giovedì 20 maggio 2021

2001-2021 Il Forum Sociale Mondiale e il movimento altermondialista - Giorgio Riolo

 

Bilancio provvisorio e alcune considerazioni per il futuro

 

 

I.

A vent’anni dal primo Forum Sociale Mondiale (Fsm) di Porto Alegre del gennaio 2001 e in seguito in Italia, nel luglio dello stesso anno, gli avvenimenti del G8 di Genova si possono avere due modi. Il solito e rituale modo della celebrazione, il rinverdire il protagonismo di taluni e talune in quegli eventi ecc. oppure, atteggiamento più fecondo, riflettere e ponderare alla luce dei decenni trascorsi per trarre le lezioni e per proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel cammino.

 

 

II.

Beninteso, il fenomeno dei movimenti antisistemici e della mobilitazione mondiale della società civile e dei movimenti sociali e politici contro la globalizzazione neoliberista non data solo dal primo Fsm di Porto Alegre.

Si è sempre detto che il Fsm, e il corrispondente movimento altermondialista, non è un “dato”, bensì è un “processo”. E come tale presenta dei prodromi, delle premesse, presenta un percorso evolutivo che rimonta almeno nei decenni precedenti. Con il trionfo del neoliberismo negli anni ottanta e poi ancor più negli anni novanta, dopo la fine del socialismo reale e la contemporanea crisi e fine dei movimenti di liberazione nazionale, dei progetti nazionali e popolari (Samir Amin) dei cosiddetti paesi non-allineati. La fine del Terzo Polo mondiale così spesso non preso in considerazione per capire cosa è cambiato nel volto del pianeta.

Negli anni novanta il movimento zapatista e le varie mobilitazioni contro lo strapotere delle multinazionali rientrano in questo percorso. Nel 1997, grazie al lavoro di François Houtart e di Samir Amin, creammo il Forum Mondiale delle Alternative (Fma) e nel gennaio 1999 lo stesso Fma, in collaborazione con altri organismi, in primo luogo il gruppo attorno al mensile francese “Le Monde Diplomatique”,  organizza a Davos (Svizzera), sede dell’annuale Forum Economico Mondiale, un controvertice, l’AltraDavos, composto di movimenti sociali e di intellettuali contestanti i dominanti che lì si riuniscono per disegnare le strategie a favore della globalizzazione e del capitalismo neoliberista.

Già nell’AltraDavos emergono con nettezza non solo le ragioni della contestazione e dell’opposizione al corso dominante nel pianeta, bensì soprattutto le ragioni della proposta di un’altra visione della storia e della società, della proposta delle alternative per “un altro mondo possibile”.

Alla fine del 1999 avviene la mobilitazione contro il vertice del Wto (o Omc, Organizzazione Mondiale del Commercio) a Seattle in Usa. E quegli scontri in modo fisico e visibile mostrarono che esistevano gruppi umani, classi sociali, movimenti sociali, sindacati, partiti, aree del mondo, soprattutto del Sud Globale ecc. che non erano disposti ad accettare passivamente le diseguaglianze e le ingiustizie determinate da quello che imponevano i dominanti su scala mondiale.

Con queste premesse, nel 2000 si crearono le condizioni per organizzare un incontro mondiale detto Forum Sociale Mondiale, contrapposto al Forum Economico Mondiale dei potenti di Davos, ma significativamente in una località del Sud del mondo. Porto Alegre, città del Brasile governata dal PT (Partido dos Trabalhadores), mise a disposizione le sue strutture per accogliere delegati e partecipanti all’evento nel gennaio 2001. Con il prezioso concorso del vescovo locale che mise a disposizione l’area e le strutture della Pontificia Università Cattolica (Puc).

 

 

III.

Un evento straordinario, impressionante, emozionante, intenso, profondamene umano e profondamente politico. Fervore partecipativo di dibattiti, di confronti, di comunicazione di analisi e di esperienze negli incroci di persone, di militanti, di intellettuali e di attivisti provenienti da tutte le parti del mondo. Movimento intergenerazionale come pochi. Vecchi attivisti forgiatisi nel ‘68 e negli anni Settanta, del Nord Globale e del Sud Globale, assieme a giovani e giovanissimi.  Autoapprendimento collettivo poiché alto il tasso di consapevolezza e di formazione culturale e politica di noi partecipanti.

Veramente noi che vi partecipammo abbiamo avuta netta la sensazione che si era all’inizio di un’altra epoca storica.

Così si espresse Lula, da poco divenuto presidente del Brasile, in un memorabile comizio nella manifestazione di apertura del terzo Fsm di Porto Alegre del gennaio 2003,  “Il Forum Sociale Mondiale è il fatto politico più importante della nostra epoca”. Non è retorica, non è enfasi ingiustificata. Lula espresse perfettamente quello che pensavamo e quello che molti media percepivano, molti loro malgrado.

Circa 100.000 presenze, tra delegati e partecipanti, migliaia di dibattiti, tra seminari e workshops, la sensazione vera che si fosse realizzata quella “convergenza nella diversità” che avevamo indicato nel Manifesto del Forum Mondiale delle Alternative. Soggetti sociali e correnti culturali, spesso storicamente in concorrenza oppure semplicemente non dialoganti, che si intrecciavano virtuosamente poiché le sfide lanciate dal neoliberismo e dalla ferrea presa del capitalismo globalizzato erano molteplici. In una visione olistica e non settoriale, così dal lato dei dominanti. Così specularmente doveva essere dal lato del movimento altermondialista.

Gli inizi furono davvero esaltanti. Fino al punto più alto raggiunto con la grande manifestazione globale indetta dal Fsm del marzo 2003. Circa 11-13 milioni di partecipanti in 650 città del mondo intero, contro la guerra che gli Usa di lì a poco avrebbero scatenato contro l’Iraq. Il New York Times enfaticamente decretò che quella palesatasi nella manifestazione globale era “la seconda potenza mondiale ormai rimasta nel pianeta” dopo la fine dell’Urss, essendo ovviamente gli Usa la prima potenza globale. Nondimeno, la guerra non fu fermata e di lì a poco iniziò un lento declino.

 

 

IV.

Qui di seguito una breve rassegna dei problemi che si presentarono da subito ma che si acuirono con il passare del tempo.

L’occasione, come cartina di tornasole, per individuare chiaramente i problemi e le contraddizioni del Fsm si presentò al quinto Fsm di Porto Alegre 2005 (il quarto si tenne in India, a Mumbai). In quel Forum un gruppo di intellettuali “organicamente” legati al movimento altermondialista (José Saramago, Eduardo Galeano, Samir Amin, Ignacio Ramonet, François Houtart, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, Adolfo Perez Esquivel, Aminata Traoré ecc.) propose il Manifesto di Porto Alegre. In esso si elencavano i problemi e si proponevano alcune misure per risolverli e per ridare slancio al Fsm.

In primo luogo, un ruolo più attivo e politico del Fsm con l’individuazione di campagne annuali condivise su scala mondiale alle quali attenersi e vincolanti per gli aderenti al Fsm. Le reazioni, per la verità un poco scomposte, furono immediate da parte di esponenti di movimento e di associazioni, con l’accusa ai promotori di detto Manifesto di indebita intromissione “politica” e di snaturamento del Fsm quale “spazio aperto” della “società civile mondiale”. In realtà, in alcuni di loro la evidente paura di perdita del ruolo, del loro effimero potere entro il Fsm.

Questi problemi e queste contraddizioni, per punti.

 

1. Houtart espresse bene lo stato delle cose. Il confrontarsi, fino alla polarizzazione netta, nel Fsm di due anime compresenti. Estremizzando. Da una parte la visione del Fsm come “spazio aperto”, come “fiera delle alternative”, come una “Woodstock sociale”, un happening di alternativi mondiali con canti, balli, incontri ecc. Dall’altra, la visione del Fsm come fosse una “Internazionale”, sul calco della tradizione delle Internazionali operaie, socialiste e comuniste, nelle quali si adottavano misure ferree, vincolanti per chi faceva parte del consesso.

In realtà, allo “spazio aperto” come indubbiamente era il Fsm occorreva affiancare anche, senza la forzatura di una direzione da Comitato Centrale, lo “spazio d’azione”. Il Fsm come “soggetto politico” su scala mondiale con il quale i vari poteri mondiali, sovranazionali e nazionali, dovevano giocoforza misurarsi.

 

2. La “Carta dei Principi” del Fsm impediva la partecipazione dei partiti politici in quanto tali. Senonché i partiti politici vi partecipavano con la copertura spesso di associazioni, movimenti, sindacati ecc., da essi ispirati e sostenuti. Legittimamente. I Fsm erano pieni di militanti, bandiere, persone partecipanti ecc. aderenti a questi partiti. Solo l’ostinazione, e l’ipocrisia anche, di taluni organismi della “società civile” potevano negare questo. Dimenticando che, se non poteri istituzionalizzati, le formazioni politiche e i sindacati sono essi stessi “società civile”.

Senza il contributo determinante dei brasiliani, del Pt, del governo Lula ecc. il Fsm non avrebbe avuto quella spinta iniziale così straordinaria. E aggiungendo, dall’altro versante, che il Fsm ha usufruito di risorse economiche provenienti da varie Fondazioni, come la Fondazione Ford, la Fondazione Friedrich Ebert (socialdemocrazia tedesca) ecc.

 

3. Connesso ai problemi precedenti, la questione del ruolo del Consiglio Internazionale (Ci). Concepito in origine come “facilitatore” e come organo di coordinamento tra un Fsm e l’altro, il suo ruolo e la sua composizione hanno rappresentato un problema costante. Dapprima egemonizzato da una sorta di alleanza franco-brasiliana, i “fondatori”, alla fine molto ruolo vi hanno avuto esponenti di Ong e di associazioni del Nord Globale con molti mezzi, anche economici, a disposizione. Una sola testimonianza, per capire.

Come Forum Mondiale delle Alternative e come Punto Rosso, abbiamo da subito avviato il programma “Asia, Africa, America Latina a Porto Alegre”. Con il proposito di raccogliere fondi per pagare le spese di viaggio e di soggiorno al Fsm di dirigenti e di esponenti di movimenti sociali provenienti dal Sud del mondo e non aventi le risorse per pagarsi viaggio e soggiorno. Un solo esempio, al Fsm 2003 abbiamo dato il contributo a un dirigente di uno dei sindacati di braccianti agricoli del Bangladesh. Dieci milioni di iscritti (diconsi, 10 milioni) e quasi nessuna risorsa extra oltre le spese loro di organizzazione. Ebbene, un organismo simile, di tale dimensione e di tale significato non aveva posto nel Consiglio Internazionale.

Molta autoreferenzialità ha afflitto il CI e nel tempo esponenti significativi lo hanno abbandonato. Oltre naturalmente, con il tempo trascorso, al decesso di esponenti storici di valore di tale organismo.

Infine, nel 2016, il Consiglio stesso, con lodevoli eccezioni al suo interno, si è rifiutato di assumere una posizione di sostegno a Dilma Rousseff, esposta alle trame e al colpo di stato giudiziario in corso in Brasile per spodestarla.

 

4. La ricchezza di plenarie, seminari, workshops ecc. si è risolta in una dispersione enorme. Proprio nel senso della “fiera” e dello “spazio aperto”. Con l’aggravante della ripetitività. Tra un Fsm e l’altro quasi nessuna trasmissione di accumulazione di conoscenza e di analisi, di alternative e di indicazioni d’azione. Un bazar.

Bello sicuramente, alimentante i processi preliminari necessari della coscientizzazione e della sottrazione di consenso al corso dominante, ma poco efficace rispetto al compito dell’azione per contrastare i dominanti mondiali e in vista della costruzione di alternative possibili, praticabili. In vista di “un altro mondo possibile”.

Infine, la questione dei temi su cui lavorare e su cui dare la priorità. Al Fsm di Salvador de Bahia 2018 si sono tenute iniziative su “la musica hip hop” e su “donne e calcio” ecc.

 

5. Già al Fsm Dakar 2011 Samir Amin lamentava che ormai le lotte decisive nel mondo si svolgevano fuori dal Fsm. Il Fsm non vi aveva ruolo se non marginale. Aveva perso la centralità originaria. Così è stato nel corso di questi anni.

Dopo la crisi del 2008, “Occupy Wall Street” a New York, gli “Indignados” a Madrid e iniziative simili contro la finanza mondiale e contro le enormi diseguaglianze del nostro tempo in altre parti del mondo hanno mobilitato centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani.

Il promettente movimento giovanile Fridays For Future, sul futuro del pianeta, sui cambiamenti climatici e sull’ambiente, purtroppo fermatosi a seguito della crisi epidemiologica, ha raggiunto lo scopo di richiamare l’attenzione e di porre all’ordine del giorno dei potenti la questione ambientale e la questione del cambiamento climatico. E alcuni settori di questo movimento indicavano proprio nel capitalismo il principale responsabile di tali misfatti.

La grande mobilitazione, tra la fine del 2020 e l’inizio di quest’anno, con tanto di repressione e di scontri in piazza, di centinaia di migliaia di contadini e di braccianti indiani a seguito delle misure del governo Modi di cancellazione dei sostegni alla piccola agricoltura contadina di sussistenza indiana a vantaggio dell’agrobusiness e delle multinazionali è stata pressoché ignorata in Europa e in Italia in particolare. Uno dei tanti esempi delle lotte che si svolgono purtuttavia e che il Fsm non riesce ad intercettare. Diversamente dalla fase ascendente del movimento altermondialista, nel quale il movimento contadino (Via Campesina) rappresentava circa 100 organizzazioni contadine sparse nel mondo con milioni di aderenti, moltissime donne.

 

 

V.

Tuttavia le ragioni, grandi, sacrosante del movimento e del Fsm rimangono inalterate. Anzi con la crisi epidemiologica in corso, in sovrappiù alla crisi economica e alla crisi ecologica-climatica, il Forum e il movimento altermondialista sono più attuali e necessari che mai.

Nell’agosto 2020, molti dei promotori del primo Manifesto di Porto Alegre del 2005, dopo che eminenti figure nel frattempo erano scomparse (Saramago, Galeano, Amin, Houtart, Wallerstein), hanno lanciato un Secondo Manifesto di Porto Alegre. Nel quale si auspica e si espone una riforma del Fsm e del suo Consiglio Internazionale alla luce delle indicazioni di cui sopra.

Non solo “spazio aperto”, ma anche e soprattutto luogo nel quale si elaborano azioni da intraprendere su scala mondiale. Affinché il Fsm torni a essere protagonista di quei movimenti sociali e di quelle lotte per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale e climatica, tanto più necessari oggi, a fronte delle grandi crisi globali del mondo contemporaneo.

 

 

VI.

Alcune non peregrine considerazioni finali.

Spesso abbiamo sofferto di retorica, metafisica, autocompiacimento ecc. La “geometrica bellezza” del movimento, dell’associazione, del “grassroots”, l’onnirisolvente retorica dello altrimenti necessario “dal basso”. Senonché la forma-movimento e i suoi leader hanno presentato spesso, e presentano, l’impulso all’autoreferenzialità, a voler egemonizzare, al pari dell’impulso all’autoreferenzialità, a voler egemonizzare tipico della forma-partito, dei partiti. Di non tutti, in verità e per fortuna, movimenti, associazioni e formazioni politiche.

Un avvio di soluzione è quello di sempre. Imparare sempre e umilmente porsi in ascolto (il sacrosanto “autoapprendimento collettivo”) e nella disposizione di testa e di cuore, di sentimenti, di mettersi democraticamente in relazione, di cooperare, di “convergere nella diversità”.

Infine, uscire dalla morsa tipica di sempre racchiusa nel detto “chi sa non agisce e chi agisce non sa”. Meglio forme anche imperfette di attivismo sociale e politico che almeno producono qualcosa a vantaggio dei subalterni e dei più deboli, non ultimo l’ambiente, che la “geometrica bellezza” di teorici dottrinari che vedono sempre all’opera la non adeguatezza e l’insufficienza di tali movimenti rispetto al compito di trasformare lo stato di cose.

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