Quando nell’estate del 2015 Bassel è fuggito dalla Siria, ha potuto portare con sé la sua musica ma non Stella. Provare a raggiungere clandestinamente l’Europa con un cane non era pensabile. Così l’ha lasciata a Damasco, in balia dei bombardamenti che la terrorizzavano, ed è partito con altri quattro amici. Aveva diciott’anni e cinquanta cd di musica composta da lui nello zaino. Tre giorni prima della partenza era riuscito a pubblicare il suo primo album. “Non volevo andarmene senza qualcosa in mano”, mi spiega. “Non puoi presentarti da qualche parte e dire ‘Ciao, sono un artista’. Devi avere qualcosa da mostrare. Tanto più se vieni dalla Siria”.
Se cercate in rete dei video di Bassel Abou Fakher, lo troverete quasi sempre con un
violoncello tra le braccia. Da piccolo, però, Bassel voleva studiare il
clarinetto. “Avevo sette anni e ammiravo tantissimo un bambino più grande di
me, Nabil, il figlio di una collega di mia madre. Correva più veloce di me e
suonava il clarinetto. I miei genitori però mi dissero: ‘Perché non impari a
suonare il violoncello? È più bello’”. Sua sorella Yara studiava già il
violino. “I miei hanno sempre lavorato tantissimo per pagare l’affitto, per
farci studiare, poi per mandarci in Europa durante la guerra. Per alcuni anni
hanno avuto due lavori ciascuno. Mia zia stava a casa e si prendeva cura di
noi”, racconta.
Dopo la scuola il padre lo accompagnava ogni giorno all’accademia di
musica. “Studiavo due, tre ore al giorno, ma non ero molto portato per il
violoncello. La verità è che non sono mai stato un vero violoncellista e l’ho
sempre saputo”. Con altrettanta sicurezza Bassel sa di voler produrre musica.
“Ho sempre voluto fare album. Quand’ero a Damasco non sapevo che si dice
‘produrre’, ma è quello che ho fatto: ho trovato i musicisti, ho scritto la
musica, ho pensato alla copertina del disco, ho guidato tutto il processo”.
Quel primo album (disponibile in rete) s’intitolava Qotob, come il gruppo, formato da Bassel al
violoncello, Maher Khoddor allo zither, Michael Khayat alle percussioni e Milad
Khawam alla tromba.
Qualcosa in mano
A renderne possibile l’uscita era stato un incontro casuale. “A Damasco c’era
un piccolo locale frequentato solo da musicisti e artisti. Si chiamava… ”.
Bassel si sforza di riportare alla memoria il nome, poi rinuncia e riprende il
racconto: “Una volta entrò un tizio africano e si mise a suonare il basso. Era
pazzesco. E dato che in Siria non ci sono molti africani, vederlo suonare fu
come avere la più grande star di un club di jazz newyorchese che si esibiva
solo per noi. Eravamo tutti senza parole. Gli parlai del mio progetto, del
fatto che ci servivano settecento dollari, e Alphonse decise di aiutarci”.
Alphonse Munyaneza è un funzionario ruandese dell’Alto commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ma è anche un musicista e un ex
rifugiato. È una delle persone che più hanno sostenuto l’esordio del
gruppo Sierra Leone’s Refugee All Stars, raccontato nell’omonimo documentario del 2005. Dieci anni dopo, Munyaneza ha permesso
a Bassel di realizzare il suo sogno e cercare rifugio in Europa “con qualcosa
in mano”.
Del viaggio che l’ha portato da Damasco fino a un campo per richiedenti
asilo vicino alla città belga di Hasselt non parliamo, perché “tanto tutti
sanno cosa succede in quei viaggi” taglia corto Bassel. E poi quel viaggio
Bassel lo ha raccontato in un libro per bambini, Saving Stella,
pubblicato dalla casa editrice britannica Bloomsbury nel novembre del 2020.
Anche il libro è frutto di un incontro casuale, virtuale però. Dopo il suo
arrivo in Belgio, Bassel ha lasciato rapidamente il campo di Hasselt e si è
trasferito a Bruxelles, ospite di una famiglia belga che lo ha aiutato a far arrivare
Stella nella capitale. La storia del viaggio di Stella – in taxi da Damasco a
Beirut, poi su un volo da Beirut a Bruxelles – è stata ripresa da alcuni siti
per cinofili, arrivando fino a Deborah Blumenthal, autrice statunitense di
libri per l’infanzia. Blumenthal ha contattato Bassel proponendogli di
pubblicare un libro insieme.
“Quando Deborah mi ha contattato
avevo vent’anni ed ero in un periodo di grande incertezza. Avevo paura, dovevo
trovare un lavoro, pagare l’affitto. Sono stato piuttosto brusco e le ho detto:
‘Per me va bene, ma non voglio mentire a nessuno, nemmeno ai bambini’”. Nel
libro, consigliato per bimbe e bimbi tra i cinque e i sette anni, l’arrivo in
Belgio è raccontato così: “Ma Bassel non era ancora libero. È stato rinchiuso
in un campo per rifugiati come un prigioniero”. La vera accoglienza, spiega
Bassel al suo giovane pubblico, non è quella istituzionale, è quella di
cittadine e cittadini che respingono le politiche disumanizzanti dei loro
governi. Il centro profughi di Moria, in Grecia, non era che la variante più
estrema di un modello di pseudo-accoglienza punitivo e sempre più privatizzato
(come ricorda la rivista belga Alter Échos in un recente articolo sul centro di Jalhay, in provincia di Liegi).
Bassel ha raccontato la sua storia a Deborah nel corso di lunghe
conversazioni telefoniche. Poi per un po’ non l’ha più sentita. Bloomsbury
voleva che a illustrare il libro fosse una persona siriana. La scelta è caduta
sulla scrittrice e illustratrice Nadine Kaadan, che ha lasciato la Siria nel
2012 e oggi vive a Londra. Bassel non era sicuro di riconoscersi nelle parole
di Deborah, ma “quando si è rifatta viva e mi ha mandato il testo”, dice, “non
ho voluto cambiare niente”.
Restare di sasso
Oggi Bassel convive con i ricordi della sua fuga dalla Siria e dei primi tempi
in Europa, che lo assalgono, improvvisi. “Sul momento non pensi al senso di
quello che ti sta accadendo. Sei impaurito, l’unica cosa che vuoi è raggiungere
il traguardo. Poi, quando arrivi, è uno shock. Ti buttano in un campo, ti
trattano peggio di un cane”. Con il passare del tempo lo shock si supera, ma il
suo effetto, “il suo rilascio” dice Bassel, continua. “A volte, mentre cammino
per strada, capita che di colpo qualcosa mi attraversi la testa e rimango di
sasso, mi chiedo se è davvero successo. Ho cominciato a scrivere questi
ricordi”. Quando si confronta con i suoi amici a Bruxelles per capire se quello
che ha dovuto affrontare è normale, Bassel si rende conto che il sistema “è uno
schifo”.
È assurdo, dice per farmi un esempio, che siano criminalizzate le persone
alla guida delle imbarcazioni di fortuna che tentano la traversata del
Mediterraneo. “Non sono loro i veri trafficanti”, osserva. “Spesso sono persone
in fuga dalla guerra come gli altri”. I governi e le istituzioni europee la
pensano diversamente. Il 23 aprile 2021 K.S., un giovane siriano arrivato
in Grecia con la moglie e i tre figli a marzo del 2020, è stato condannato a cinquantadue anni di carcere e 242mila euro di multa da un
tribunale di Lesbo per “ingresso illegale” e “favoreggiamento di ingresso
illegale”.
Bassel mi parla poi del villaggio serbo dove ha pagato venticinque euro per
caricare il telefono per dieci minuti: “Alcuni abitanti del posto avevano
installato delle catene di ciabatte elettriche lunghe dieci metri”. Gli stati
europei, impedendo alle persone di raggiungere i loro territori in modo sicuro
e legale, hanno creato un mercato nero della circolazione tanto lucroso quanto
pericoloso. “Ho pagato circa seimila euro per venire qui, e sono partito con
quattro persone che hanno pagato quanto me. Mia sorella è partita con altre
quattro persone, hanno seguito una rotta diversa e ognuna ha pagato 8.500 euro.
Fai il calcolo, sono circa 70mila euro. È una somma pazzesca. Certo, con
seimila euro mi sono salvato la vita, ma dove sono finiti quei soldi? In tasca
a un sistema corrotto, e tutto questo succede davanti ai nostri occhi”.
Un sistema diverso
Bassel fa una pausa. Nel luminoso salotto dove mi ha accolta, una forma morbida
e bianca si staglia sul parquet chiaro: Stella che riposa. Il tono di Bassel
invece rimane cupo. “Immaginiamo un sistema diverso, un programma che permetta
alle persone di venire qui con un visto, anche a pagamento. Lo pago seimila
euro, ma una volta qui mi dai un appartamento, non m’importa se è nel bel mezzo
del nulla, però mi dai una casa, un corso di lingua, e dopo un po’ mi dai la
possibilità di inserirmi nella società, di contribuire, di pagare le tasse,
tutto quello che i governi occidentali vogliono da noi”.
Ascoltandolo penso che siamo abituati a leggere le storie di chi rischia la
vita per raggiungere l’Europa, meno ad ascoltarne le rivendicazioni e la rabbia
suscitata dalla nostra non accoglienza. Alla prima edizione del Forum sociale europeo
sulla migrazione, che si è tenuto dal 15 al 26 marzo 2021, una
delle conclusioni del laboratorio sull’accoglienza solidale è stata questa:
“Le persone migranti e rifugiate devono essere considerate attori politici e
non solo oggetti beneficiari. Sono portatrici e attrici di diritti. Sono anche
la chiave del loro futuro”.
Chiedo a Bassel cosa pensa della decisione della Danimarca di cominciare a rimpatriare delle
persone siriane, sostenendo che Damasco e i suoi dintorni sono zone sicure.
“Chi prende questo tipo di decisioni è sostenuto da chi l’ha votato. Il
problema non sono i governi, sono gli elettori. La Siria è diventata come
l’Afghanistan. Leggi i titoli dei giornali, guardi i notiziari e sembra tutto
‘normale’”. La madre e la sorella di Bassel sono riuscite a lasciare il paese,
ma il padre è rimasto a Damasco: “Laggiù c’è il caos, un caos controllato dalle
bande di Assad e dal suo esercito. Mancano gas ed elettricità, manca il cibo,
tutto è carissimo. Le infrastrutture sono sparite, le persone soffrono per
sopravvivere. Una situazione da post guerra civile”.
Torniamo a parlare di musica e Bassel si rasserena. A Bruxelles ha
inizialmente dato vita a una nuova versione del progetto Qotob con i musicisti
belgi Jean-Baptiste Delneuville al pianoforte e Piet Maris alla fisarmonica,
pubblicando l’album Entity nel
2017. Ora Bassel ha deciso di concentrarsi sulla produzione musicale e sulle
collaborazioni, forte della sua formazione classica e dell’entusiasmo con cui
ha imparato a usare i programmi di registrazione, mixaggio ed editing. Ha
collaborato agli ultimi due album del duo statunitense A winged victory for the sullen e sta ora lavorando al secondo album
del suo progetto solista, Linear Minds, che uscirà a giugno (il primo, Rosemary Water, è del 2020). “È un
concept album nato da una collaborazione con il birrificio Brussels Beer
Project, una loro iniziativa”, spiega, poi aggiunge: “È stata una delle prime
volte che qualcuno mi ha contattato in quanto artista e non ‘artista
rifugiato’”. Sorride. Un altro traguardo raggiunto.
Saving Stella si chiude su queste parole: “Come
Bassel, Stella ha due vite. Allora e adesso. Una è perduta, l’altra è trovata”.
Nessun commento:
Posta un commento