sabato 8 maggio 2021

Il mio rapporto con Israele - Moni Ovadia


Io non ho mai contestato e non contesto – ci mancherebbe – il diritto dello Stato di Israele di esistere e di difendere i propri confini, stabiliti dalla legalità internazionale. Quel che contesto radicalmente sono le politiche nazionaliste e reazionarie dei Governi israeliani che si sono succeduti nei decenni e le loro scelte di persecuzione del popolo palestinese, la cui dirigenza ha talora fatto scelte sbagliate ma che ha il sacrosanto diritto di esistere e di abitare nei propri territori. E questo dovrebbe saperlo e rispettarlo uno Stato in cui vivono i discendenti di un popolo che ha subito il martirio della Shoah. […]

Nel 1947-1948, all’atto della fine del mandato britannico sulla Palestina e della fondazione dello Stato di Israele, più di 700mila arabi palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro città e i loro villaggi. Fu la cosiddetta nakba (catastrofe), un vero e proprio esodo. Che cosa è successo da allora? Esattamente l’opposto di una pace, di un ritorno di parte di quel popolo nel proprio paese, di una convivenza pacifica di due popoli interessati a convivere e a integrarsi. Al contrario – nonostante alcuni tentativi di accordo sottoscritti ma poi regolarmente disattesi – si sono susseguite guerre e campagne di odio. Situazioni nelle quali gli Stati arabi hanno irresponsabilmente alimentato il conflitto contestando il diritto di esistere dello Stato di Israele. Ma altrettanto, e forse peggio, ha fatto Israele. I territori palestinesi sono stati occupati e colonizzati e oggi, nelle zone controllate dagli israeliani, c’è un vero e proprio apartheid con uno stillicidio di assassinii, vessazioni, furti, arbitrii, spoliazioni con un sadismo gratuito che non risparmia i più deboli, le donne, i vecchi e soprattutto i bambini; i territori in cui abitano i palestinesi sono strozzati economicamente, ridotti alla povertà e spesso sottoposti a incursioni, rastrellamenti, bombardamenti; il 19 luglio del 2018 si è arrivati addirittura ad approvare una legge costituzionale (la legge sullo Stato-nazione) che formalizza come princìpi guida della politica dello Stato la discriminazione e il razzismo. […] Questa è la situazione. E io dovrei tacere?

Aggiungo che quanto ho detto è documentato da migliaia di osservatori indipendenti e che l’occupazione dei territori palestinesi è stata ripetutamente dichiarata illegale dalla comunità internazionale, a partire dalle risoluzioni 242 e 338 dell’Onu. E sai come risponde Israele? L’ultima tecnica è quella di negare l’evidenza, affermando che le risoluzioni della comunità internazionale chiedono il ritiro da territori occupati e non dai territori occupati. C’è da non crederci! È un artificio sofistico che in yiddish si chiama chuzpe, che vuol dire aver la faccia come il deretano. Se lo usano i deboli è un’arma di sopravvivenza, ma quando lo usano i forti è un’oscenità ripugnante. Ma c’è una cosa che mi fa ancora più rabbia. La strumentalizzazione. La dirigenza israeliana ha capito che l’uso strumentale della Shoà funziona da deterrente nei confronti di chiunque voglia criticare la sua politica colonialista e si comporta, di conseguenza, nel modo più spregiudicato. Con un paradosso vergognoso e devastante. Mentre afferma di difendere il popolo ebraico, il Governo di Israele, adottando una legge ipernazionalista e razzista, assume nei fatti la leadership dell’onda nera e antisemita che emerge in alcune parti del mondo, quella degli Orban e degli altri governanti di Vysegrad, dei Trump, dei Salvini, delle Le Pen. Ricordo che l’ex presidente degli USA Donald Trump, grande sostenitore dell’attuale Governo di Israele, è stato eletto con il fattivo apporto di razzisti e di furiosi antisemiti. Grazie a loro oggi si può fare propaganda di odio contro gli ebrei ed essere appassionatamente filo israeliani. Gli ebrei della diaspora, possono essere complici di questo schifo? Molti lo stanno facendo ma coloro che credono ai valori della democrazia, dell’uguaglianza, dei diritti universali non hanno altra scelta che separare le loro sorti dal cosiddetto sionismo. E questo vale anche per gli ebrei israeliani che condividono gli stessi valori. Personalmente, per quello che conto, io auspico questa radicale separazione, pur sapendo che sarà foriera di dolori, di travagli e lacerazioni. La auspico perché la straordinaria maestà del pensiero ebraico si salvi dall’estinzione promossa da una banda di ottusi zeloti alleati de facto con la peggior feccia antisemita. […]

Di fronte a tutto questo l’Europa e l’Occidente, anche quando non appoggiano Israele, tacciono imbarazzati. Eppure dovrebbero sapere che possono dare agli israeliani quello che vogliono per placare il supposto complesso di colpa nei confronti dello sterminio degli ebrei. Ma non possono vendergli la pelle, la dignità, i diritti e il futuro del popolo palestinese, per cui non hanno nessun titolo. Probabilmente il complesso di colpa è solo la foglia di fico che cerca di coprire una verità più semplice e ignobile. Israele fa parte del club dei potenti e quel club fa comunella con lui per affermare il diritto del più forte a fare strame di ogni principio etico e giuridico. […]

C’è un popolo che vive sotto occupazione e sotto colonizzazione e questo non è accettabile. Gli israeliani non hanno mai definito i loro confini, non hanno una Costituzione. Perché? Seguono il metodo dei fatti compiuti sul territorio e poi pretendono che siano legalizzati. Questo lo dicono tantissimi israeliani, non solo io. Tutte le mie informazioni sullo Stato di Israele sono di fonte israeliana. E sono fonti autorevoli e credibili come Haaretz, quotidiano fondato addirittura nel 1919, di ispirazione progressista, su cui scrivono alcuni dei migliori giornalisti del mondo come Gideon Levy o come Avraham Burg. Quest’ultimo è un ex presidente del Parlamento israeliano, di famiglia sionista, che ha scelto addirittura di far cancellare la definizione “ebreo” dai suoi documenti e dagli atti del suo stato civile: perché – ha detto – io sono e continuo a essere israeliano ma se qui gli ebrei si comportano da padroni, io non voglio stare dalla parte dei padroni. Fatto da un ex presidente del Parlamento dovrebbe almeno suscitare un dibattito. E invece niente, silenzio. Tranne qualche voce isolata. […] Anche se qualcosa sta cambiando. Nella comunità ebraica statunitense, per esempio, cresce l’insofferenza per il tradizionale appiattimento di suoi esponenti di spicco sulle politiche di Israele. C’è un’associazione che si chiama J Street e ci sono voci sempre più diffuse di presa di distanza. In Israele, poi, ci sono uomini di un coraggio leonino a partire da Avraham Burg che ho già ricordato il quale, nel 2007, ha scritto un libro fondamentale per capire Israele. Si intitola Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico ed è stato tradotto in italiano per Neri Pozza nel 2008. Nella presentazione dell’edizione italiana si legge: «La memoria della Shoah ha reso Israele indifferente alle sofferenze altrui. Il Paese nella sua instabilità è ormai simile alla Germania degli anni Trenta. Il sogno e l’ideologia sionista hanno fallito. È il momento di abbandonare l’antica mentalità del ghetto accerchiato e di rivalutare la figura universalistica dell’ebreo della diaspora». Quella presentazione riprende un passaggio dell’introduzione in cui Avraham Burg scrive: «Gran parte dell’opinione pubblica israeliana è vittima di un fenomeno secondo me di natura psicopatologica. Non percepiscono il dolore degli altri». Questo – di grande spessore morale – è il livello dell’analisi di alcuni intellettuali in Israele! […]

Molti mi odiano, mi insultano. Per fortuna altri, più intelligenti, che non sono d’accordo con me si pongono in modo dialogico. Parliamo, ci confrontiamo. Proprio prima di questa nostra conversazione ne è venuto uno a casa mia, laureato in filosofia, molto ferrato in studi ebraici, con cui continuiamo a discutere e lo facciamo civilmente. Chi, invece, mi aggredisce lo fa contestandomi di aver fatto soffrire molti ebrei con le mie prese di posizione. Ma anche a me fa soffrire uno che sostiene Netanyahu! La trovo una cosa spaventosa, eppure non ho mai scritto per questo lettere di insulti. Ma loro insistono: «Tu non devi criticare Israele perché sei famoso». E allora? Non sono un cittadino come gli altri? Non ho diritto ad avere la mia opinione? L’atteggiamento di questi miei critici è tipica del peggior nazionalismo: «Silenzio il nemico ti ascolta!». Eppure, per fortuna, quel che viene scritto su Haaretz è rilanciato sui giornali di tutto il mondo. Le critiche astiose che mi vengono rivolte sono ridicole. Avrebbero potuto avere un senso nei tempi in cui ebrei erano perseguitati veramente. […] Questo lo capisci in momenti in cui l’antisemitismo era una pandemia ma oggi… Certo che ci sono ancora gli antisemiti, ma non occupano più lo spazio pubblico, all’infuori – guarda un po’ – di quelli che sono tanto amici di Netanhyahu: Orban, i polacchi e Trump, molto filo israeliano ma votato da tutta la feccia antisemita d’America. Ho visto i manifestanti pro Trump con le fiaccole e le scritte «The jews will not replace us» («Gli ebrei non ci sostituiranno») perché loro dicono che il progetto di George Soros, che è ebreo, è quello di rimpiazzare le popolazioni. E questo solo perché Soros è sostenitore della società aperta di popperiana memoria, perché Soros è stato allievo di Popper. Ma lì quegli antisemiti vanno bene! […]

Ora, Israele gioca la parte della vittima. Operazione “Piombo fuso” a Gaza: 2.400 morti palestinesi fra cui 500 bambini: chi è la vittima? Israele. Gli israeliani sono alleati dell’Egitto, alleati della Giordania, alleati de facto dell’Arabia Saudita piena di aziende israeliane. La Siria per i prossimi 50 anni non avrà neanche la forza di fiatare con quello che le è successo. Dove sono tutti questi nemici di Israele? È rimasto l’Iran ma gli iraniani non sono cretini e fanatici quanto si vuol far credere e, al di là delle dichiarazioni di principio, non si mettono certo contro un paese che ha probabilmente 150 testate nucleari! Israele ha l’esercito più forte del Medio oriente ed è dotato, ripeto, di molte testate nucleari, riceve le armi più sofisticate, ha una tecnologia militare avanzatissima. Ora, io capisco che uno faccia il debole quando lo è veramente: a Berlino nel 1935 o in Italia al tempo delle leggi razziali. Eravamo soli, eravamo spaventati. A parte i bulgari, i danesi e gli albanesi nessuno si preoccupava dei suoi ebrei. Ma adesso! Con la Germania che fornisce sottomarini nucleari e Israele e gli Stati Uniti che sono i suoi maggiori alleati… Allora, il gioco non mi torna più. Se tu diventi forte non puoi più giocare il ruolo del debole. E poi una inchiesta condotta a livello mondiale dalla CNN rivela che gli islamofobi sono quattro volte più numerosi dei giudeofobi. Ciò non significa che non si debba vigilare sul fenomeno antisemita e sui suoi ripugnanti rigurgiti, ma bisogna almeno avere il senso della misura. Io capisco: da Gaza sono partiti i missili Scud. Hanno fatto qualche danno, anche la morte di una persona ed è una tragedia. Ma quei missili sono poco più che petardi quando tu in dieci minuti hai raso al suolo mezza Gaza. Può poi un generale israeliano – parlo del presunto oppositore di Netanyahu, Benny Gantz – vantarsi che Gaza è stata «riportata all’età della pietra»? Ma che razza di essere umano è? Golda Meir almeno diceva dei palestinesi: «Noi vi perdoneremo per i morti che avete fatto a noi ma non vi perdoneremo per i morti vostri che ci avete obbligato a fare». Era forse retorica, ma almeno c’era un briciolo di umanità!

È uno stralcio da Moni Ovadia, Un ebreo contro,
intervista a cura di Livio Pepino (Edizioni Gruppo Abele, 2021), in libreria dal 5 maggio

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