Ieri, poco dopo le 15 ora italiana, il noto imprenditore e sovrano dell’impero di Amazon, Jeff Bezos, a bordo della navicella New Shepard della Blue Origin, è asceso fin quasi agli spazi siderali per vivere l’inebriante avventura della percezione di assenza di gravità determinata dal volo in caduta libera. A detta di molti gazzettieri, tutto ciò è bello, è grandioso, è sublime.
Che dire? È confortante constatare che, nello squallore di una modernità
priva di slanci ideali, l’eroismo e lo spirito pionieristico non sono
completamente estinti. Al contrario, ci viene ripetuto, a dire il vero con
grande insistenza, che questi nobili sentimenti oggi vivono nelle poderose
imprese dei coraggiosi capitani d’industria, degli
avventurosi intraprenditori, degli spiriti creatori,
dei produttori di ricchezza, dei managers e
degli AD. Questi titani dell’economia mondiale, moderni
rappresentanti della sana razza dei Carnegie, dei Morgan, dei Rockefeller, dei
Jay Gould, dei Vanderbilt e dei Ford, hanno, con tutta evidenza, le migliori
qualità che la specie umana sia stata in grado di sviluppare in circa
duecentomila anni di evoluzione: intelligenza, competenza, cultura, amore del
bello, creatività, intraprendenza, dedizione, coraggio, generosità.
E queste sono solo alcune delle pregevoli qualità che possono affermare a
buon diritto di possedere, dal momento che le hanno acquistate pagandole,
come ritengono, al loro “giusto prezzo” con il lavoro abilmente estorto a
milioni di lavoratori. L’intelligenza e la competenza degli
ingegneri, degli scienziati, dei tecnici che hanno il privilegio di lavorare
per loro; la cultura a cui hanno attinto dalle vette –
inaccessibili ai più – dei migliori colleges e delle migliori università del
mondo; lo squisito gusto estetico dei migliori esperti d’arte
a cui commissionano l’acquisto di impareggiabili capolavori di tutte le epoche,
da conservare nelle loro collezioni private; la creatività e
l’intraprendenza di tutta una gioventù ambiziosa, pronta a piegare
le proprie facoltà psico-fisiche alla ricerca appassionata e infaticabile di
nuove e vincenti strategie di mercato; la dedizione di milioni
di dipendenti in ogni angolo del pianeta, impegnati in un quotidiano sforzo
produttivo; il coraggio di chi viene retribuito per difendere,
con ogni mezzo, da mani rapaci le legittime pertinenze di
questi moderni feudi della superiorità spirituale; la generosità,
questa spesa di rappresentanza mai a fondo perduto, questo titolo ad alto
rendimento di immagine che è possibile acquistare con relativamente modeste,
filantropiche donazioni, fortunatamente detraibili dalle tasse.
Immenso, ineguagliabile potere del denaro. Il potere di avere ciò che non
abbiamo o di averne più di quanto la natura, a volte avara, ci conceda. Il
potere di assorbire, introiettare, assimilare dagli altri ciò di cui gli altri,
senza di esso, non possono adeguatamente fruire a proprio vantaggio. Il potere
supremo, il potere di essere tutto perché il denaro può avere tutto.
Quella di fare denaro non è in fondo la capacità assoluta,
l’unica capacità? La capacità che trasforma tutte le altre capacità in
incapacità, se non sono capaci di produrre denaro, e tutte le incapacità in
capacità, a patto di produrne. Cosa c’è di più sublime? Di più giusto? Di più
razionale?
Jeff Bezos è un prime mover, un motore primario della società,
un ingegnere sociale, un imprenditore, un filosofo, un genio se vogliamo. Alto,
dalla plastica e agile corporatura che sollecita inevitabilmente al paragone
con la perfezione classica delle antiche statue greche, dalla testa levigata e
aerodinamica, dallo sguardo che promana sicurezza e soggezione, dalla
prominente e volitiva mascella quadrata. Anche anatomicamente, la sua divina
bellezza marca la distanza antropologica che lo divide dalle masse malnutrite e
deformate – nel fisico come nello spirito – dalla condanna del lavoro. È un
individuo completo, il ricco frutto della migliore istruzione e un punteggio al
test del quoziente intellettivo pari solo al palmares delle vittorie in tutti i
nobili sport in cui eccelle senza sforzo. L’universale uomo rinascimentale fuso
in una sola persona con la belva superumana di Nietzsche. Il miglior pedigree
genetico unito alle più scrupolose attenzioni riservate all’allevamento di razza.
Stando a quanto leggiamo in data odierna sul sito tech.fanpage.it, nella
conferenza stampa successiva al suo ritorno su questo povero, insufficiente,
deludente pianeta abitato da miseri subumani, Jeff – certamente non si
risentirà se lo chiamiamo confidenzialmente per nome – indossando il suo
cappello da allevatore di bovini delle praterie nordamericane, ha voluto
esprimere un pensiero gentile: “Voglio ringraziare ogni dipendente di Amazon e
ogni cliente di Amazon, perché voi avete pagato tutto questo”.
Qualcuno ha detto che si è trattato di una gaffe, di una inopportuna
battuta di spirito. Probabilmente in rapporto a quella lunga storia di
sfruttamento dei lavoratori con ritmi estenuanti – che lo scorso marzo a Las
Vegas hanno portato un dipendente di 48 anni, Paul Vilscek, al suicidio; a
quella lunga storia di negazione di garanzie contrattuali e di agibilità
sindacali che contraddistingue l’azienda di cui Jeff è fondatore e attualmente
presidente esecutivo del consiglio di amministrazione.
Ora, non vogliamo metterci a fare i conti in tasca a Jeff, ad un “eroe del
nostro tempo”, ma se volessimo esaminare la vicenda più da vicino ci
accorgeremmo che, “a naso”, i milioni di dollari “impiegati” per trasportare
per 11 minuti le augustee terga del magnate di Albuquerque a oltre 100 km nello
spazio suborbitale a vedere da un oblò la curvatura del pianeta, emanano
cattivo odore. Precisamente l’odore dell’urina delle centinaia di migliaia di
operai della Amazon, costretti a mingere in bottigliette di plastica per non
indulgere in pause fisiologiche che aumenterebbero i tempi di consegna,
ridurrebbero la produttività e condurrebbero il lavoratore alla velocità di
quel razzo intergalattico chiamato “licenziamento” sull’inospitale pianeta
“disoccupazione”. I milioni di minuti risparmiati dai lavoratori al prezzo
delle loro vesciche gonfiate si sono condensati negli 11 minuti in cui una
vescica gonfiata ha galleggiato nello spazio. Sublime.
Intendiamoci, quello che molti non capiscono è che la possibilità di
utilizzare il plusvalore estorto alla classe operaia in favore di quest’ultima
non è, e non sarà mai, argomento sufficiente a fare sì che la classe dei
capitalisti possa anche solo lontanamente ritenere degna di riflessione la
prospettiva di una limitazione del proprio piacere di accumulare o di
accumulare piaceri, sollazzi, avventure mozzafiato. Non illudiamoci al
riguardo. Quello che possiamo fare – e nel dirlo siamo tanto impudenti da
credere di interpretare l’interesse di classe di tutti i dipendenti di Mister Amazon
e del proletariato in generale – è impegnarci, a partire da subito, nel creare
almeno una piccola parte delle premesse che renderanno possibile il giorno – ci
auguriamo non molto lontano – in cui il controllo dei lavoratori sulle proprie
condizioni di vita e di produzione permetta di sollevare dalle proprie
estenuanti fatiche gli appartenenti alla classe dei capitalisti, di affrancarli
dal peso della corona e, perché no – nel caso non debbano sentirsi troppo a
loro agio in un mondo che si è accorto di poter fare a meno dei loro preziosi
servigi – fornirli di un servizio navicella verso gli immensi spazi
interplanetari. Con un biglietto di sola andata.
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