Il
suo lockdown è iniziato con quasi un anno di anticipo, ma per motivazioni ben
distinte da quelle che purtroppo tutti noi conosciamo. L’avvocato statunitense
Steven Donziger è agli arresti domiciliari nella sua abitazione di New York per
aver difeso decine di migliaia di indigeni della regione amazzonica
dell’Ecuador, “vittime” delle attività della multinazionale petrolifera a
stelle e strisce Chevron.
Tutto nasce con lo storico pronunciamento del 2011 di una corte
dell’Ecuador, che ordinò alla compagnia di pagare 9,5 miliardi di dollari per i
danni alle persone e all’ambiente provocati dall’inquinamento legato
all’estrazione dell’oro nero. Chevron non ha mai pagato un centesimo, puntando
il dito contro i “livelli scioccanti di cattiva condotta” da parte di Donziger
e della magistratura ecuadoriana.
Quasi vent’anni prima, nel 1993, l’avvocato era entrato a far
parte di un team legale che indagava sulle denunce di gravi impatti ambientali
nella regione di Lago Agrio, nel nord dell’Ecuador, vicino al confine con la
Colombia.
La Texaco, successivamente acquistata dalla Chevron, aveva
iniziato a trivellare in quel tratto dell’Amazzonia già negli anni ’60, lasciando
quelle che Donziger chiama “grottesche” piscine olimpioniche di rifiuti di
petrolio. L’inquinamento scorreva liberamente nei fiumi e nei torrenti usati
dalla popolazione indigena per l’acqua potabile. Il numero di tumori allo
stomaco, al fegato e alla gola, nonché la leucemia infantile ha avuto una
tragica impennata.
Nel corso degli anni Donziger ha seguito sempre più da vicino
il caso, con una presenza costante in Ecuador. Si contano a centinaia i suoi
incontri con le popolazioni locali per raccogliere le prove delle conseguenze
dell’operato dell’oil major. Nonostante gli incessanti tentativi della Chevron
di bloccare il caso, alla fine si è andati a processo, con l’eclatante
risultato menzionato in precedenza.
Una gioia effimera, quella di Donziger e delle comunità
indigene, perché la Chevron ha contestato subito la sentenza, affermando che il
team legale aveva scritto di suo pugno quella che avrebbe dovuto essere una
valutazione indipendente e offerto una tangente di 500mila dollari per
influenzare la sentenza. Donziger ha negato qualsiasi atto illecito e la corte
suprema dell’Ecuador ha poi confermato il verdetto della corte.
La Chevron ha contro-attaccato, mettendo in campo un fuoco di
fila legale su cui solo una multinazionale dalla capitalizzazione di 228
miliardi di dollari può contare. Nel 2014 un giudice di New York ha di fatto
stabilito che l’azienda non era tenuta a pagare il risarcimento in Ecuador,
mentre Donziger è stato querelato ed è subito partita un’azione civile nonché
un’azione penale con l’accusa di estorsione. L’avvocato ha subito la revoca
della sua licenza per poter praticare e il congelamento dei suoi conti correnti
da parte di una corte newyorkese. Da agosto 2019 si trova agli arresti
domiciliari, è stato privato del passaporto e deve convivere con un
braccialetto elettronico alla caviglia destra perché si è rifiutato di
consegnare i suoi cellulari e computer – una imposizione che molto di rado
viene fatta agli avvocati. Gli strascichi legali continuano in vari processi di
appello in corso nel complesso sistema giudiziario americano. Va sottolineato
che il giudice Lewis Kaplan, il quale ha emesso la sentenza di condanna penale
di primo grado, sembra abbia un pesante conflitto di interessi per i suoi
investimenti nella Chevron.
Quello nei confronti di Donziger appare un vero e proprio
accanimento contro un professionista che ha “osato” danneggiare una delle
potenze economiche statunitensi, creando un precedente fin troppo pericoloso
agli occhi degli alti papaveri delle oil corporation. In suo favore si sono
schierati premi Nobel e altre personalità di spicco, come il cantante dei Pink
Floyd Roger Waters. Una prestigiosa commissione internazionale di giuristi
indipendenti si è espressa in suo favore. Ma l’avvocato che voleva fare giustizia
su quella che è stata definita la Chernobyl dell’Amazzonia continua a essere
recluso in casa sua.
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