Un aforisma inglese variamente attribuito, da Lincoln
a Oscar Wilde, sostiene: «Better to Remain Silent and Be Thought a Fool than
to Speak and Remove All Doubt» («Meglio restare in silenzio ed essere
considerato uno sciocco che parlare e far venir meno ogni dubbio»). La
conferenza stampa concessa, l’8 aprile, dal presidente del Consiglio Mario
Draghi ne è l’ennesima conferma. Ed è un documento notevole per chiunque voglia
provare a capire in quali mani siamo stati consegnati.
Il ritratto che ne esce non è rassicurante, né sul
piano cognitivo, né su quello politico. A tratti sembra addirittura che il
presidente del Consiglio sia decisamente fuori fuoco, cioè che non si renda
pienamente conto di ciò che dice, né delle sue implicazioni. E, d’altra parte,
pare di capire che Draghi non abbia piena contezza nemmeno dei poteri e delle
responsabilità del governo, e di chi lo presiede. I suoi commenti sembrano
infatti quelli di un pensionato che commenti l’attualità sul divano di casa,
davanti alla tv. Non quelli del capo dell’esecutivo, cui è affidato il compito
di incidere decisivamente su quella stessa attualità.
Cominciamo dai vaccini. «Banalizzando – ha scandito
Draghi – si dovrebbe dire: smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni,
smettetela di vaccinare i giovani ragazzi –– sì, ragazzi sono: io lo posso dire
– di 35 anni, psicologi di 35 anni, perché sono operatori sanitari anche loro.
Queste platee di operatori sanitari si allargano in questo modo: ma con che
coscienza un giovane, o comunque uno che non è compreso nelle prenotazioni,
salta la lista e si fa vaccinare? Questa è la prima domanda che uno si dovrebbe
fare, prima di farla al governo, alle regioni. Questa è la prima domanda: con
che coscienza la gente salta la lista, sapendo che lascia esposto al rischio
una persona che ha più di 75 anni?». Lasciamo da parte il paternalismo gerontocratico
di chi si compiace di chiamare «ragazzi» gli adulti di 35 anni, e andiamo al
sodo. Che però non c’è: perché il presidente del Consiglio si sfoga in una
paternale, ribaltando il tavolo delle aspettative degli italiani. «Non guardate
alle inefficienze di Stato e Regioni, ma alla vostra coscienza»: questo il
messaggio. Talmente vago, non documentato e allusivo da essere insieme inutile
e pericoloso. A chi si riferisce il Presidente del Consiglio? Forse a chi salta
la fila illecitamente? Così non pare, visto l’esempio degli psicologi 35enni:
che si vaccinano obbedendo a una direttiva esplicita del governo presieduto da
Mario Draghi (decreto legge del 1 aprile). E allora? A tutti i vaccinati che
abbiano meno di 75 anni (tra cui lo stesso Draghi, che ne ha 73)? O ad alcune
categorie in particolare? Forse a coloro che “passano”, quelli che il suo
mitico generale in mimetica e medagliette voleva vaccinare a raffica?
In ogni caso, è lunare che un presidente del
Consiglio, quasi fosse il pontefice, si rivolga alle coscienze. Se è a
conoscenza di illeciti, o se non condivide le priorità decise dalle Regioni per
le vaccinazioni (e alcune cose sono di fatto assai poco condivisibili), ha il
potere (articolo 120 Costituzione) e il dovere di intervenire fattivamente: non
può, non deve, fare commenti da divano. Ma la possibilità di avocare tutta la
campagna vaccinale al centro – che sarebbe invero l’unica cosa da fare, per
garantire eguaglianza ed efficienza – non sfiora nemmeno la mente del
presidente del Consiglio, contento che «il commissario e le regioni lavorano
molto bene». A fronte di questo totale immobilismo, l’unico effetto del
populismo di governo incarnato nelle dichiarazioni di Draghi è stato quello di
scatenare una grottesca, indiscriminata e del tutto arbitraria caccia alle
streghe che «saltano la fila». Sono direttamente testimone della confusione,
dei dubbi e direi della desolazione che le esternazioni di Draghi hanno
ingenerato nel mondo universitario. Ai professori (tra i quali chi scrive) è
stato chiesto di vaccinarsi – con vibranti appelli al nostro senso civico – dal
Ministero della Salute e dalle varie Regioni: e di vaccinarsi con il vaccino
Astra Zeneca, che fino a poco fa non era somministrato alle persone più anziane
di 55 anni né alle persone fragili. Ma ora la sbracata campagna di stampa da
mesi in corso contro l’università (Repubblica ha scritto che si
vaccinano i baroni!) trova una indiretta legittimazione nelle ambigue parole
del capo del governo.
Nella sua continua, caratteristica oscillazione tra
moralismo e cinismo, pochi minuti dopo, Draghi annuncia che si accelererà sui
passaporti vaccinali, per riattirare il turismo internazionale nelle città
d’arte (un processo che richiederebbe invece una seria riflessione: perché è
proprio tra le cose che non dovrebbero tornare “come prima”): «Dobbiamo
procedere rapidamente nel nostro interesse ad avere un certificato vaccinale
quindi piuttosto che preoccuparsi poi delle complicazioni che ci sono,
complicazioni di carattere anche etico, cominciamo a farlo poi, dopo, dopo:
quando ce l’abbiamo, ci preoccuperemo anche di non discriminare quelli che loro
l’hanno fatto, eccetera». Prima fare, poi pensare. Prima l’azione, poi l’etica:
ecco la competenza al potere, ecco il governo di alto profilo voluto da Mattarella.
Dopo i vaccini, la politica estera e l’idea di
democrazia: di male in peggio. «Non condivido assolutamente le posizioni del
presidente Erdogan – improvvisa Draghi – […] con questi diciamo, chiamiamoli
per quello che sono, dittatori, e di cui però si ha bisogno per collaborare,
perché poi uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di
vedute, di opinioni, di comportamenti di visioni della società, e deve essere
anche pronto a collaborare, a cooperare più che collaborare, cooperare per assicurare
gli interessi del proprio paese». Anche in questo caso, si ha la viva
impressione che Draghi non sappia bene valutare le conseguenze di ciò che dice.
Perché se davvero si aveva l’intenzione di provocare una crisi diplomatica di
questa gravità con la Turchia, allora si sarebbe dovuta decidere una strategia
precisa, puntando a contestare fatti precisi e a ottenere non meno precisi
risultati: per esempio sulla libertà di stampa, sulla condizione delle donne,
sulla questione curda. Invece, così c’è solo un serio danno, senza alcun
profitto (immagino quanto sarebbe stato, e giustamente, crocifisso un Di Maio o
un Conte in una situazione analoga). E non si dica che il profitto starebbe
nella enunciazione di principio: perché il principio enunciato è quello del più
deteriore e caricaturale machiavellismo di chi si compiace di usare i dittatori
per fare i propri interessi nazionali. Una prassi riassunta nella celebre
formula con cui un presidente americano definiva un dittatore sudamericano: «He
may be a son of a bitch, but he’s our son of a bitch» («Può essere un
figlio di puttana, ma è nostro figlio di puttana)». Un
principio da rigettare radicalmente in una democrazia costituzionale, che si
tratti della Turchia o della Libia che massacra i migranti: il cui interesse
nazionale non può mai essere in contraddizione con i principi della
Costituzione.
Fedele all’adagio che ricorda come tutti i salmi
finiscano in gloria, la conferenza stampa si chiude con Draghi che dice un
secco no alla richiesta della Cgil di non far ripartire i licenziamenti a
luglio: qua la voce di Draghi non è incerta, contraddittoria, istrionica. È
ferma e chiara: è la voce dei padroni.
Grazie della condivisione: Montanari esprime con chiarezza riflessioni che avevo in nuce. Non basta essere un celebre economista per diventare un politico valido.
RispondiEliminadirei che l'imperatore è nudo, leggendo le parole di Montanari
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