(recensione di Francesco Masala)
Eleuthera
(ri)pubblica (2021, euro 17) dopo vent’anni un libro importante di Serge
Latouche.
Se
uno non sapesse che il libro è stato scritto alla fine del secolo scorso non
troverebbe una riga che non sia di attualità, purtroppo. Il mondo non cambia, e
se (non) cambia peggiora.
Il
libro è organizzato in cinque capitoli, nei quali si analizza lo stato del
mondo, 20 anni fa.
Tra
i tanti temi toccati, alcuni colpiscono con evidenza, per esempio il passaggio
dal colonialismo al neocolonialismo è stato un cambiamento di forma, in molti
casi, ma i rapporti economici fra stati ex-coloniali e stati ex-colonizzati non
sono cambiati troppo.
A
pag.23 si parla della mercificazione totale del mondo, tutto si compra e si
vende, e “i prodotti culturali vengono trattati come merci uguali alle altre e
le riserve culturali come un banale e nocivo protezionismo”.
A
proposito dell’Africa Latouche scrive che “il gruppo invaso non può più
cogliere se stesso se non attraverso le categorie dell’altro, cioè quelle degli
europei.” (p.35). e subito dopo si introduce un elemento chiave: ”Nei rapporti
con le società del Sud è più grazie al dono, e non alla spoliazione, che il
centro si trova investito di uno straordinario potere.”
A
pag.46-47 si legge che “il sistema tecnoeconomico mondializzato è responsabile
della scomparsa di migliaia di culture” e “In Occidente l’economia non solo non
è complementare alla cultura ma tende a rimpiazzarla assorbendo in sé tutte le
dimensioni culturali…La diversità che resiste, o che si ricicla, rimane sempre
in una situazione fragile e provvisoria di fronte al rullo compressore
dell’uniformazione”.
“Questo
effetto dell’occidentalizzazione non è il risultato di un meccanismo economico
in quanto tale, ma di un processo più complesso di distruzione culturale
chiamato deculturazione. Questa deculturazione
si riproduce a sua volta e si aggrava con la terapia messa in opera per porvi
rimedio: la politica di sviluppo e la modernizzazione”.
“Gli
ultimi superstiti delle culture non occidentali testimoniano una grande
indifferenza per molte nostre merci, e soprattutto un’allergia ancora maggiore
verso la logica della loro produzione”.
Se
venti anni fa Latouche li vedeva con chiarezza adesso questi fatti sono sempre
più evidenti e chiari, niente è stato fatto, in realtà, per cambiare qualcosa.
A
proposito del dono, prestiti agli stati di enti sovranazionali (FMI e Banca
Mondiale, per esempio), cavallo di Troia per rinnovate e più profonde
dipendenze, segnalo che nel 2004 fu pubblicato “Confessioni di un sicario
dell'economia”, di John Perkins, libro
nel quale l’autore spiega in dettaglio, in prima persona, le cose che
racconta(va) Latouche (qui un documentario tratto dal libro
di Perkins).
Mi
è capitato da pochissimo di leggere sul n.1414 di Internazionale un articolo di
un giornalista tedesco, Bernd Dörries,
sul Somaliland, uno stato africano dichiaratosi indipendente dal 1991,
riconosciuto quasi da nessuno, e per questo, per fortuna, non ha debiti (per
ora) perché nessuno gli ha fatto prestiti/dono/capestro, caso più unico che
raro.
Dice Karl Marx che “I filosofi
hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di
trasformarlo”.
Serge
Latouche dice tutto, è il filosofo perfetto, fa la parte necessaria, per Marx,
purtroppo cambiare il mondo sembra impossibile.
In
quarta pagina c’è una frase che dice, con amarezza, moltissimo: “Abbiamo
l’incredibile privilegio di assistere in diretta al crollo della nostra
civiltà”.
Nessun commento:
Posta un commento