I consulenti
liberisti fra incoerenza e ridicolo - Matteo Bortolon
La polemica sulle nomine del governo Draghi di cinque economisti marcatamente
liberisti in sé sarebbe trascurabile se non avesse segnato una decisa
reazione di studiosi di rinomanza internazionale che hanno firmato un civilissimo appello (dai toni che certo non possiamo
certo definire barricaderi). I temi che solleva sono (con importanza
decrescente) le caratteristiche dei decisori in merito alle politiche economiche;
la natura del governo Draghi; e le sbracatissime reazioni contro tale appello
da parte della scombiccherata manica dei vari liberisti. L’ultimo punto,
ovviamente il meno importante, non è privo di risvolti di (involontaria)
comicità – per chi segue la polemica sui social quasi esilarante.
Il primo punto disvela una importanza cruciale nel panorama attuale. In
linea generale non si può sostenere che una politica economia sia una questione
di meccanismi neutri in cui conta solo “come far girare la macchina”. Nella
misura in cui essa impatta sullo spostamento di ricchezza fra i ceti,
determinando chi paga più tasse, chi riceve più contributi, chi viene favorito
dalle politiche pubbliche che costruiscono le infrastrutture (provate a vendere
automobili senza che lo Stato abbia costruito le strade – cosa che i privati
non fanno, guarda un po’) le competenze vanno inquadrate in una visione che
esprime delle scelte fondamentali su che società vogliamo costruire. Qui il
dibattito si consuma fra le correnti marxiste e postkeynesiane da una parte e
l’ortodossia liberista dall’altra. Quest’ultima espunge l’inelegante e scomoda
presenza di conflittualità di classe e di interessi dal disegno di una economia
basata su delicati equilibri di automatismi, quasi fosse una costruzione
armonica di ineffabile simmetria. Sfruttamento, conflittualità, che brutte cose
da evocare, come spalmare del ketchup su un quadro di
Raffaello.
Naturalmente anche chi fa parte dei dominanti e ha a che fare con dinamiche
reali questo lo sa perfettamente, al netto di conversioni
piuttosto bizzarre.
Perciò è evidente che le nomine dei decisori politici riflettono la
curvatura che si intende dare alla linea politica che essi devono determinare.
Questa semplice verità viene confermata dai comportamenti di coloro che l’hanno
sempre negata, con una noncuranza sbalorditiva.
Il secondo punto potrebbe chiudersi facilmente nella frase: ma ci voleva
tanto ad indovinare l’orientamento del governo Draghi? Senza ricorrere a poteri
mutanti, alle facoltà divinatorie stile Nostradamus o al supercomputer
Aladdin per gli investimenti BlackRock, bastava guardare alle sue dinamiche
di fondo per capire quanto sia espressione dei poteri forti; e quale fondatezza
avevano le aspettative di keynesismo o di attenzione ai temi sociali con cui
M5S e Pd hanno scelto di autoilludersi per avallare la fiducia alla più
abbietta operazione di promozione degli interessi costituiti messa in campo dai
tempi del governo Monti. Per cui Emanuele Felice e Beppe Provenzano è inutile che facciano le verginelle:
sul punto hanno sicuramente ragione, ma è futile muoversi contro il sintomo
senza inquadrare la patologia (cioè Draghi al potere). Se sono sulla via di
capire che il deprecabile intruglio di euroliberismo bancario-finanziario ai
vertici dello Stato non è una idea brillante potevano accorgersene prima;
magari potevano leggerci. Quasi in tempo reale la Fionda aveva ospitato molti
contributi che demistificavano tanto le leccate sul versante di establishment che
quelle più “sociali”: lo potevano leggere qui (3 febbraio), qui (4 febbraio) qui (8 febbraio) fra i primi; e già che c’erano non
era male leggere su chi sia Mario Draghi, magari qui e qui .
Ma veniamo al punto meno importante – ma più esilarante.
L’appello sulle nomine – da noi ripreso – non è certo rivoluzionario o
radicale; il tono è molto rispettoso, quasi ossequioso (“è essenziale che
l’esecutivo mantenga la fiducia degli operatori economici, cittadini ed
istituzioni nazionali ed internazionali, acquisita anche grazie al prestigio
del Presidente Draghi”… “I firmatari ritengono che il governo Draghi per
tutelare il suo prestigio nonché la sua efficacia operativa dovrebbe
riconsiderare alcune nomine”…), il che farà alzare un sopracciglio a chi vede
il governo come un avversario; ma pone problemi vari: di pluralismo (nomine di
un unico segno: tutti ultras liberisti), di opportunità politica (nomine di
personaggi scettici su politiche governative già assodate e che quindi non si
capisce che utilità abbiano nella loro attuazione), di competenze (figure che
anche per idiosincrasia ideologica si sono poco dedicate al tema degli
investimenti pubblici che dovrebbero lavorare su tale tema?).
Apriti cielo! Per la scombinata platea di liberisti fan di Puglisi e
dell’Istituto Bruno Leoni è il crimine più inaudito dai tempi della
crocifissione di Cristo.
Il sempre moderato Foglio definisce rispettosamente l’appello “La
buffonata” (25 giugno), e ai firmatari attribuisce “sprezzo della logica,
ipocrisie accademiche, pulpiti grotteschi”. Toni accorati. “Sprezzo della
logica” ben conosciuto da un giornale che pubblica cose come “la balla del
Draghi liberista”.
Con sprezzo – assai notevole – del ridicolo, invece,
Antonio Polito scaglia il sasso per nascondere la mano azzardando un paragone
dei firmatari addirittura con i fascisti giapponesi (sic!) e -più
velatamente – con i fiancheggiatori delle BR; il grande crimine? Presto detto:
le critiche sulle competenze sono sempre legittime, ma… non la
“discriminazione professionale” a scopo “politico”. Insomma se le critiche le
bisbigliavano sommessamente ai propri amici, o al massimo le dicevano al vicino
sul pianerottolo (con effetti ovviamente nulli) andava bene; invece hanno sciorinato
tutto in pubblico, e questo non va bene, signora mia. In merito al fatto –
abbastanza disturbante in effetti – che chi ha infangato fino al giorno prima
l’intervento dello Stato non si sa che utilità possa avere in merito alle
politiche pubbliche, il Polito si lancia nell’esempio del secolo: “come se
fossero preti cui è richiesto di avere fede nella transustanziazione per
officiare messa”. Evidentemente il povero tapino, comicamente ignora che nella
dottrina cattolica la efficacia del rito non dipende dalla fede né
dalla santità del ministro. Fra i mille esempi doveva scegliere proprio
quello che aggiorna la già lunga serie di ridicole scemenze proferite.
Sullo stesso Corriere Veltroni, il Gran Sacerdote della Paraculata,
stigmatizza in merito “la pericolosa suggestione del fastidio per la diversità
delle opinioni altrui”. Da inserire nel vocabolario alla voce “doppiopesismo”.
Ma se il maggior quotidiano nazionale pubblica questa roba, come stupirsi
di cosa alberga in basso? Il clan dei liberisti-libertari variamente renziani,
calendiniani, piueropini, ha dispiegato un chiacchiericcio
petulante, vittimista, dai toni oltranzisti che è dilagato sulle bacheche
social di alcuni dei firmatari, dando materia a legioni di psichiatri. Vediamo
le più esilaranti: la Lettera è “intimidatoria”, secondo un commentatore (si
vede che Draghi deve ancora dare qualche esame, se no come lo possono
intimidire dei professori universitari?); “brutta iniziativa che ricorda certi
errori ed orrori del passato” (Pol Pot scansate, proprio); una
“lista di proscrizione su base ideologica” – “come nel ventennio” aggiunge un
altro genio; “puzza di fascismo”. Sembra di risentire il Berlusconi di un tempo: “miseria, morte e terrore”. Certo, tutti
inoppugnabili campioni dell’antifascismo. Che avranno fatto le barricate quando
JP Morgan nel 2013 stigmatizzava l’eredità antifascista delle costituzioni dei
paesi del sud Europa rispetto alle riforme fiscali ed economiche, no?
Ma del resto fra questa allegra congrega la coerenza non è nelle priorità:
per uno è colpa dell’ “assemblearismo sessantottino” (nota forma di sedizione
fascisteggiante); per altri si tratta di un “manifesto di difesa della casta”,
generato da “baronie dell’università”. Poi chiaramente c’è il movente
prediletto dalle comari di paese: “l’invidia è una brutta bestia”, la lettera è
proposta da “bambini invidiosi” per un altro.
L’invidia sarà una brutta bestia, ed a quanto pare si è estesa a coorti di
eminenti studiosi. Al parere negativo dei firmatari – la statura di diversi di
essi, va ben precisato, è tale che i liberisti ammirati da tale sbracatissima
tifoseria non arrivano loro nemmeno ai lacci delle scarpe – si è aggiunta una
nota condivisa da alcune delle maggiori associazioni nazionali di studiosi
economici: AIEE – Associazione Italiana Economisti dell’Energia; AIEEA –
Associazione Italiana di Economia Agraria e Applicata; AISRE – Associazione
Italiana di Scienze Regionali; AISSEC – Associazione Italiana per lo Studio dei
Sistemi Economici Comparati; AMASES – Associazione per la Matematica Applicata
alle Scienze Economiche e Sociali; EACES – European Association for Comparative
Economic Studies; EPS – Economists for Peace and Security; IAERE – Italian
Association of Environmental and Resources Economists; IT&FA –
International Trade and Finance Association; SIdE – Società Italiana di
Econometria.
Il punto più divertente è che alla fin fine la richiesta dei
liberal-liberisti è naturale, e trova il suo fondamento nella essenza stessa
della democrazia: pretendere che nel ruolo di decisori pubblici vi sia qualcuno
che non solo abbia le competenze necessarie ma che esprima una simile visione
politica. Che è il motivo per cui i vertici politici sono scelti tramite
elezioni e non in base ad attestati di ortodossia o per nascita. Ma questo non
si può dire, perché fa crollare come un castello di carte la credibilità sulla
mitologia del “merito” e delle “competenze”: se i loro propugnatori ci
credessero davvero basterebbe vedere titoli e pubblicazioni e al MEF potrebbe
insediarsi un marxista; invece come tutti sanno – salvo chi ha passato su Marte
gli ultimi decenni – le nomine sono sempre un campo di battaglia durissimo, in
primis la censura da parte di Mattarella del prof. Savona quale
ministro, proprio per la visione politica che viene espressa. Quando devono
accedere ad un ruolo importante personaggi “sgraditi” (si pensi al cancan su
Barbara Lezzi, sul viceministro Castelli, su Di Maio, che ha fatto il pieno di
insulti densi di classismo) si tira fuori la storiella delle competenze; quando
i liberisti debbono piazzare i loro sodali allora vanno bene delle mediocrità,
e le critiche (di chi ha un profilo più alto) sono “invidia”. Un po’ come i
terroristi che se sono nemici degli Usa sono veri terroristi; se sono loro
amici sono dei “freedom fighters”. Magari lo diventeranno terroristi. Ma
dopo.
https://www.lafionda.org/2021/06/29/i-consulenti-liberisti-fra-incoerenza-e-ridicolo/
Lettera aperta
al Presidente Draghi sulla nomina dei cinque consulenti al nucleo tecnico
Nota della redazione: A fronte della nomina di consulenti del governo
in materia di politica economica cinque ultras liberisti, decine fra i più
accreditati studiosi del paese hanno indirizzato una lettera aperta a Draghi
sulla inopportunità di tale scelta. “Vi è una preoccupante presenza di studiosi
portatori di una visione economica estremista caratterizzata dalla fiducia
incondizionata nella capacità dei mercati di risolvere autonomamente qualsiasi
problema economico e sociale”, scrivono. Alcuni dei consulenti “non paiono
possedere i previsti requisiti di comprovata specializzazione e
professionalità, con riferimento ai temi su cui saranno chiamati a lavorare”.
In sintesi: non hanno le competenze necessarie.
A quanto pare il “governo dei migliori” (?!?) getta la maschera e mostra non
solo un orientamento mercatista marcato – in barba alle previsioni di “ritorno
al keynesismo” per incantare i polli; ma di farsi un baffo della storia delle
“competenze” e del “merito” per stipendiare dei profili di imbarazzante
mediocrità ma fedeli alla visione dominante – il mercato è bello e buono, lo
Stato serve solo come ossequiente regolatore e parafulmine.
Alla Fionda ci domandiamo: ma c’è un premio per chi aveva capito tutto ciò da
febbraio?
Lettera aperta al Presidente Draghi sulla nomina dei cinque consulenti al
nucleo tecnico
Nei prossimi mesi il governo si troverà ad affrontare la più difficile
sfida degli ultimi decenni indirizzando l’uso delle risorse del PNRR a sostegno
dell’economia italiana colpita dalle conseguenze dell’emergenza pandemica. In
questa delicatissima operazione è essenziale che l’esecutivo mantenga la
fiducia degli operatori economici, cittadini ed istituzioni nazionali ed
internazionali, acquisita anche grazie al prestigio del Presidente Draghi. Le
recenti notizie di stampa riguardo la nomina al Nucleo tecnico per il
coordinamento della politica economica presso il Dipartimento di Programmazione
Economica di cinque consulenti rischiano di danneggiare l’immagine di
competenza tecnica del governo e la fiducia nel suo operato. Oltre alla
omogeneità di genere e geografica (cinque uomini tutti operanti in Università e
Istituti di ricerca del Nord) che comunque andrà valutata nella completezza del
Nucleo tecnico, la cui composizione non è ancora nota, nella cinquina di
nominativi, accanto ad alcune figure di riconosciuta competenza, vi è una
preoccupante presenza di studiosi portatori di una visione economica estremista
caratterizzata dalla fiducia incondizionata nella capacità dei mercati di
risolvere autonomamente qualsiasi problema economico e sociale. Appare
paradossale che ci si prepari a gestire il più esteso piano di investimenti
pubblici degli ultimi decenni con una squadra di consulenti che in alcuni casi
non paiono possedere i previsti requisiti di comprovata specializzazione e
professionalità, con riferimento ai temi su cui saranno chiamati a lavorare.
Inoltre, alcuni fra i nominati sono noti per il sostegno aprioristico ad una
teoria che afferma l’inutilità, se non la dannosità, dell’intervento pubblico
in economia. Ancora, desta stupore la presenza tra i cinque nominati di
consulenti che rappresentano posizioni antiscientifiche che minimizzano la
questione del cambiamento climatico e l’urgenza di adeguate politiche
d’intervento, minando così la credibilità del governo riguardo il principale
pilastro delle politiche economiche europee dei prossimi anni che il governo
dovrà realizzare, in sintonia con il Green Deal dell’UE. Rispetto alla
questione del Mezzogiorno in alcuni casi le loro posizioni sono di scarsa
attenzione e di riduzionismo della rilevanza del problema, oltre che di
critica dell’efficacia dell’intervento pubblico italiano ed europeo a riguardo.
Tali preoccupazioni sono rafforzate dalla loro appartenenza a think-tank
liberisti dei quali non sono noti i finanziatori. I firmatari ritengono che il
governo Draghi per tutelare il suo prestigio nonché la sua efficacia operativa
dovrebbe riconsiderare alcune nomine ed avvalersi di collaboratori e
collaboratrici sempre di indiscussa competenza e obiettività sui temi trattati,
attenti al ruolo che gli investimenti del PNRR potranno avere nel contesto del
nuovo intervento pubblico in economia.
Per leggere l’originale con le firme cliccare qui: https://docs.google.com/document/d/1pyGoF4oGlzgYZIo9_87d5MGE3q7R6bPHH599xvOpQYA/edit?ts=60d0689e
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