Cosa c’entra un mobile di compensato con Berlusconi,
Salvini, Renzi e Grillo? Molto più di quanto si creda e di seguito cerco di
spiegarlo.
Il low cost e l’eclisse del futuro
In un mondo dove prima o poi quasi tutto sarà in
offerta speciale, in saldo, in sconto, in promozione o al prezzo di lancio o di
svendita, il low-cost è molto di più che il suo prezzo. Semmai esso rappresenta
un’estetica e un’ideologia, al contempo aspirazione e rifugio dell’esistenza,
che oggi appaiono prossime ad esaurire la loro carica persuasiva: il basso
costo non riesce più a nascondere i suoi costi nascosti, materiali e sociali;
l’abbassamento degli stili di vita non è più mascherato da consumi accessibili;
le scelte che dieci anni fa sembravano scaltre ora appaiono per quel che sono:
compromessi, con i quali si è deciso di rinunciare a qualche certezza nel
futuro in cambio di un presente meno frustrante.
Cosa (non) è il low cost
Passiamo a definire meglio il tema.
Il low cost non è l’acquisto al mercato rionale dove
si fruga tra roba taroccata, rubata o di seconda mano, ben consapevoli dei
limiti della propria condizione economica.
Il low cost non è la svendita o la promozione
speciale, quando per un periodo limitato si può comprare un prodotto della
medesima qualità usuale.
Il low-cost non è nemmeno la bassa qualità, quando il
rivenditore non fa nulla per mascherarla.
Il low-cost non è sobrietà. Al contrario è la
rivendicazione da parte del consumatore impoverito a pretendere svaghi e beni
simili a quelli che possono permettersi i benestanti globali.
Il low-cost non è solo uno slogan e una tecnica di
marketing, ma definisce anche un habitus sociale che va ben al d là delle
scelte strettamente economiche di chi ne fruisce
Il low-cost si è presentato come uno stile di vita
capace di incarnare un nuovo compromesso sociale, tipico delle società post-industriali
europee, in cui le generazioni di mezzo si adeguano alla contrazione dei loro
redditi rispetto alla generazione precedente, accettano l’impossibilità di
accumulare risparmio e rinunciano, inconsciamente o meno, alle tutele sul
futuro che garantiva lo Stato in cambio di un potere di acquisto immediato e
alquanto diversificato di beni e servizi mimetici dei consumi affluenti, ma il
cui prezzo media tra le loro aspirazioni e la loro condizione economica.
La rap-presentazione del low cost
Il prodotto low cost non si propone a prima vista come
povero o economico, almeno per quanto riguarda la comunicazione. Il low cost
non si racconta come un compromesso o una rinuncia, ma come una scelta
consapevole di cui non vergognarsi perché dei beni e i prodotti low cost si
evidenzia la loro ampia diffusione, cercando così di renderli non solo
accettabili, ma fattore per essere socialmente accettati. Il low cost viene
comunicato con stili e modalità a volte più raffinati di quelli dei prodotti
equivalenti di qualità superiore, lo stile è tranquillizzante, oppure
entusiasta ma anansiogeno, in alcuni casi addirittura scanzonato e
(auto)ironico.
Il catalogo IKEA è un classico caso di studio. La
qualità delle composizioni, degli ambienti, della luce nelle immagini del
catalogo potrebbe reggere il confronto con le riviste di architettura più
prestigiose. Ma questa scenografia serve a presentare prodotti in truciolare,
pannellature e plastica prodotti nei paesi più poveri al mondo.
Non si tratta solo della classica confezione più
prestigiosa o più costosa del contenuto. Il catalogo interloquisce con le
attese e le aspirazioni del compratore. Certo, ogni acquirente è ben
consapevole che se si trova in un IKEA è perché, di solito, vive in un
appartamento piccolo e vuole risparmiare, ma quel che l’acquirente
inconsciamente cerca e vorrebbe ritrovare quando entra in un megastore IKEA
sono gli ambienti e le atmosfere del catalogo. Il catalogo è l’utopia
possibile, di un appartamento piccolo ma confortevole, economico ma accogliente,
in cui esprimere i propri variegati interessi calibrandoli sul proprio reddito.
Coerente con le conclusioni di queste riflessioni anche lo slogan del catalogo
italiano IKEA 2018: “Facciamo spazio alla tua voglia di cambiare”.
Le didascalie del catalogo alludono spesso al confine,
chiaro ma implicito, tra vincoli materiali (spazio, disponibilità economiche) e
aspirazioni.
Ascesa e declino del low cost
Son passati poco più che dieci anni da quando il testo
di Massimo Gaggi ed Eduardo Narduzzi “La fine del ceto medio e la nascita della
società low cost” si spingeva a ipotizzare un modello low cost per tanta parte
delle attività economiche e sociali. Si andava ben oltre l’acquisto di un
biglietto aereo a pochi euro o un mobile in truciolato per qualche decina. Si
ipotizzava un mondo dove la produzione e l’erogazione di servizi
tradizionalmente in capo allo Stato, la giustizia, la sanità, la pubblica
amministrazione, le pensioni, venivano ripensati in logica low cost e dentro
l’idea di uno Stato minimo. Molto più di una moda o di uno stile di vita, il
low cost veniva proposto come uno strumento, culturale, prima ancora che
economico, per riprogettare la società sulle basi non di una frugalità voluta,
ma di modello sociale imposto dall’addio al welfare state e dal declino dei
redditi personali.
Una generazione intera ha così visto nei consumi
compulsivi e low cost una soluzione alle grandi aspirazioni cui era stata
educata. La “generazione low cost”
e la, per tanti versi sovrapponibile, “generazione Erasmus” sono due facce
della stessa medaglia: una generazione occidentale transnazionale, che ha
fruito solo indirettamente dei benefici e le tutele sociali dei loro genitori,
accomunata da principi politici in sostanza moderati e da una bassa
conflittualità sociale anche grazie all’accesso a beni che per i loro padri
erano un lusso, come ad esempio i frequenti viaggi in aereo. Una generazione
precaria e senza alcuna sicurezza per i suoi anni tardi che non sente
acutamente il disagio della sua condizione grazie all’accesso a beni e servizi
a basso costo.
Al di là di motivazioni strettamente culturali e
politiche, bisognerebbe anche indagare quanto la facilità di accesso a beni e
servizi ha consentito di disinnescare la conflittualità potenziale di una
intera generazione. Internet e il low cost hanno rappresentato due grandi
valvole di sfogo delle inquietudini e dei desideri giovanili, per cui mai come
oggi, nonostante scontri sporadici, la gioventù europea è tanto poco
politicizzata e tanto conformista. Se di per sé internet ha ancora una carica
liberatoria e libertaria (disintermediazione del sapere, della politica, dei
rapporti sociali: messa in discussione dei “poteri”), i social media, che tanta
parte parte rappresentano dell’internet, sono al contrario un meccanismo
conformista perché tendono a spingere le persone a ricercare il consenso su
quanto affermato, rafforzando gli stereotipi delle grandi filter bubbles in cui
le varie tribù digitali vivono. Il low cost ha trasformato il desiderio in un
processo pulsionale e ricorsivo di accumulazione quantitativa, rimandando la
pretesa per la qualità (degli oggetti, come anche della stessa esistenza) a un
orizzonte lontano, “quando ce lo potremo permettere”.
A questa platea di consumatori si aggiunge una parte
consistente dei loro genitori, privati spesso delle tutele e dei servizi
sociali che fruivano all’inizio del loro percorso lavorativo, che oggi si
trovano a far fronte a questo declino della loro condizione ricorrendo a
servizi e beni low cost. Da un punto di vista globale queste due generazioni si
trovano soprattutto in Europa, affastellati attorno al valore minimo della
oramai classica curva di Branko Milanovic.
In fondo alla proboscide dell’elefante di Milanovic si
sono dunque ritrovati milioni di giovani europei che prima hanno pensato che le
scelte low-cost fossero solo legate alla fase iniziale del loro percorso
lavorativo per poi capire di essere ingabbiati in una dimensione permanente.
In un mondo dove poi l’esibizionismo digitale di
desideri, esauditi o meno, crea forti pressioni esistenziali, il low cost si
propone come una strategia di gestione all’impoverimento delle prospettive di
almeno due generazioni.
Ma questo modello, che poteva essere accettato come un
rifugio temporaneo, è diventato per molti la trappola in cui son richiuse
le loro aspirazioni.
Dalla sicurezza ai consumi: il low cost come ricerca
di senso
La modernità può essere raccontata anche come
l’eclisse dall’orizzonte umano di una idea di senso trascendente e
inattingibile nella storia dei singoli e delle collettività. L’idea di un
destino che presiedeva le vite di tutti, rendeva le tragedie più accettabili e
comprensibili (“dio dà e dio toglie”). L’ideologia della razionalità che inizia
a farsi strada a partire dall’età moderna sostituisce un destino accettato come
inevitabile con la volontà di prevedere il futuro, la coscienza di poter
controllare il percorso delle vite umane e delle stesse società.
Con Bismark, in pieno positivismo, viene teorizzata e
messa in pratica l’idea che la coesione sociale e lo spirito nazionale vanno
rafforzati attraverso l’impegno dello Stato a garantire a tutti un possibile
futuro (scuola pubblica aperta a tutti), la cura dalla malattia (ospedali pubblici)
e soprattutto la vecchiaia. Lo Stato garante del futuro attraverso le pensioni
è il massimo esempio di predittività sociale: le assicurazioni calcolano
matematicamente quanti lavoratori servono per mantenere un pensionato e quanti
anni in media potrà quest’ultimo godersi la pensione (al netto di abusi).
Il passaggio dal modello a ripartizione al modello
contributivo è già un primo colpo a una idea di coesione sociale attraverso la
garanzia di tutela comuni e inclusive. Il principio contributivo per cui chi
più versa più avrà cambia totalmente il quadro. Viene meno l’idea che era un
diritto e diventa una componente di un piano di investimento in base alla
capacità individuale gestito dallo Stato.
Il compromesso socialdemocratico europeo di una vita
confortevole basata su lavoro, pensioni, sanità e istruzione era il patto
fondante tra cittadino e Stato, in cui quest’ultimo si faceva garante del
futuro dei propri cittadini che in cambio ne riconoscevano la piena
legittimità.
Ogni senso dell’esistenza parte dall’idea di futuro
che ci facciamo o che ci viene proposta. Se lo Stato viene meno con gli impegni
che aveva iniziato a prendere oltre un secolo fa che senso ha più la mia
cittadinanza? Ecco dunque che nella tarda società consumistica avviene il
decoupling, il disaccoppiamento tra consumatore e cittadino: lo Stato con le
sue elites si allontana dalle masse, mentre si minimizza e si ritira da tanti
ambiti, lasciando il cittadino orfano di legami politici e concentrato solo nel
suo ruolo di consumatore a basso costo, con l’obiettivo di massimizzare le sue
gratificazioni materiali.
Il destino personale in una società atomizzata si
riduce a nient’altro a una collazione di gratificazioni consumistiche a basso
costo e a se stanti, senza più una visione che dia l’idea di un percorso o di
un senso all’esistenza. Al massimo, si richiede un consenso temporaneo alle
proprie esperienze pietendo un Like su Facebook o un cuoricino su Instagram.
Il processo di produzione-consumo del low cost
L’abbassamento dei costi di produzione non è solamente
il frutto delle efficienze dovute alla digitalizzazione dei processo produttivi
e distributivi. Il prosumer, il produttore-consumatore, è un soggetto centrale
perché senza la sua diretta collaborazione non si potrebbero ottenere ulteriori
riduzioni di costi, ad egli, talvolta, parzialmente restituiti.
Il Low cost addebita al cliente una serie di costi non
monetari o non immediatamente monetizzabili: il montaggio con le proprie mani o
a proprie spese di beni fisici, il self service in tanti ristoranti a basso
costo, il processo di registrazione e accettazione del passeggero, la necessità
di acquisire competenze un tempo appannaggio solo dei bancari, la breve durata
dei capi di abbigliamento che implica costi di sostituzione significativi.
Il consumatore è costretto alla collaborazione se non
vuol pagare costi aggiuntivi che spesso fanno svanire i vantaggi del prezzo
basso. Richiedere il trasporto e il montaggio a casa di un mobile o
dimenticarsi di completare da sé il check-in costa molto salato.
Non si tratta solo di costi a valle. Sappiamo bene che
il processo d’acquisto di un volo low cost può tradursi in una snervante
gimcana tra caselle da cliccare e offerte da declinare per riuscire davvero a
raggiungere l’agognato prezzo speciale. Così come il prezzo di altri beni low
cost appare davvero super conveniente solo con ulteriori sconti, mentre
prodotti simili sono spesso più convenienti in altri esercenti.
Iniziamo ad essere sempre più consapevoli che la produzione del
low cost ha un pesante impatto ecologico e sociale. e a volte non è nemmeno
tanto conveniente sotto l’aspetto strettamente economico.
La produzione globale delocalizzata punta non solo a inseguire il costo del
lavoro più basso, ma anche il quadro normativo meno stringente per quanto
riguarda il rispetto della sicurezza ambientale e sul lavoro. Le nostre case
low cost sono piene di capi di abbigliamento made in Bangladesh o di
mobili made in Serbia o in
Romania, ma queste nostre stesse case sono abitate da
assistenti di volo di compagnie low cost, commesse di negozi low cost,
sviluppatori software sottopagati per progetti low cost.
Il low cost, essendo un processo assolutamente
deterritorializante, indifferente al territorio e alle sue regole, tende a
imporre la stessa logica lungo tutta la sua filiera, non conta se parti di essa
si trovino in Marocco o in Germania. L’assistente di volo della compagnia low
cost si può affidare solo al low cost per poter mangiare, poter arredare il
proprio monolocale, per potersi vestire, per poter telefonare e per gran parte
delle sue attività.
Il low cost, che è apparso nelle nostre vite come idea
geniale per avere di più dai nostri salari sfruttando le opportunità delle
disuguaglianze globali, ha piegato le nostre vite e i nostri diritti alle sue
logiche.
Low cost e populismo industriale
Il low cost, come ideologia di controllo sociale
proposta dalle elites, finisce per sfociare nel populismo, come rottura della
fiducia tra governanti e governati a seguito della rinuncia dello Stato a
offrire un orizzonte di senso e di futuro ai suoi cittadini.
Lo Stato viene identificato del tutto con le sue élite
perché non riesce più a rappresentarsi come un organismo coeso. Il superamento
degli Stati-nazione è andato di pari passo con il ritiro dello Stato dagli
impegni del compromesso socialdemocratico del secondo Dopoguerra. Privati di
molte garanzie che si aspettavano dallo Stato, disorientati da uno Stato
multiculturale che spesso non sa gestire la trasformazione dovuta ai flussi
migratori, le classi meno agiate hanno trovato un rifugio consolatorio nel low
cost e un rifugio politico nel populismo, pur pienamente consapevoli che si
tratta di soluzioni di ripiego in entrambi i piani.
Il low cost rappresenta una delle massime esperienze
del Populismo industriale, per usare il termine di Bernard Stiegler. La
fruizione compulsiva di beni di poco valore e dal basso costo alla fine
banalizza l’esigenza degli stessi consumatori di individualizzarsi, di
caratterizzarsi attraverso il consumo. Se sei consumatore low cost, sarai anche
un cittadino low value?
L’ideologia di controllo sociale attraverso il low
cost dell’ultimo quindicennio implicava una depoliticizzazazione delle masse e
il loro rifugio in orizzonti di senso del tutto individuali, basati su
gratificazioni materiali continue ma di breve durata e di ridotte ambizioni.
Questo downsizing materiale, questa resilienza esistenziale, mostrano ogni
giorno dei punti di rottura di fronte alle pressioni di una società orfana di
visioni capaci di governarla nel complesso e dare un senso alle singole
esistenze. Così, all’interno del classico pendolo tra dimensione pubblica e
dimensione privata di Albert O. Hirshman, gli individui tornano alla politica,
ma a una politica di stampo populista, in cui si ritrovano accomunati da accuse
più o meno generiche alle èlites che, esplicitamente o meno, hanno gestito il
processo di impoverimento di milioni di persone nelle nazioni più
industrializzate.Il disvelamento dei limiti del compromesso low cost porta
questa forma di individualismo frustrato a sfociare in politica, in una
politica che si può essere definita, senza accezioni di giudizio, populista.
In tutti i programmi politici populisti vi è un forte
accento su un nuovo protagonismo dello Stato, che deve essere chiamato non solo
a proteggere i cittadini dagli effetti della globalizzazione (si manifesti essa
come immigrazione o come impoverimento della classe media), ma dovrebbe
ricostruire un orizzonte di senso attraverso un nuovo senso di appartenenza e
di coesione collettiva.
Ecco perché il low cost, che pure resterà come offerta
commerciale, ha fallito come ideologia a sostegno dell’idea di uno Stato
minimo: essa ha mancato totalmente l’obiettivo di creare una generazione
soddisfatta della propria condizione grazie all’accesso diffuso a beni di
scarsa qualità e oggi questa generazione (assieme agli strati sociali più
poveri che più hanno sofferto …) entra in politica attraverso la porta del
populismo, senza essersi però mai addestrata alla capacità politica di
risoluzione dei problemi.
Il low cost rientra nei ranghi come mera strategia
aziendale e lascia il campo a un’epoca in cui il contrasto tra le attese
degli individui e le possibilità della politica diventerà ancora più stridente
e rischioso per la tenuta della stessa società.
Bibliografia:
Branko Milanovic, “Worlds apart: Measuring
international and global inequality” Princeton University Press, 2005
Massimo Gaggi, Eduardo Narduzzi, La fine del
ceto medio e la nascita della società low cost, Einaudi, 2006
Bernard Stiegler, Reincantare il mondo. Il
valore spirito contro il populismo industriale, Orthotes, Napoli 2012
Bernard Stiegler, State of Shock. Stupidity
and knowledge in XXI century, Polity Press, 2015
Albert O. Hirshman, Felicità privata e
felicità pubblica, Feltrinelli, 1983
Linkografia:
Ideología del loro cost, El Paìs, 7 decembre
2006 https://elpais.com/diario/2006/12/07/sociedad/1165446009_850215.html
La generatiòn low cost,
El Mundo, 11/01/2015 http://www.elmundo.es/economia/2015/01/11/54afd7cc22601d31158b457e.html “No
hay muebles de carpintería, sino estanterías Billy de Ikea, símbolo de la
existencia low cost de la mayoría de estos jóvenes.”
No more low cost: East Europe goes up in the world,
July 25th 2017, Reuters, https://www.reuters.com/article/us-easteurope-economy-analysis/no-more-low-cost-east-europe-goes-up-in-the-world-idUSKBN1AA1RE “We
are not just cheaper-labor economy but also a low-cost economy,”
When cheap is not so cheap,
The Economist, Sept 2nd 2014, https://www.economist.com/news/business-and-finance/21614076-rethinking-low-cost-and-high-cost-manufacturing-locations-when-cheap-not-so-cheap
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