lunedì 5 luglio 2021

Perché dovrebbero inginocchiarsi? - Francesco Giorgioni

 

La Federazione Italiana Giuoco Calcio e la nazionale, intesa come selezione, hanno assunto una posizione incomprensibile riguardo all’iniziativa antirazzista prima delle partite. “Ci inginocchiamo se si inginocchiano gli altri” è, semplicemente, una risposta demenziale, priva di logica.
Guardiamo però in faccia la realtà: perché i calciatori italiani dovrebbero inginocchiarsi, se non credono davvero in questa iniziativa antirazzista?
Perché li si dovrebbe costringere ad una messinscena ipocrita, se non sentono alcun trasporto verso quel monito?

Badate bene che io non li sto giustificando né criticando, io semplicemente guardo in faccia alla realtà.
I calciatori della nazionale sono lo specchio dell’Italia, in tutta la sua multiforme complessità.
Dell’Italia migliore, dell’Italia peggiore.
Un’Italia che, stando agli ultimi sondaggi politici, vede la somma di Lega e Fratelli d’Italia oltre il quaranta per cento del gradimento elettorale.
Un’Italia in cui troppa gente crede ancora che il razzismo sia nulla più che una strumentalizzazione, un’arma di propaganda della parte sinistra del nostro arco costituzionale.
I calciatori della nazionale sono ragazzi ventenni o trentenni cresciuti in questo clima culturale.
Per quanto ricchi e famosi, questi giovanotti non vivono in una bolla: sono figli del loro tempo. Si aggiunga il fatto che questa nazionale non ha neppure, tra i suoi convocati, un calciatore di colore.
Per un Claudio Marchisio che non perde occasione per scagliarsi contro ogni forma di discriminazione, tanti altri preferiscono non prendere posizione: il che è già, di per sé, una presa di posizione.
Ma il problema riguarda tutto l’ambiente del calcio, non solo i giocatori.
Due anni fa, nell’aprile del 2019, si giocò a Cagliari un Cagliari – Juventus investito da violente polemiche sulla questione degli ululati razzisti allo stadio. A denunciarli furono, in particolare, due calciatori di colore della Juventus, Moise Kean e Blaise Matuidi.
Il diciannovenne Kean segnò un gol e non trattenne un’esultanza provocatoria verso la curva da cui erano giunti gli ululati. La conclusione fu paradossale: furono lui e il suo compagno Matuidi a finire sul banco degli accusati, avendo osato sfidare l’intoccabile pubblico.
A rimproverare Kean fu, uno per tutti, Leonardo Bonucci, senatore della Juventus, lo stesso che nei giorni scorsi ha rappresentato la incomprensibile posizione della nazionale con spericolati equilibrismi dialettici: disse che Kean aveva sbagliato.
Il dibattito ebbe anche un acceso strascico su Sky, a fine partita, protagonisti il presidente del Cagliari Giuseppe Giulini e il commentatore Lele Adani.
Traggo dalla testata Il Post le dichiarazioni del presidente Giulini di quell’aprile 2019, perché le trovo molto significative di quale sia il grado di sensibilità del calcio verso il problema delle discriminazioni razziali. Significative anche nell’ordine dei concetti espressi:
“Evitiamo moralismi – ha esordito il numero uno del club sardo nello studio con Cattaneo i suoi ospiti -. Se quell’esultanza l’avesse fatta Bernardeschi la reazione del pubblico sarebbe stata la stessa”. Insomma, non c’entra il razzismo secondo Giulini: i tifosi avrebbero reagito a una provocazione del giocatore. “Kean ha sbagliato, come del resto hanno detto anche i giocatori della Juve (Bonucci nell’intervista flash a fine partita, ndr) – ha proseguito -. Colpe a metà? Sì, ma dopo l’esultanza. Prima la colpa è del giocatore. In ogni caso io ho sentito soprattutto fischi in realtà. Cori razzisti? Se ci sono stati vanno condannati ovviamente”.
Davvero ci potevamo aspettare una nazionale schierata apertamente contro il razzismo, cosciente del potente valore simbolico dei suoi gesti?
Ma, infine, avrebbe senso chiedere di inginocchiarsi a gente che non riconoscere alcun valore a quel gesto?

da qui

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