Addio ad Angelo Del Boca, inviato speciale nella Storia - Alberto Negri
Non c’è scaffale di libreria in questo Paese dove non
si intraveda un suo libro. Come partigiano nell’Oltrepò e nella Val Trebbia fu
tra i liberatori d’Italia, un’Italia che poi lui, da storico, liberò dallo
stereotipo degli “italiani brava gente” coltivato durante un colonialismo
spietato ma che ci ostinavamo a raccontare diverso dagli altri. Da inviato
speciale del Giorno – diretto da un altro partigiano, Italo
Pietra – ci ha lasciato cronache dall’Africa e dall’Asia indimenticabili, come
indimenticabili sono i ritratti dei protagonisti di quel Novecento, da Nehru a
Gheddafi, che Angelo Del Boca percorse e scandagliò in profondità.
È stato il maggiore storico del colonialismo italiano,
il primo studioso italiano ad occuparsi della ricostruzione critica e
sistematica della storia politico-militare dell’espansione italiana in Africa
orientale e in Libia, e primo tra gli storici a denunciare i numerosi crimini
di guerra compiuti dalle truppe italiane durante le guerre coloniali fasciste.
Fu anche sempre presente nei momenti topici della
nostra storia: intervenendo a contrastare sui media versioni false del passato
e anche della cronaca contemporanea. Era il «nostro inviato» nella storia e
nell’attualità. Sul manifesto di ieri Salinari ricordava la
polemica con Montanelli sui raid con l’iprite in Etiopia. In Etiopia, Del Boca
incontrò più volte l’imperatore Hailé Selassié, che gli aprì il suo archivio
riservato. Del Boca scriverà un libro che diventò un best seller
internazionale II Negus. Vita e morte dell’ultimo Re dei Re. Nel
2014 l’Università di Addis Abeba gli conferì una laurea honoris causa in
storia africana rendendo Angelo Del Boca il primo italiano e il primo europeo a
ottenere questo riconoscimento dall’Etiopia dopo la seconda guerra mondiale.
Una stima che si è potuta leggere, affiancata a una serena critica, nel suo
ritratto dell’imperatore etiopico in cui Del Boca conclude: «Qualunque sia il
giudizio finale su Hailè Selassiè, la sua figura merita rispetto e
considerazione. È impossibile non provare un senso di grande ammirazione e di
riconoscenza verso l’uomo che il 30 giugno 1936, dalla tribuna ginevrina della
Società delle Nazioni, denunciava al mondo i crimini del fascismo e avvertiva
che l’Etiopia non sarebbe stata che la prima vittima di quella funesta
ideologia».
Ma del Boca non guardava soltanto indietro. Il suo
sguardo era puntato sempre anche sull’attualità. Criticò con forza i raid della
Nato in Libia nel 2011 di cui ancora oggi tutti paghiamo le conseguenze. E
intervenne anche con puntualità quando allora i media rilanciarono la fake
news di fosse comuni con migliaia di vittime. La sua precisazione fu
tagliente: «Innanzitutto è evidente anche dalle immagini che non si tratta di
fosse comuni. Il luogo poi non è la spiaggia ma il cimitero di Tripoli perché
si vedono un minareto e varie case che sono le ultime abitazioni della città,
proprio dove comincia il cimitero». Non aveva mai smesso di essere un reporter.
A Del Boca interessava appurare la realtà dei fatti, che fosse storia o
cronaca.
E fu anche il primo a far raccontare la storia
coloniale dai protagonisti e dai testimoni locali, non soltanto dalle fonti
italiane, sempre di parte e assi edulcorate, se non censurate. Basta sfogliare
alcune delle sue opere maggiori come Gli italiani in Libia ma
anche alcune meno conosciute. Nello scaffale della libreria trovo un volume che
forse è meno noto di altri, A un passo dalla forca, le memorie del
patriota libico Mohammed Fekini. Nel 2006 Del Boca ebbe l’opportunità di
consultare un documento di cui si ignorava l’esistenza, le memorie di Mohamed
Fekini, capo della tribù dei Rogebàn, che come Omar el Mukhtar in Cirenaica fu
uno dei più irriducibili oppositori alla dominazione italiana. Del Boca ci
offre con la narrazione lucida e precisa di Fekini una ricostruzione finalmente
completa e attendibile del periodo che va dal 1911, anno dello sbarco degli
italiani a Tripoli, fino agli anni Trenta. Di quella conquista della “quarta
sponda” che nell’arco di vent’anni fece 100mila vittime tra i libici.
Altro che italiani brava gente.
Nessun commento:
Posta un commento