Il settore delle pubbliche relazioni mira a bloccare i movimenti ambientali, ma gli attivisti stanno sviluppando nuove forme di resistenza.
Mentre le comunità di tutto il paese si preparano a piantare alberi per
celebrare il 51° anniversario della Giornata della Terra, anche le industrie si
stanno rimettendo in riga, promettendo il loro impegno a diventare più green.
Ma queste strategie di mercato nascondono spesso un sottile inganno, volto a
promuovere aziende che, in realtà, continuano a danneggiare l’ambiente. Da qui,
la necessità di esortare il governo a rafforzare le sanzioni legali contro i
casi di greenwashing – una pratica che le
multinazionali utilizzano per travisare strategicamente le loro pratiche
ambientali.
Non c’è bisogno di andare troppo lontano per comprendere cosa sia il greenwashing.
Nella mia città natale, Worcester, in Massachusetts, si può osservare questo
fenomeno anche sui camion della spazzatura, sui quali sono raffigurate immagini
di parchi pubblici e corsi d’acqua incontaminati… Il messaggio che cercano di
comunicare è la spazzatura in qualche modo si trasforma in splendidi stagni con
anatre, circondati da spazi verdi idiallici. Il logo della società, infatti,
dice che i loro servizi di raccolta rifiuti danno nuova vita alle risorse
(“Give Resources New Life”). Se questo genere di pubblicità è considerato
accettabile perché essenzialmente volto a scopi commerciali – migliore è la percezione
che il pubblico ha di un’azienda, più alte sono le probabilità che la trattino
con condiscendenza – mettere al primo posto le pubbliche relazioni rappresenta
una grave minaccia per i movimenti ambientali.
Nel caso accennato, le parole e le immagini utilizzate dall’azienda servono
a mascherare le complessità dell’economia politica dei rifiuti e le realtà nefaste
che si nascondono dietro il termine riciclaggio. Gran parte della spazzatura
della mia città finisce in un inceneritore che l’EPA ha classificato come uno dei più grandi emettitori di ossidi
di azoto e l’anidride solforosa, due sostanze inquinanti, possibili
responsabili di alcune malattie. Si tratta di uno dei problemi di giustizia ambientale più grave di tutto il paese, secondo gli attivisti. Tutto ciò che non
va nell’inceneritore, finisce nelle discariche più lontane, come in Virginia o in Ohio, aumentando ancora di più le emissioni
di gas serra e aggravando il fenomeno dell’esternalizzazione dei rifiuti. Nel
frattempo, le proposte di modifica al sistema di riciclaggio hanno aumentato l’indignazione
generale, scatenando una disputa tra cittadini, politici e il settore delle
pubbliche relazioni.
Una battaglia sul riciclaggio locale
Due anni fa, all’interno del suo programma “Clean City”, la città ha
proposto di sostituire i contenitori del riciclaggio con sacchetti di plastica
monouso, sostenendo che questo ridurrebbe lo spargimento di rifiuti a causa del
vento. Un cambiamento del genere non solo aggraverebbe il problema del riciclaggio dei rifiuti alimentari, ma aumenterebbe la nostra dipendenza
dai combustibili fossili utilizzati per produrre sacchetti di plastica,
producendo ogni anno più di 135 tonnellate di plastica. Inoltre, non risolverebbe il problema
della spazzatura “vagante”, la cui fonte principale è rappresentata da
contenitori usa e getta e sacchetti di plastica, che probabilmente aumenteranno
con l’apertura di uno stadio e di un nuovo quartiere dello shopping.
Quando alcuni cittadini si sono mobilitati per opporsi a questa proposta –
esortando la città a mantenere bidoni di riciclaggio riutilizzabili e
implementare strategie di riduzione dei rifiuti più efficaci, come ad esempio
il divieto di contenitori usa e getta – hanno scoperto che il vecchio capo del
Dipartimento dei Lavori Pubblici era diventato rappresentante dell’azienda che
voleva vendere alla città il distributore di buste di plastica “a strappo”. Ed
era stato lui a convincere il direttore della città che il nuovo sistema
avrebbe abbassato i costi di riciclaggio.
L’obiettivo delle pubbliche relazioni è conquistare la fedeltà del cliente
attraverso narrazioni convincenti, anche se sono fuorvianti o false.
L’analisi sui sistemi di riciclaggio ha dimostrato che il nuovo metodo di
raccolta adottato dalla città sarebbe stato finanziato dall’industria di sacchetti. L’azienda ha assunto
un rappresentante PR per incontrare gli attivisti ambientali che hanno reagito
alla notizia, e provare a convincerli che i sacchetti monouso potrebbero essere
prodotti utilizzando la tecnologia di cattura del carbonio, azzardando anche a
sostenere che se non fosse stato per loro, molto più carbonio sarebbe entrato
nell’atmosfera. Gli attivisti erano tutt’altro che impressionati, ma ben
consapevoli dell’ambiguità di tali affermazioni.
In risposta alle preoccupazioni dell’opinione pubblica, Worcester ha
ritardato momentaneamente l’avvio del nuovo sistema. Questa lotta, tuttavia,
mostra come l’industria delle PR trovi sempre nuove tattiche per mettere i
bastoni tra le ruote a chi fa attivismo.
Pubbliche relazioni e le tattiche contro
il movimento ambientalista
La nascita dell’industria delle pubbliche relazioni è attribuita a Edward Bernays e al suo lavoro del 1928, intitolato
“Propaganda”, con il quale l’autore delineava la sua filosofia della
manipolazione psicologica collettiva per scopi politici e di altro tipo. Presto
applicò questo approccio anche al mondo della pubblicità e con i suoi slogan
contribuì a far salire alle stelle le vendite, dalle sigarette alle tazze usa e
getta. Alla fine, un’intera industria di marketing è nata sul suo esempio,
applicando queste strategie per aziende farmaceutiche, militari e ogni altro settore della società.
Gli effetti non sono stati positivi. Le pubbliche relazioni, per essere
chiari, non si basano sulla verità. Né su ricerche scientifiche obiettive, o
ipotesi applicate. Non sono intese a sostenere relazioni eque tra
un’organizzazione e il suo pubblico di supporto. L’obiettivo delle pubbliche
relazioni è conquistare la fiducia del cliente attraverso narrazioni
convincenti, anche se fuorvianti o false. Sono state a lungo utilizzate per
contrastare i movimenti degli attivisti, e possiamo capire come grazie agli
studi sociologici sul tema.
Gli attivisti per clima dovrebbero proiettarsi qualche passo avanti e
escogitare strategie per affrontare – e smascherare pubblicamente – le manovre
delle pubbliche relazioni.
I movimenti sociali sviluppano ciò che gli scienziati sociali chiamano
“strutture di azione collettiva”, o modi strategici di impostare il loro
messaggio per identificare più facilmente la radice alla base dei problemi
sociali e promuovere soluzioni concrete. In risposta, gli attori che sono presi
di mira dagli attivisti – tra cui i politici, le società e altre organizzazioni
come i gruppi industriali – sviluppano argomenti di “controflusso”, facilmente
vendibili al pubblico, in cui esprimono diretto disaccordo e presentano prove
per confutare le accuse, che spesso però non funzionano. Con l’aiuto di
consulenti PR, possono invece cooptare le richieste dei movimenti,
apparentemente riconoscendone la correttezza e lavorando per incorporarle in
una ridefinizione di chi sono e cosa fanno. È importante per gli organizzatori
notare che questa non è una piena cooptazione degli obiettivi e delle
iniziative attiviste. La cooptazione può avere un esito positivo, se le cause portate
avanti dal movimento vengono veramente portate avanti da agenti potenti.
Tuttavia, questa sovrapposizione di ruoli può anche portare un’organizzazione a
sposare i valori del movimento, evitando di apportarvi reali cambiamenti che
vadano contro i propri interessi. Questo va oltre il concetto di “rebranding”,
che mira semplicemente ad aggiornare l’immagine di un’azienda o a espandere la
sua base di mercato, semplicemente modificandone il logo. Il controflusso ha lo
scopo esplicito di smobilitare la protesta. In casi estremi, come ho descritto
nella mia ricerca, può comportare una reinvenzione istituzionale totale.
Nel frattempo, il “greenwashing“, un termine coniato negli anni
’80, mira a distogliere l’attenzione dagli effetti deleteri delle scelte
aziendali, rallentare lo slancio dei movimenti sociali e conquistare la fiducia
dei consumatori. La pubblicità dei camion di smaltimento dei rifiuti della mia
città, la ricerca sponsorizzata dall’azienda di sacchetti di plastica e il
controflusso argomentativo del rappresentante PR del venditore di sacchetti
sono tutti esempi. E a volte gli attivisti contribuiscono inconsapevolmente a
questo processo quando i loro obiettivi li invitano a impegnarsi in un dialogo
che suscita un’articolazione sentita delle loro rimostranze – un’opportunità
per gli esperti di pubbliche relazioni di imparare esattamente quali sentimenti
e affermazioni avrebbero più influenzare il pubblico su la questione.
Gli esperti di pubbliche relazioni possono anche aiutare le aziende a
escogitare alleanze artificiali attraverso una strategia soprannominata “astroturfing” (letteralmente, ricevere
consensi), ossia il tentativo di dare l’impressione di un diffuso sostegno
popolare a una politica, a un individuo o a un prodotto, laddove tale sostegno
esiste in misura limitata. Per esempio, il gruppo “Donne per il Gas Naturale”,
in realtà è composto da identità virtuali fasulle. Gli esperti di pubbliche relazioni
costruiscono legami politici con gruppi reali, spesso meno potenti, come è
successo con gli investimenti della società di gas naturale per opporsi alle
politiche di transizione dai combustibili fossili. E aiutano i loro
clienti a ispirare maggiore fiducia tra le comunità colpite dalle loro
attività. Formosa Plastics, nota per il devastante inquinamento che ha causato nelle acque
navigabili e nell’aria in alcune comunità multietniche degli Stati Uniti, ha
fatto donazioni simboliche a gruppi civici ambientali locali e finanziato
posizioni accademiche presso le università locali.
Adiacente al campo delle pubbliche relazioni, anche l’attività di lobbying
porta avanti una serie di potenti strategie. Poco dopo recente veto posto dal
governatore del Massachusetts, Charlie Baker, su un ambizioso progetto di legge
sul clima, i ricercatori della Brown University hanno pubblicato un rapporto che
illustra come, nonostante la schiacciante testimonianza nelle commissioni
legislative a favore dell’azione per il clima, le coalizioni industriali siano
riuscite a guidare la politica energetica.
Gli sforzi delle pubbliche relazioni per controllare il discorso sulle
questioni ambientali – in particolare il cambiamento climatico – sono
implacabili. Che cosa può fare allora un movimento sociale?
Contrastare le PR ingannevoli
I movimenti sono sempre più consapevoli delle strategie di pubbliche
relazioni e le sfidano. Le organizzazioni di controllo, come Global Witness, sono state
particolarmente astute nel verificare le affermazioni del governo e
dell’industria, nel confrontarle con dati concreti e nell’invitare i leader a
rispettare i propri impegni. A Worcester, il Sunrise Movement ha condotto
un’approfondita revisione del “Piano Verde” cittadino recentemente presentato,
rivelando gravi omissioni e preoccupanti contraddizioni tra ciò che il
piano rappresenta e ciò che non promette di realizzare.
Ci sono diverse considerazioni importanti che gli organizzatori possono
applicare prima che le PR possano deragliare lo slancio del movimento.
1. Elaborare strategie in anticipo e pianificarle attivamente. Negli archivi ci
sono tantissimi video e foto di attivisti per i diritti civili che si preparano
ad affrontare la violenza che potrebbero incontrare durante i sit-in. Gli
attivisti per il clima dovrebbero pensare diversi passi avanti e escogitare
strategie per affrontare – e smascherare pubblicamente – le manovre PR.
2. Essere più discriminatori nell’identificare quali politici, leader
e alleati sono sinceramente preoccupati per il cambiamento climatico e quali
no. Qui, ancora una volta, il Movimento Sunrise nel Massachusetts ha
dimostrato un’abile lungimiranza strategica, rivendicando una significativa vittoria per il movimento climatico nella recente
corsa al Senato tra il sostenitore del movimento, Ed Markey, e il suo
principale rivale del Senato democratico, Joseph Kennedy III.
Ogni strategia attinge a diversi meccanismi attraverso cui attuare il
cambiamento – quindi, gli attivisti dovrebbero valutare
attentamente il loro obiettivo: convertire, convincere o infine costringere.
Sono molti gli esempi che attestano il potere trasformativo del dialogo come
strumento per indurre il pensiero empatico e la costruzione di relazioni
reciproche e egualitarie. Tuttavia, questo mezzo fallirà con i politici e i leader dell’industria, dal momento che
molte grandi aziende non hanno realmente fissato obiettivi per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra.
3. Formulare richieste orientate all’azione che vadano al di là
dell’opposizione a politiche e pratiche pericolose e proporre invece chiare
modifiche politiche, articolate in modo dettagliato. L’opposizione può
raccogliere un ampio consenso su ciò che è sbagliato, ma le proposte con
alternative chiare saranno più resistenti alle tattiche delle pubbliche
relazioni. Inoltre, lasciando l’attuazione di un piano per il clima a leader
che non conoscono il tema e non hanno esperienza, può rendere i loro “piani
verdi” meno efficaci e più vulnerabili alla manipolazione.
C’è da dire, però, che le denunce hanno effetto solo fino a un certo punto.
Da un lato, gli sforzi per denunciare l’impatto dell’industria del gas naturale
sul cambiamento climatico hanno innescato una maggiore consapevolezza su ogni
piano – l’esempio più recente è il End Polluter Welfare Act del 2021. D’altro canto, le denunce – in
particolare quelle rivolte alla legislazione locale – non sono efficaci quanto
lo sviluppo di nuove politiche alternative, che specifichino
l’elettrificazione, il divieto di nuovi collegamenti a combustibili fossili o
l’attuazione di riconversioni delle fonti di combustibili fossili esistenti. È
inoltre necessaria l’implementazione di politiche volte a ridurre il dispendio
energetico, soprattutto perché gli esperti hanno analizzato i limiti
dell’energia alternativa rispetto al nostro attuale
utilizzo, nonché gli effetti dannosi della tecnologia “verde”.
Anche con l’aggravarsi della crisi climatica, molte delle industrie
incriminate continuano a riversare fondi in attività che si sforzano per impedire un rapido declino. Può
sembrare paradossale che gli attacchi ai movimenti vengano spesso confezionati
sotto forma di accordi strategici. Ma i risultati degli studi
sociologici sulla politica ambientale mostrano che il greenwashing è
una delle armi più comuni, almeno lì dove gli attivisti detengono abbastanza
potere per evitare quella repressione diretta che le resistenze indigene spesso affrontano.
Con questa consapevolezza, è fondamentale che gli attivisti continuino a
sviluppare forme di resistenza che tengano conto della doppia faccia delle
pubbliche relazioni. È necessario per poter avere delle conversazioni oneste
sui gravi problemi ecologici che dobbiamo affrontare, nonché per costruire – e
realizzare – politiche che siano veramente efficaci.
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