mercoledì 28 luglio 2021

Per aspera (nostra) ad astra (sua) - Rostrum

 

Ieri, poco dopo le 15 ora italiana, il noto imprenditore e sovrano dell’impero di Amazon, Jeff Bezos, a bordo della navicella New Shepard della Blue Origin, è asceso fin quasi agli spazi siderali per vivere l’inebriante avventura della percezione di assenza di gravità determinata dal volo in caduta libera. A detta di molti gazzettieri, tutto ciò è bello, è grandioso, è sublime.

Che dire? È confortante constatare che, nello squallore di una modernità priva di slanci ideali, l’eroismo e lo spirito pionieristico non sono completamente estinti. Al contrario, ci viene ripetuto, a dire il vero con grande insistenza, che questi nobili sentimenti oggi vivono nelle poderose imprese dei coraggiosi capitani d’industria, degli avventurosi intraprenditori, degli spiriti creatori, dei produttori di ricchezza, dei managers e degli AD. Questi titani dell’economia mondiale, moderni rappresentanti della sana razza dei Carnegie, dei Morgan, dei Rockefeller, dei Jay Gould, dei Vanderbilt e dei Ford, hanno, con tutta evidenza, le migliori qualità che la specie umana sia stata in grado di sviluppare in circa duecentomila anni di evoluzione: intelligenza, competenza, cultura, amore del bello, creatività, intraprendenza, dedizione, coraggio, generosità.

E queste sono solo alcune delle pregevoli qualità che possono affermare a buon diritto di possedere, dal momento che le hanno acquistate pagandole, come ritengono, al loro “giusto prezzo” con il lavoro abilmente estorto a milioni di lavoratori. L’intelligenza e la competenza degli ingegneri, degli scienziati, dei tecnici che hanno il privilegio di lavorare per loro; la cultura a cui hanno attinto dalle vette – inaccessibili ai più – dei migliori colleges e delle migliori università del mondo; lo squisito gusto estetico dei migliori esperti d’arte a cui commissionano l’acquisto di impareggiabili capolavori di tutte le epoche, da conservare nelle loro collezioni private; la creatività e l’intraprendenza di tutta una gioventù ambiziosa, pronta a piegare le proprie facoltà psico-fisiche alla ricerca appassionata e infaticabile di nuove e vincenti strategie di mercato; la dedizione di milioni di dipendenti in ogni angolo del pianeta, impegnati in un quotidiano sforzo produttivo; il coraggio di chi viene retribuito per difendere, con ogni mezzo, da mani rapaci le legittime pertinenze di questi moderni feudi della superiorità spirituale; la generosità, questa spesa di rappresentanza mai a fondo perduto, questo titolo ad alto rendimento di immagine che è possibile acquistare con relativamente modeste, filantropiche donazioni, fortunatamente detraibili dalle tasse.

Immenso, ineguagliabile potere del denaro. Il potere di avere ciò che non abbiamo o di averne più di quanto la natura, a volte avara, ci conceda. Il potere di assorbire, introiettare, assimilare dagli altri ciò di cui gli altri, senza di esso, non possono adeguatamente fruire a proprio vantaggio. Il potere supremo, il potere di essere tutto perché il denaro può avere tutto. Quella di fare denaro non è in fondo la capacità assoluta, l’unica capacità? La capacità che trasforma tutte le altre capacità in incapacità, se non sono capaci di produrre denaro, e tutte le incapacità in capacità, a patto di produrne. Cosa c’è di più sublime? Di più giusto? Di più razionale?

Jeff Bezos è un prime mover, un motore primario della società, un ingegnere sociale, un imprenditore, un filosofo, un genio se vogliamo. Alto, dalla plastica e agile corporatura che sollecita inevitabilmente al paragone con la perfezione classica delle antiche statue greche, dalla testa levigata e aerodinamica, dallo sguardo che promana sicurezza e soggezione, dalla prominente e volitiva mascella quadrata. Anche anatomicamente, la sua divina bellezza marca la distanza antropologica che lo divide dalle masse malnutrite e deformate – nel fisico come nello spirito – dalla condanna del lavoro. È un individuo completo, il ricco frutto della migliore istruzione e un punteggio al test del quoziente intellettivo pari solo al palmares delle vittorie in tutti i nobili sport in cui eccelle senza sforzo. L’universale uomo rinascimentale fuso in una sola persona con la belva superumana di Nietzsche. Il miglior pedigree genetico unito alle più scrupolose attenzioni riservate all’allevamento di razza.

Stando a quanto leggiamo in data odierna sul sito tech.fanpage.it, nella conferenza stampa successiva al suo ritorno su questo povero, insufficiente, deludente pianeta abitato da miseri subumani, Jeff – certamente non si risentirà se lo chiamiamo confidenzialmente per nome – indossando il suo cappello da allevatore di bovini delle praterie nordamericane, ha voluto esprimere un pensiero gentile: “Voglio ringraziare ogni dipendente di Amazon e ogni cliente di Amazon, perché voi avete pagato tutto questo”.

Qualcuno ha detto che si è trattato di una gaffe, di una inopportuna battuta di spirito. Probabilmente in rapporto a quella lunga storia di sfruttamento dei lavoratori con ritmi estenuanti – che lo scorso marzo a Las Vegas hanno portato un dipendente di 48 anni, Paul Vilscek, al suicidio; a quella lunga storia di negazione di garanzie contrattuali e di agibilità sindacali che contraddistingue l’azienda di cui Jeff è fondatore e attualmente presidente esecutivo del consiglio di amministrazione.

Ora, non vogliamo metterci a fare i conti in tasca a Jeff, ad un “eroe del nostro tempo”, ma se volessimo esaminare la vicenda più da vicino ci accorgeremmo che, “a naso”, i milioni di dollari “impiegati” per trasportare per 11 minuti le augustee terga del magnate di Albuquerque a oltre 100 km nello spazio suborbitale a vedere da un oblò la curvatura del pianeta, emanano cattivo odore. Precisamente l’odore dell’urina delle centinaia di migliaia di operai della Amazon, costretti a mingere in bottigliette di plastica per non indulgere in pause fisiologiche che aumenterebbero i tempi di consegna, ridurrebbero la produttività e condurrebbero il lavoratore alla velocità di quel razzo intergalattico chiamato “licenziamento” sull’inospitale pianeta “disoccupazione”. I milioni di minuti risparmiati dai lavoratori al prezzo delle loro vesciche gonfiate si sono condensati negli 11 minuti in cui una vescica gonfiata ha galleggiato nello spazio. Sublime.

Intendiamoci, quello che molti non capiscono è che la possibilità di utilizzare il plusvalore estorto alla classe operaia in favore di quest’ultima non è, e non sarà mai, argomento sufficiente a fare sì che la classe dei capitalisti possa anche solo lontanamente ritenere degna di riflessione la prospettiva di una limitazione del proprio piacere di accumulare o di accumulare piaceri, sollazzi, avventure mozzafiato. Non illudiamoci al riguardo. Quello che possiamo fare – e nel dirlo siamo tanto impudenti da credere di interpretare l’interesse di classe di tutti i dipendenti di Mister Amazon e del proletariato in generale – è impegnarci, a partire da subito, nel creare almeno una piccola parte delle premesse che renderanno possibile il giorno – ci auguriamo non molto lontano – in cui il controllo dei lavoratori sulle proprie condizioni di vita e di produzione permetta di sollevare dalle proprie estenuanti fatiche gli appartenenti alla classe dei capitalisti, di affrancarli dal peso della corona e, perché no – nel caso non debbano sentirsi troppo a loro agio in un mondo che si è accorto di poter fare a meno dei loro preziosi servigi – fornirli di un servizio navicella verso gli immensi spazi interplanetari. Con un biglietto di sola andata.

da qui

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