionfo
del neoliberismo negli anni ottanta e poi ancor più negli anni novanta, dopo la
fine del socialismo reale e la contemporanea crisi e fine dei movimenti di
liberazione nazionale, dei progetti nazionali e popolari (Samir Amin) dei
cosiddetti paesi non-allineati. La fine del Terzo Polo mondiale così spesso non
preso in considerazione per capire cosa è cambiato nel volto del pianeta.
Negli anni novanta il movimento
zapatista e le varie mobilitazioni contro lo strapotere delle multinazionali
rientrano in questo percorso. Nel 1997, grazie al lavoro di François Houtart e
di Samir Amin, creammo il Forum Mondiale delle Alternative (Fma) e nel gennaio
1999 lo stesso Fma, in collaborazione con altri organismi, in primo luogo il
gruppo attorno al mensile francese “Le Monde Diplomatique”, organizza a Davos (Svizzera), sede
dell’annuale Forum Economico Mondiale, un controvertice, l’AltraDavos, composto
di movimenti sociali e di intellettuali contestanti i dominanti che lì si
riuniscono per disegnare le strategie a favore della globalizzazione e del capitalismo
neoliberista.
Già nell’AltraDavos emergono con
nettezza non solo le ragioni della contestazione e dell’opposizione al corso
dominante nel pianeta, bensì soprattutto le ragioni della proposta di un’altra
visione della storia e della società, della proposta delle alternative per “un
altro mondo possibile”.
Alla fine del 1999 avviene la mobilitazione
contro il vertice del Wto (o Omc, Organizzazione Mondiale del Commercio) a
Seattle in Usa. E quegli scontri in modo fisico e visibile mostrarono che esistevano
gruppi umani, classi sociali, movimenti sociali, sindacati, partiti, aree del
mondo, soprattutto del Sud Globale ecc. che non erano disposti ad accettare
passivamente le diseguaglianze e le ingiustizie determinate da quello che
imponevano i dominanti su scala mondiale.
Con queste premesse, nel 2000 si crearono
le condizioni per organizzare un incontro mondiale detto Forum Sociale
Mondiale, contrapposto al Forum Economico Mondiale dei potenti di Davos, ma
significativamente in una località del Sud del mondo. Porto Alegre, città del
Brasile governata dal PT (Partido dos Trabalhadores), mise a disposizione le
sue strutture per accogliere delegati e partecipanti all’evento nel gennaio
2001. Con il prezioso concorso del vescovo locale che mise a disposizione
l’area e le strutture della Pontificia Università Cattolica (Puc).
III.
Un evento straordinario,
impressionante, emozionante, intenso, profondamene umano e profondamente
politico. Fervore partecipativo di dibattiti, di confronti, di comunicazione di
analisi e di esperienze negli incroci di persone, di militanti, di
intellettuali e di attivisti provenienti da tutte le parti del mondo. Movimento
intergenerazionale come pochi. Vecchi attivisti forgiatisi nel ‘68 e negli anni
Settanta, del Nord Globale e del Sud Globale, assieme a giovani e
giovanissimi. Autoapprendimento
collettivo poiché alto il tasso di consapevolezza e di formazione culturale e
politica di noi partecipanti.
Veramente noi che vi partecipammo
abbiamo avuta netta la sensazione che si era all’inizio di un’altra epoca
storica.
Così si espresse Lula, da poco divenuto
presidente del Brasile, in un memorabile comizio nella manifestazione di
apertura del terzo Fsm di Porto Alegre del gennaio 2003, “Il Forum Sociale Mondiale è il fatto
politico più importante della nostra epoca”. Non è retorica, non è enfasi
ingiustificata. Lula espresse perfettamente quello che pensavamo e quello che
molti media percepivano, molti loro malgrado.
Circa 100.000 presenze, tra delegati e
partecipanti, migliaia di dibattiti, tra seminari e workshops, la sensazione
vera che si fosse realizzata quella “convergenza nella diversità” che avevamo
indicato nel Manifesto del Forum Mondiale delle Alternative. Soggetti
sociali e correnti culturali, spesso storicamente in concorrenza oppure
semplicemente non dialoganti, che si intrecciavano virtuosamente poiché le
sfide lanciate dal neoliberismo e dalla ferrea presa del capitalismo
globalizzato erano molteplici. In una visione olistica e non settoriale, così
dal lato dei dominanti. Così specularmente doveva essere dal lato del movimento
altermondialista.
Gli inizi furono davvero esaltanti.
Fino al punto più alto raggiunto con la grande manifestazione globale indetta
dal Fsm del marzo 2003. Circa 11-13 milioni di partecipanti in 650 città del
mondo intero, contro la guerra che gli Usa di lì a poco avrebbero scatenato contro
l’Iraq. Il New York Times enfaticamente decretò che quella palesatasi
nella manifestazione globale era “la seconda potenza mondiale ormai rimasta nel
pianeta” dopo la fine dell’Urss, essendo ovviamente gli Usa la prima potenza
globale. Nondimeno, la guerra non fu fermata e di lì a poco iniziò un lento
declino.
IV.
Qui di seguito una breve rassegna dei
problemi che si presentarono da subito ma che si acuirono con il passare del
tempo.
L’occasione, come cartina di tornasole,
per individuare chiaramente i problemi e le contraddizioni del Fsm si presentò
al quinto Fsm di Porto Alegre 2005 (il quarto si tenne in India, a Mumbai). In
quel Forum un gruppo di intellettuali “organicamente” legati al movimento
altermondialista (José Saramago, Eduardo Galeano, Samir Amin, Ignacio Ramonet,
François Houtart, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, Adolfo Perez Esquivel,
Aminata Traoré ecc.) propose il Manifesto di Porto Alegre. In esso si
elencavano i problemi e si proponevano alcune misure per risolverli e per
ridare slancio al Fsm.
In primo luogo, un ruolo più attivo e
politico del Fsm con l’individuazione di campagne annuali condivise su scala
mondiale alle quali attenersi e vincolanti per gli aderenti al Fsm. Le
reazioni, per la verità un poco scomposte, furono immediate da parte di
esponenti di movimento e di associazioni, con l’accusa ai promotori di detto Manifesto
di indebita intromissione “politica” e di snaturamento del Fsm quale “spazio
aperto” della “società civile mondiale”. In realtà, in alcuni di loro la evidente
paura di perdita del ruolo, del loro effimero potere entro il Fsm.
Questi problemi e queste
contraddizioni, per punti.
1. Houtart espresse bene lo stato delle
cose. Il confrontarsi, fino alla polarizzazione netta, nel Fsm di due anime
compresenti. Estremizzando. Da una parte la visione del Fsm come “spazio
aperto”, come “fiera delle alternative”, come una “Woodstock sociale”, un
happening di alternativi mondiali con canti, balli, incontri ecc. Dall’altra,
la visione del Fsm come fosse una “Internazionale”, sul calco della tradizione
delle Internazionali operaie, socialiste e comuniste, nelle quali si adottavano
misure ferree, vincolanti per chi faceva parte del consesso.
In realtà, allo “spazio aperto” come
indubbiamente era il Fsm occorreva affiancare anche, senza la forzatura di una
direzione da Comitato Centrale, lo “spazio d’azione”. Il Fsm come “soggetto
politico” su scala mondiale con il quale i vari poteri mondiali, sovranazionali
e nazionali, dovevano giocoforza misurarsi.
2. La “Carta dei Principi” del Fsm
impediva la partecipazione dei partiti politici in quanto tali. Senonché i
partiti politici vi partecipavano con la copertura spesso di associazioni,
movimenti, sindacati ecc., da essi ispirati e sostenuti. Legittimamente. I Fsm
erano pieni di militanti, bandiere, persone partecipanti ecc. aderenti a questi
partiti. Solo l’ostinazione, e l’ipocrisia anche, di taluni organismi della
“società civile” potevano negare questo. Dimenticando che, se non poteri
istituzionalizzati, le formazioni politiche e i sindacati sono essi stessi
“società civile”.
Senza il contributo determinante dei
brasiliani, del Pt, del governo Lula ecc. il Fsm non avrebbe avuto quella
spinta iniziale così straordinaria. E aggiungendo, dall’altro versante, che il
Fsm ha usufruito di risorse economiche provenienti da varie Fondazioni, come la
Fondazione Ford, la Fondazione Friedrich Ebert (socialdemocrazia tedesca) ecc.
3. Connesso ai problemi precedenti, la
questione del ruolo del Consiglio Internazionale (Ci). Concepito in origine
come “facilitatore” e come organo di coordinamento tra un Fsm e l’altro, il suo
ruolo e la sua composizione hanno rappresentato un problema costante. Dapprima
egemonizzato da una sorta di alleanza franco-brasiliana, i “fondatori”, alla
fine molto ruolo vi hanno avuto esponenti di Ong e di associazioni del Nord
Globale con molti mezzi, anche economici, a disposizione. Una sola
testimonianza, per capire.
Come Forum Mondiale delle Alternative e
come Punto Rosso, abbiamo da subito avviato il programma “Asia, Africa, America
Latina a Porto Alegre”. Con il proposito di raccogliere fondi per pagare le
spese di viaggio e di soggiorno al Fsm di dirigenti e di esponenti di movimenti
sociali provenienti dal Sud del mondo e non aventi le risorse per pagarsi viaggio
e soggiorno. Un solo esempio, al Fsm 2003 abbiamo dato il contributo a un
dirigente di uno dei sindacati di braccianti agricoli del Bangladesh. Dieci
milioni di iscritti (diconsi, 10 milioni) e quasi nessuna risorsa extra oltre
le spese loro di organizzazione. Ebbene, un organismo simile, di tale
dimensione e di tale significato non aveva posto nel Consiglio Internazionale.
Molta autoreferenzialità ha afflitto il
CI e nel tempo esponenti significativi lo hanno abbandonato. Oltre
naturalmente, con il tempo trascorso, al decesso di esponenti storici di valore
di tale organismo.
Infine, nel 2016, il Consiglio stesso,
con lodevoli eccezioni al suo interno, si è rifiutato di assumere una posizione
di sostegno a Dilma Rousseff, esposta alle trame e al colpo di stato
giudiziario in corso in Brasile per spodestarla.
4. La ricchezza di plenarie, seminari,
workshops ecc. si è risolta in una dispersione enorme. Proprio nel senso della
“fiera” e dello “spazio aperto”. Con l’aggravante della ripetitività. Tra un
Fsm e l’altro quasi nessuna trasmissione di accumulazione di conoscenza e di
analisi, di alternative e di indicazioni d’azione. Un bazar.
Bello sicuramente, alimentante i
processi preliminari necessari della coscientizzazione e della sottrazione di
consenso al corso dominante, ma poco efficace rispetto al compito dell’azione
per contrastare i dominanti mondiali e in vista della costruzione di
alternative possibili, praticabili. In vista di “un altro mondo possibile”.
Infine, la questione dei temi su cui
lavorare e su cui dare la priorità. Al Fsm di Salvador de Bahia 2018 si sono
tenute iniziative su “la musica hip hop” e su “donne e calcio” ecc.
5. Già al Fsm Dakar 2011 Samir Amin
lamentava che ormai le lotte decisive nel mondo si svolgevano fuori dal Fsm. Il
Fsm non vi aveva ruolo se non marginale. Aveva perso la centralità originaria.
Così è stato nel corso di questi anni.
Dopo la crisi del 2008, “Occupy Wall
Street” a New York, gli “Indignados” a Madrid e iniziative simili contro la
finanza mondiale e contro le enormi diseguaglianze del nostro tempo in altre
parti del mondo hanno mobilitato centinaia di migliaia di persone, soprattutto
giovani.
Il promettente movimento giovanile
Fridays For Future, sul futuro del pianeta, sui cambiamenti climatici e
sull’ambiente, purtroppo fermatosi a seguito della crisi epidemiologica, ha
raggiunto lo scopo di richiamare l’attenzione e di porre all’ordine del giorno
dei potenti la questione ambientale e la questione del cambiamento climatico. E
alcuni settori di questo movimento indicavano proprio nel capitalismo il
principale responsabile di tali misfatti.
La grande mobilitazione, tra la fine
del 2020 e l’inizio di quest’anno, con tanto di repressione e di scontri in
piazza, di centinaia di migliaia di contadini e di braccianti indiani a seguito
delle misure del governo Modi di cancellazione dei sostegni alla piccola
agricoltura contadina di sussistenza indiana a vantaggio dell’agrobusiness e
delle multinazionali è stata pressoché ignorata in Europa e in Italia in
particolare. Uno dei tanti esempi delle lotte che si svolgono purtuttavia e che
il Fsm non riesce ad intercettare. Diversamente dalla fase ascendente del
movimento altermondialista, nel quale il movimento contadino (Via Campesina)
rappresentava circa 100 organizzazioni contadine sparse nel mondo con milioni
di aderenti, moltissime donne.
V.
Tuttavia le ragioni, grandi, sacrosante
del movimento e del Fsm rimangono inalterate. Anzi con la crisi epidemiologica
in corso, in sovrappiù alla crisi economica e alla crisi ecologica-climatica,
il Forum e il movimento altermondialista sono più attuali e necessari che mai.
Nell’agosto 2020, molti dei promotori
del primo Manifesto di Porto Alegre del 2005, dopo che eminenti figure
nel frattempo erano scomparse (Saramago, Galeano, Amin, Houtart, Wallerstein),
hanno lanciato un Secondo Manifesto di Porto Alegre. Nel quale si
auspica e si espone una riforma del Fsm e del suo Consiglio Internazionale alla
luce delle indicazioni di cui sopra.
Non solo “spazio aperto”, ma anche e
soprattutto luogo nel quale si elaborano azioni da intraprendere su scala
mondiale. Affinché il Fsm torni a essere protagonista di quei movimenti sociali
e di quelle lotte per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale e
climatica, tanto più necessari oggi, a fronte delle grandi crisi globali del
mondo contemporaneo.
VI.
Alcune non peregrine considerazioni
finali.
Spesso abbiamo sofferto di retorica,
metafisica, autocompiacimento ecc. La “geometrica bellezza” del movimento,
dell’associazione, del “grassroots”, l’onnirisolvente retorica dello altrimenti
necessario “dal basso”. Senonché la forma-movimento e i suoi leader hanno
presentato spesso, e presentano, l’impulso all’autoreferenzialità, a voler
egemonizzare, al pari dell’impulso all’autoreferenzialità, a voler egemonizzare
tipico della forma-partito, dei partiti. Di non tutti, in verità e per fortuna,
movimenti, associazioni e formazioni politiche.
Un avvio di soluzione è quello di
sempre. Imparare sempre e umilmente porsi in ascolto (il sacrosanto “autoapprendimento
collettivo”) e nella disposizione di testa e di cuore, di sentimenti, di
mettersi democraticamente in relazione, di cooperare, di “convergere nella
diversità”.
Infine, uscire dalla morsa tipica di
sempre racchiusa nel detto “chi sa non agisce e chi agisce non sa”. Meglio
forme anche imperfette di attivismo sociale e politico che almeno producono
qualcosa a vantaggio dei subalterni e dei più deboli, non ultimo l’ambiente,
che la “geometrica bellezza” di teorici dottrinari che vedono sempre all’opera
la non adeguatezza e l’insufficienza di tali movimenti rispetto al compito di
trasformare lo stato di cose.
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