Lasciar morire - Salvatore Palidda
Riassunto. Il testo descrive gli aspetti salienti dell’attuale congiuntura mondiale.
Attraverso una sintetica analisi del processo che ha portato al trionfo del
liberismo globalizzato, si mostra come a cominciare dal 1990 la guerra alle migrazioni
si inscriva in una vera e propria tanatopolitica (il lasciar
morire). Infatti, i dominanti designano le migrazioni come il nemico del XXI°
secolo perché temono che l’aumento della popolazione mondiale sia
incontrollabile e che si sovrapponga ai cambiamenti climatici provocando –
secondo loro – destabilizzanti invasioni di migranti nei paesi ricchi. In
realtà temono che si imponga la necessità di una redistribuzione egualitaria
della ricchezza mondiale che potrebbe permettere la sopravvivenza decente anche
di oltre 10 miliardi di umani a condizione anche di eliminare tutte le fonti di
distruzione del pianeta e innanzitutto l’estrattivismo di carbone, petroli,
gas, uranio e terre rare.
Come sempre, i disastri colpiscono molto di più le persone che sono prive
di protezione e anzi sono oggetto di persecuzioni da parte delle polizie, anche
perché non hanno i mezzi e le conoscenze necessarie per proteggersi. Che
si tratti di guerre, terremoti, tsunami, disastri industriali e di pandemie, il
rischio che la stragrande maggioranza delle vittime sia fra i più poveri e meno
protetti è sempre certo. Fra il quasi mezzo milione di morti negli Stati
Uniti a causa dell’attuale pandemia Sars Covid19 (a fine febbraio 2021) ci sono
ben poche o rarissime persone come Trump e i suoi pretoriani o come Bolsonaro o
Macron e altri dominanti. La maggioranza delle vittime è sempre costituita da
quella parte della popolazione costantemente inferiorizzata, razzializzata,
considerata “umanità a perdere” o “umanità in eccesso” o “umanità ormai
inutile” (come è notoriamente il caso degli anziani nelle case di riposo che
sono diventati covi di pandemia all’abbandono).
Come vedremo dopo i casi più drammatici – non a caso – sono quelli alle
frontiere dell’Europa, dove la guerra alle migrazioni si materializza sino
all’estremo di brutalità e di cinismo; lo stesso vale negli Emirati Arabi e in
Arabia Saudita dove gli immigrati privati di passaporto, rimasti senza lavoro
per la pandemia, non possono rientrare a casa e non hanno più né di che mangiare
né dove stare. Questa “modalità” di governo dell’“umanità a perdere” si
chiama tanatopolitica (il lasciar morire) e vedremo
perché oggi rischia di affermarsi come la modalità prevalente rispetto anche
alla tradizionale biopolitica (il lasciar vivere per meglio
sfruttare).
I più importanti “rivoluzione” liberista globalizzata nelle migrazioni
e nei confini dopo “rivoluzione” liberista globalizzata
La storia delle migrazioni è segnata da periodi di razzismo e rifiuto
violento e anche da periodi di integrazione e assimilazione pacifica nei paesi
di arrivo (ma sempre a costi morali e materiali molto alti). Lo sviluppo
capitalista del diciannovesimo e ventesimo secolo fu alimentato dalla
migrazione sia interna che internazionale.
Ma, dall’inizio del 1990, la migrazione è diventata lo spettro che
sembra terrorizzare i paesi ricchi come se fosse una minaccia particolarmente
pericolosa (anche perché buona parte dei media e dei vertici militari
e delle polizie fa l’amalgama col terrorismo). La definizione delle migrazioni
come minaccia (quindi un termine prettamente militare) di fatto è diventata
legittimazione della guerra permanente contro le migrazioni. Questo
giustifica la continua proliferazione di mezzi e forze militari e di polizia
destinati a tale scopo, nonché una serie di sofisticati dispositivi
tecnologici e il dispendio di enormi risorse economiche. Dopo la caduta
del muro di Berlino nel 1989, la proliferazione dei muri è stata spaventosa1.
Quando avvenne questa caduta del Berliner Mauer si contavano nel mondo 15
barriere fisiche, una decina in più rispetto a quante ne esistevano alla fine
della Seconda guerra mondiale: oggi queste sono 70, con altre 7 già finanziate
e in via di completamento2. Quella attribuita alle
migrazioni è diventata una delle minacce più gravi del ventunesimo secolo. Sta
qui il cambio di paradigma nella comprensione e nel trattamento delle
migrazioni e dei confini, provocando disperazione, tragedie e morti tra i
migranti.
Questo cambiamento nel paradigma delle migrazioni e dei confini si osserva
nella letteratura che ha subito un enorme sviluppo negli ultimi 20 anni.
Diversi autori hanno descritto i vari aspetti delle attuali drammatiche
situazioni migratorie. Tuttavia, gran parte di queste letture è parziale e costruita
come una reiterazione di lavori precedenti; le narrazioni seguono spesso un
modello di discorso dominante basato sulla “scienza delle migrazioni” del
diciannovesimo e ventesimo secolo, priva di una sua decostruzione e messa in
discussione (come insegnano Foucault e Sayad3). Questo cambiamento
nel paradigma della migrazione e dei confini spesso non è riconosciuto dal
mondo accademico a causa di due gravi lacune. In primo luogo, c’è stata
troppa poca attenzione dedicata alla comprensione delle conseguenze della
“rivoluzione” neoliberista globalizzata, iniziata negli anni ‘70 nel Nord
del mondo (fanno eccezione il lavoro di Sassen, 1999, 2008, 2014 e anche di
altri). La seconda lacuna è la mancanza di analisi della percezione tra
i dominanti della cosiddetta crescita incontrollata della popolazione
mondiale (specialmente nei paesi più poveri del Sud del mondo) e
della sua presunta sovrapposizione ai cambiamenti climatici. Questa
sovrapposizione suscita nelle élite il terrore che possa essere generatrice di “invasioni
pericolose” di migranti poveri nei paesi ricchi (Miller, 2017; Palidda, 2019).
Questo è il pauroso “spettro” che preoccupa le élite dei paesi dominanti ed è
la ragione principale del passaggio da una biopolitica delle
migrazioni favorevole all’integrazione dei migranti nella società di arrivo
(per meglio sfruttarli) alla tanatopolitica che
è lasciar morire (tesi che rimanda al lavoro di Michel Foucault, 2004 e 2005;
vedi anche Aradau e Tazzioli, 2020). Le migrazioni e le frontiere si spostano e
i migranti diventano “vite di scarto o spazzatura” (Bauman, 2003) o rimangono
intrappolati come “umanità in eccesso” destinata a essere smaltita come rifiuti
ingombranti o tossici.
Per comprendere appieno un tale cambio di paradigma, occorre guardare ciò
che effettivamente è mutato nelle migrazioni e nelle frontiere, nel contesto
che s’è sviluppato in particolare dal 1990 con lo sviluppo del neoliberismo
globalizzato. Oggi più che mai le migrazioni e le frontiere sono fatti
politici totali (reinterpreto qui il concetto classico di Marcel Mauss4).
Fatti politici totali non solo perché sempre al centro delle preoccupazioni
politiche anche se talvolta come tema correlato a quella della sicurezza, del
terrorismo e persino della criminalità organizzata. Ma anche perché scuote
profondamente l’immaginario etico e morale e quindi culturale di tutti i paesi
perché diventati tutti di emigrazione, di immigrazione e di transito. Non è
infatti casuale che ci sia un revival del colonialismo che è
appunto neocolonialismo piuttosto e post-colonialismo;
quest’ultima accezione presenta infatti alcune ambiguità e un approccio
culturalista che di fatto ignorano la realtà nuda e cruda del neocolonialismo
in tutte le sue dimensioni economiche, sociali, politiche e culturali e in particolare
la riproduzione di neo-schiavitù e della violenza estrema che le impone
producendo nessi inestricabili fra razzializzazione, sessismo e neofascismo.
La biopolitica delle migrazioni mirava a integrare i
“buoni” immigrati insieme al periodico rigetto, la razzializzazione e i
tentativi di eliminare i “cattivi immigrati” (Palidda, 2018a, 2018b). Gli
immigrati ancora oggi sono – in parte – tollerati se si relegano alla
condizione di inferiorizzazione, come “scimmie ammaestrate” o servi a
disposizione dei dominanti5. L’integrazione e ancor di più
l’assimilazione li trasforma spesso in lavoratori docili e talvolta in buoni
cittadini che pagano le tasse, e che sono anche pronti a morire nelle guerre
del nuovo paese della loro integrazione/assimilazione. I casi degli Stati Uniti
e della Francia sono esemplari di tali pratiche classiche di integrazione e
assimilazione degli immigrati. La migrazione è sempre stata essenziale per
lo sviluppo economico di questi paesi, che grazie anche al super sfruttamento
degli inferiorizzati sono diventati potenze economiche, politiche e militari
del mondo. Ed è grazie al continuo arrivo di flussi migratori che gli Stati
Uniti e altri paesi hanno avuto una grande crescita economica dal 1990 e hanno
superato la crisi del 2008. La popolazione degli Stati Uniti è infatti passata
dai 250 milioni del 1990 a quasi 340 milioni nel 2021, oltre a 11 milioni di
immigrati privi di documenti soggetti al super sfruttamento e alle
neo-schiavitù. Le migrazioni hanno quindi avuto un ruolo utilitaristico chiave:
questo paradigma migratorio è stato funzionale allo sviluppo della società
industriale governata dagli stati nazionali sovrani sino agli anni ‘70. Si
sfrutta infatti l’aspirazione all’emancipazione degli emigrati-immigrati che si
combina spesso con lo “spirito del capitalismo” e quindi del liberismo. Così
l’etnicizzazione dei migranti permette a caporali e power-brokers etnici
di sfruttare ancora di più i propri connazionali così come facevano le mafie
delle varie nazionalità negli Stati Uniti degli anni Venti e ancora dopo.
Le origini del cambiamento del paradigma migratorio classico sono emerse
dagli anni ‘70 in poi con l’accelerazione della rivoluzione neoliberista
globale.
Lo stop delle migrazioni per lavoro fu adottato dai paesi dell’OCSE
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel 1974,
dopo la crisi petrolifera del 1973. Ma l’immigrazione è continuata negli anni
‘70 e ‘80, soprattutto dopo la fine del regime di Salazar in Portogallo e di
quello di Franco in Spagna. Dalla metà degli anni ’80 l’Italia e la
Spagna sono diventati paesi di immigrazione ma in realtà quasi tutti i paesi
del mondo, sia al loro interno sia con l’estero, sono diventati paesi di
emigrazioni, immigrazioni o anche di transito. Le migrazioni sono proliferate
anche a seguito delle scelte delle dittature in vari paesi dell’America Latina,
Africa e Asia e poi soprattutto per il galoppante degrado delle condizioni di
lavoro e di vita. Da allora si intensificano le migrazioni dal Messico
e dall’America Centrale verso gli Stati Uniti così come quelle tra i Sud poveri
e i Sud ricchi fra i quali emergono gli Emirati e l’Arabia Saudita. Le
delocalizzazioni dai paesi ricchi verso il cosiddetto Terzo Mondo non hanno
affatto migliorato la situazione: hanno sempre portato in questi paesi
condizioni di lavoro invivibili, salari miserabili ma anche tante morti sul
lavoro (si ricordino i grandi disastri in Bangladesh, in Sri-Lanka e in tanti
altri paesi oltre che l’inquinamento spaventoso dappertutto in Asia, Africa e
America Latina).
Negli anni ’70 esistevano casi di accoglienza dei rifugiati sebbene per
motivi politici strumentali. Ricordiamo il fenomeno dei boat
people dal sud-est asiatico dopo la fine della guerra del Vietnam e le
conseguenze del regime di Pol Pot in Cambogia. Dopo il periodo della Guerra
Fredda, ci fu anche la successiva migrazione di massa dai paesi dell’Europa
orientale, cioè dopo il crollo dell’URSS nel 1991. Ma dal 1990
comincia l’escalation del rigetto degli immigrati insieme al
degrado crescente delle condizioni di lavoro e di vita di quelli che riescono
ad arrivare nei paesi ricchi.
In realtà dal 1990 al 2020 lo stop ufficiale delle migrazioni, la
carcerizzazione di una parte degli immigrati senza documenti, i respingimenti e
le espulsioni (Squire, 2016; Palidda, 2009) si combinano con la faccia ancora
più sporca delle pratiche del governo delle migrazioni: la regolazione tacita
dell’immigrazione irregolare per disporre dei neo-schiavi. In tutti i paesi
le polizie usano sia la gestione violenta, sia la gestione informale di lasciar
correre: negli Stati Uniti come nei principali paesi dell’Europa dell’Ovest
(Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna ecc.) la prassi prevalente è
che si tollera il lavoro nero, la neo-schiavitù, le condizioni di vita
indigenti degli immigrati senza documenti e allo stesso tempo la pronta
repressione violenta di chi osa ribellarsi a tali condizioni e reclama
l’integrazione regolare e pieni diritti6. In altre parole, la
tecnica del governo dell’immigrazione in tutti i paesi ricchi è di creare una
massa di manodopera “usa e getta” che viene costantemente rinnovata con nuovi
arrivi detti “clandestini” ma in realtà ben noti alle polizie, che li
gestiscono spesso insieme a caporali e vari brokers esperti
nel camuffare l’irregolarità. E tale sistema funziona anche per una parte dei
lavoratori autoctoni e anche nelle grandi imprese e nel cuore stesso delle
grandi città (vedi nota 7).
Così i migranti sono costretti all’irregolarità dalla partenza dai
loro paesi, lungo i tragitti spesso tragici per via marittima o per via
terrestre e poi nel paese di approdo sin quando non vengono di nuovo espulsi
come “rifiuti umani”. Le peripezie e le morti di queste persone non sono da
meno di quelle dei disperati che scappavano dalle persecuzioni e violenze dei
regimi fascisti e nazisti o dei superstiti che scappavano dal fronte nella
prima e nella Seconda guerra mondiale o che facevano parte della Resistenza
antifascista.
Come sempre il proibizionismo provoca morte: dalla fine degli
anni ‘80, decine di migliaia di migranti sono morti durante i tentativi di
migrazione per raggiungere i paesi ricchi (soprattutto ai confini degli Stati
Uniti e dell’Europa mediterranea).
Tutto ciò è avvenuto a seguito dello smantellamento di gran parte
dell’apparato industriale nei paesi più sviluppati nel nord del mondo,
e quindi il suo trasferimento nel sud del mondo a bassi salari, in paesi meno
regolamentati (con delocalizzazioni che hanno incluso anche le attività
terziarie come i call center). I paesi ricchi hanno così
sperimentato una minore necessità di lavoro di immigrati da
integrare/assimilare nella produzione stabile, e hanno optato sempre più per il
solo lavoro precario e/o neo-schiavizzato nelle economie sommerse (che oggi si
possono osservare nel cuore stesso delle grandi metropoli occidentali come
Londra, Parigi, Los Angeles e New York ecc.). Una tale trasformazione epocale è
stata resa possibile con la rivoluzione tecnologica nelle comunicazioni, nei
trasporti e nella produzione e anche dalla rivoluzione finanziaria (che
impoverisce ulteriormente il Sud del mondo).
La rivoluzione tecnologica ha innescato anche i
cambiamenti negli affari militari e di polizia che si traducono in mutamento
politico, cioè dei rapporti di forza fra dominanti e dominati. Lo sfruttamento
delle nuove tecnologie e dei dispositivi di sorveglianza e coercizione ha fatto
sì che polizie e militari (anche privati) si sovrappongono e collaborano sempre
più in nome della sicurezza totale che diventa continuum delle
guerre permanenti su scala globale e guerra sicuritaria su scala nazionale e
locale contro i migranti, rom, marginali e oppositori delle scelte liberiste.
Questo processo ha generato una maggiore asimmetria fra dominanti e dominati
sempre più privi di possibilità di protezione. Non è casuale che negli ultimi
40 anni la concentrazione di capitali e mezzi da parte della piccola minoranza
di ricchi è stata sempre maggiore mentre allo stesso tempo i meno abbienti e
gli svantaggiati sono diventati sempre più poveri e sempre più privi di
protezioni. Lo scenario così polarizzato ha rafforzato la crescente asimmetria
di potere. Ciò consente alle élite dei paesi dominanti di imporre ai dominati
sempre peggiori condizioni di lavoro, redditi più bassi e cattive condizioni di
vita, ciò in particolare a gran parte delle popolazioni dei paesi in via di
sviluppo o più poveri. Queste pratiche di dominio e di super sfruttamento si
trovano nelle economie sommerse che sono spesso attività per neo-schiavi
sottoposti con la violenza a tale condizione (fra i casi emblematici si veda
quanto avviene con le ditte del subappalto anche nelle grandi aziende statali e
para-statali7).
La revolution in military affairs e in police
affairs e di polizie e militari dello stato o anche privati oltre che
di mafie e caporali sono lo strumento coercitivo che impone e garantisce questo
ordine sociale di drastica disuguaglianza su scala mondiale, nazionale e
locale.
Un altro fattore che spiega questa trasformazione globale è l’intensificazione
delle pratiche neocoloniali attraverso l’eccessivo sfruttamento delle risorse e
la devastazione dei territori nel Sud del mondo. Questo processo include la
depredazione di grandi territori, le espulsioni delle popolazioni che vi vivono
(vedi in Asia, in America Latina e anche in Africa) per opera delle
multinazionali e a sua volta l’aggravarsi della crisi ecologico-politica
globale. Di conseguenza, tale processo provoca nuove migrazioni disperate di
persone che fuggono da territori devastati dove nemmeno un filo d’erba cresce,
né i pesci sopravvivono o possono essere pescati con i metodi tradizionali (si
pensi fra altri al caso del Senegal dove le grandi navi da pesca fanno razzia
della fauna locale lasciando in miseria i pescatori locali). La migrazione sussume
sempre più le conseguenze di disastri economici, ecologici sociali, culturali e
dunque politici provocati soprattutto nei paesi del Sud dalle lobby dei
paesi dominanti e dalle loro multinazionali e istituzioni finanziarie (Palidda,
2018a).
Queste conseguenze della rivoluzione economica neoliberale globale generano
i nuovi disastri umanitari e le vere minacce alla sicurezza umana descritte da
Gros (2008).
Ma va ricordato che la maggior parte delle migrazioni avviene oggi
tra i paesi poveri del Sud del mondo e i paesi ricchi (come gli
Emirati, l’Arabia Saudita dove il gli immigrati sono in casi estremi di
schiavitù e “vite da scarto”).
I migranti sanno bene che rischiano di morire lungo il tragitto e che se
approderanno da qualche parte probabilmente troveranno condizioni infelici ma
forse potranno cavarsela e comunque restare da dove si parte è impossibile.
Forse non è esagerato dire che il neocolonialismo di oggi è spesso peggiore di
quello conosciuto nel XIX° secolo e ancora nel XX°. Il degrado dei territori
e delle condizioni di vita in tutte le zone di emigrazione è spaventoso e
appunto spinge a emigrazioni disperate. E’ esattamente la conseguenza più
brutale e quasi genocida dell’arricchimento continuo e sfrenato delle
multinazionali e lobby.
La rivoluzione finanziaria ha facilitato l’ascesa della speculazione in
borsa e dei paradisi fiscali. Gli stati-nazione hanno perso il controllo di
queste manipolazioni finanziarie (in parte a causa dell’imperativo neoliberista
della deregolamentazione), e quindi la transnazionalizzazione finanziaria è
aumentata. Questo processo ha permesso anche l’ascesa globale della
potente troika finanziaria (cioè Banca Mondiale,
Organizzazione Mondiale del Commercio e Fondo Monetario Internazionale – FMI).
Inoltre, la troika europea (ossia la Commissione europea, la
Banca Centrale Europea e il FMI) così come il potere delle banche
multinazionali private dei paesi ricchi dominanti (Stati Uniti, Cina, Europa e
Giappone) svolgono tutti un ruolo chiave nella configurazione economica del
neoliberismo globale. L’impatto del potente sistema finanziario globale ha
causato un impoverimento ancora maggiore dei paesi meno sviluppati, in
particolare una distribuzione sempre più diseguale della ricchezza e del
reddito, e l’aumento della povertà.
Lo sviluppo del dominio economico liberista è di tipo transnazionale e si
impone a sprezzo di tutto e di tutti. La sottomissione dei paesi deboli passa
anche tramite la speculazione finanziaria (si veda “colpi di stato finanziari”,
Perkins, 2005).
A partire dagli anni ‘90, lo sviluppo del neocolonialismo economico
neoliberista globalizzato è diventato sempre più sfrenato e da allora provoca
sempre più disastri in parte persino per gli stessi paesi ricchi (si pensi
all’aumento di uragani e tsunami notoriamente dovuto ai cambiamenti climatici
provocati dall’aumento dell’inquinamento alimentato da consumo di carbone,
petrolio, gas e uranio cioè dall’estrattivismo). La mentalità alla base di
questo fenomeno è illustrata nei famigerati commenti del 1991 di Lawrence
Summers, allora capo del dipartimento economico della Banca Mondiale (in
seguito Segretario al Tesoro degli Stati Uniti), che scrisse in una nota
privata trapelata alla stampa:
I paesi africani sono in gran parte scarsamente inquinati. … Dobbiamo incoraggiare
una migrazione significativa dalle industrie inquinanti verso i paesi meno
sviluppati … la logica economica richiede che le masse di rifiuti tossici
vengano gettate dove i salari sono bassi ed è indiscutibile. (Estratti
pubblicati da The Economist (2 agosto 1992) e The
Financial Times (2 ottobre 1992) con il titolo “Salvate il pianeta
degli economisti”)
E aggiunge, sempre nel 1991:
Il rischio di un’apocalisse a causa del riscaldamento globale o di
qualsiasi altra causa è inesistente. L’idea che dovremmo imporre limiti alla
crescita a causa di limiti naturali è un errore profondo; inoltre è un’idea il
cui costo sociale sarebbe stupefacente se fosse applicata.8
Da allora, le “migrazioni disperate” sono aumentate in modo
esponenziale. È allora sbagliato parlare di
“migrazioni climatiche”, perché non è il cambiamento del clima in sé che
genera questo: si tratta di migrazioni che inglobano tutti i disastri provocati
dall’impatto delle multinazionali dei paesi dominanti nel Sud del mondo,
appunto il fatto politico totale del XXI° secolo (vedi Palidda, 2018b).
L’élite dei paesi dominanti sanno che le migrazioni disperate sono e
saranno sempre più la conseguenza delle attività delle multinazionali nei paesi
terzi e la conseguenza del loro accaparramento della ricchezza mondiale e
dell’accesso alle innovazioni tecnologiche e alle scoperte scientifiche. Sanno
che si potrebbe permettere di far vivere decentemente sul pianeta 8 o anche 10
miliardi di esseri umani, a condizione di eliminare l’estrattivismo (di
carbone, petrolio, gas, uranio e “terre rare”) e tutte le fonti e cause di
disastri sanitari e ambientali che devastano sempre più enormi territori e la
loro continua accumulazione di capitali. Non a caso tanti ultramiliardari del
mondo si professano filantropi, benefattori dei poveri facendo dire ai media
che regalano anche qualche miliardo. Nascondono così che questi capitali sono
il prodotto di neo-schiavitù in particolare nelle delocalizzazioni delle loro
attività sparse attraverso i paesi poveri o persino su navi nelle acque
internazionali. E non è neanche casuale che per scongiurare la minaccia
migratoria del XXI° secolo alcuni militari, geo-ingegneri ed esperti di nuove
tecnologie pretendono ideare anche le “guerre climatiche”, che ovviamente avrebbero
come obiettivo i paesi di emigrazione9. Fortunatamente queste
ipotesi sembrano – per ora – non realizzabili o a rischio di boomerang.
Ma è un errore ignorarle perché è di questi teoremi che si nutrono
complottisti, negazionisti, razzisti e fascisti vari.
L’attuale pandemia di Covid-19 rischia di essere una piaga ancora più grave
per i paesi poveri, cioè i paesi di emigrazione. Le conseguenze contemporanee
della pandemia Covid-19 per i migranti e le zone di confine, evidenziano in
modo drammatico le caratteristiche chiave del cambio di paradigma.
Tra le prime misure adottate da quasi tutti i governi nella crisi del Sars
Covid-19 c’è stata la chiusura delle frontiere (o la restrizione su larga scala
della migrazione) e l’abbandono di ogni dovere di aiutare i rifugiati, che ha provocato il
tragico aggravamento della situazione dei migranti situati vicino ai confini,
soprattutto nella zona di confine turco-greca, nei confini nei Balcani, in
quello spagnolo in Marocco (Ceuta e Melilla).
Col capitalismo globale, le pandemie circolano a livello internazionale con
facilità e prosperano non solo nelle grandi metropoli, ma si diffondono anche
in regioni scarsamente popolate. Prima dell’attuale pandemia negli
ultimi 20 anni ci sono state molte altre epidemie: Ebola, SARS, influenza
aviaria e suina. La mappatura globale dell’origine delle pandemie è esattamente
al centro della produzione capitalistica mondiale. Tuttavia, ci sono molti
altri luoghi in cui i rischi ambientali di mutazione dei virus e di diffusione
sono più elevati. La “morte nera”, o peste, iniziò in Mongolia, la “spagnola”
del 1918 si estendeva oltre i confini nazionali dalla Francia, si pensa che
l’HIV/AIDS abbia avuto origine in Africa così come il virus del Nilo
occidentale e dell’Ebola, mentre la dengue sembra fiorire in
America Latina. Le origini delle pandemie sono diverse, ma possiamo vedere
l’impatto economico e demografico dei virus diffusi oltre i confini, facilitato
dalla crescente globalizzazione nel corso degli anni. Nel caso della
pandemia da Covid-19, molti la chiamano una “vendetta” del sistema
estrattivista neoliberista violento, globale e deregolamentato. Alcune
recenti ricerche hanno dimostrato che c’è una netta correlazione fra
inquinamento e diffusione del Sars-Covid19 (così come in generale per le
malattie cardiovascolari e quelle di raffreddamento, cioè le influenze
stagionali, come concause). In tutti i paesi, una delle prime conseguenze della
pandemia è stata l’aggravamento delle condizioni di lavoro e di vita delle
persone più deboli e meno protette: lavoratori irregolari, senzatetto,
lavoratori precari, detenuti, donne migranti che si prendono cura della
popolazione vulnerabile (come collaboratori domestici e badanti) e, in
generale, persone con redditi incerti e bassi. È emblematico, ad
esempio, che la maggior parte dei decessi per Covid-19 negli Stati Uniti (più
del 70% in alcuni stati) sia tra afroamericani e ispanici (e a New York i tassi
di mortalità di ispanici e neri il doppio quelli dei bianchi e degli asiatici
americani10). È una pandemia razzista o l’ennesima
dimostrazione di discriminazione di classe, accentuata dalla salute pubblica
distrutta dal neoliberismo? Tra queste stesse categorie in Europa vediamo
ovviamente molti immigrati regolari e irregolari che continuano a lavorare in
particolare nella cosiddetta forza lavoro essenziale dell’economia, come la
raccolta di frutta e verdura nelle campagne, i lavori di pulizia, la cura degli
anziani, dei bambini, degli adolescenti e dei malati, spesso presso famiglie di
lavoratori non confinati in casa o con persone anziane da sole. Tra i tanti
paradossi, va segnalato il caso dell’Austria, il paese più chiuso
ermeticamente; l’urgente necessità di manodopera agricola per raccogliere
asparagi e patate nell’estate 2020 ha costretto il governo ad autorizzare
voli charter per il trasporto di lavoratori dalla Romania o da
altri paesi dell’Europa orientale. Anche nell’Italia più colpita l’emergere
della necessità di manodopera nelle campagne ha spinto il sindacato degli
agricoltori a fare pressione sul governo affinché autorizzi l’arrivo di almeno
300.000 immigrati (mentre secondo i sindacati bisognava regolarizzare i circa
600.000 immigrati privi di permesso di soggiorno). Al contrario, nell’aprile
2020 l’Italia ha usato la pandemia come scusa per chiudere i suoi porti alle
navi che soccorrevano i migranti in mare11.
La situazione degli immigrati rinchiusi nei centri di espulsione è ad alto
rischio quanto quella dei detenuti delle normali carceri. Ancora peggiore,
tuttavia, è la situazione dei migranti bloccati alle frontiere. Si tratta spesso
di persone indebolite, a rischio di malattie respiratorie, polmonite e
bronchite, e quindi particolarmente vulnerabili al Covid-19. Sono persone che
spesso sono costrette a vivere in spazi affollati e malsani e non ricevono
alcun aiuto o materiale medico di prevenzione (dispositivi di protezione
individuale (DPI), maschere, ecc.). La situazione non promette nulla di buono
per questa popolazione12. Al confine di Ventimiglia (Italia), la
Francia continua ad espellere i migranti in Italia nonostante il blocco dei
confini europei ora giustificato dalla situazione pandemica; nel frattempo le
persone espulse sono lasciate con rischi per la salute in condizioni di grave
rischio di contagio. Le condizioni dei campi profughi dove migliaia di persone
sono stipate in Grecia sono ormai un inferno. Ma nessuno parla più di rifugiati
o migranti e in particolare di bambini. Solo poche organizzazioni non
governative (ONG) continuano ad essere presenti vicino ai confini. La nave
Ocean Viking di Medici Senza Frontiere e SOS Méditerranée è riuscita a portare
in Sicilia 274 migranti. Ma subito il leader fascista-razzista Matteo Salvini
ne aveva chiesto l’espulsione13. Le autorità avevano deciso di
metterli in quarantena tutti insieme all’equipaggio, anche se non ci sono prove
che i migranti o gli operai della Ong siano stati colpiti dal virus. La
situazione è drammatica nei campi profughi nelle isole greche. Il primo caso di
Covid-19 nel campo profughi dell’isola di Lesbo è stato confermato nel marzo
2020. Ma le autorità di Atene non hanno fornito alcun aiuto concreto, nemmeno
ai minori non accompagnati. Secondo l’International Rescue Committee (IRC),
Human Rights Watch e il Danish Refugee Council molti bambini non sono
adeguatamente registrati e protetti e mancano le procedure di prevenzione delle
pandemie. Gli incendi nei campi sono frequenti. Un bambino è morto tra le
fiamme divampate in uno dei container dove sono alloggiati i profughi nel campo
profughi di Moria. Secondo Stephan Oberreit, capo della missione di Medici
Senza Frontiere in Grecia: “Questo incendio arriva solo due mesi dopo
l’incendio nel campo di Kara Tepe e solo cinque mesi dopo l’incendio nel campo
di Moria nel settembre 2019”14. E recentemente, alcune Ong hanno
dovuto ridurre la loro presenza o abbandonare l’area a causa delle violenze
contro gli operatori umanitari. Secondo il portavoce dell’UNHCR (Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati) Andrej Mahecic “ci sono più di
36.000 richiedenti asilo che soggiornano in centri di accoglienza in cinque
isole, originariamente progettati per 5.400 persone”15. La ONG
Medici Senza Frontiere teme che l’epidemia di Covid-19 si tradurrà in una nuova
ingiustificata ansia pubblica nei confronti di coloro che sono stati salvati in
mare e fungerà da “scusa per impedire a Ocean Viking di riprendere la sua opera
di controllo nel Mediterraneo centrale”16.
La chiusura quasi totale delle frontiere da parte di tutti gli stati non fa
che accentuare il divieto di migrare. Pertanto, ancora una volta, la nozione
di tanatopolitica è cruciale per comprendere questa situazione
– vale a dire per far morire queste persone senza diritti, viste e concepite
come “umanità in eccesso” (un concetto che è stato utilizzato principalmente
nel campo degli studi sull’olocausto, nella crisi umanitaria e negli studi sui
campi profughi). Così, la logica cinica e brutale delle frontiere del
neoliberismo economico globalizzato diventa, con tutti questi esempi
dettagliati, ancora più concreta nella tragedia umanitaria della migrazione
come illustrazione chiave di ciò che accade ai confini globali. L’esempio più
tragico è dato nel mese di dicembre 2020 e gennaio 2021 da quanto succede
nei Balcani. Il 23 dicembre il campo profughi di Lipa è stato
chiuso. Durante lo sgombero un incendio – probabilmente provocato apposta dalla
polizia – ha distrutto la struttura. Centinaia di profughi sono rimasti al gelo
e sotto la neve. A causa delle proteste della popolazione locale è stato
impossibile spostarli in altri campi. Ora a Lipa l’esercito sta allestendo le
tende, ma manca tutto: servizi, elettricità, acqua. “Lasciare i migranti a Lipa
è la peggiore delle soluzioni possibili”, spiega Daniele Bombardi, coordinatore
Caritas Italiana del Sud Est Europa, “siamo davanti ad una catastrofe
umanitaria”. La situazione si è ancor più aggravata con altri i respingimenti
violenti dalla Croazia17.
I migranti fanno la scommessa disperata, il game, come dicono
loro per indicare il passaggio tra il confine bosniaco e quello croato, ma
vengono scoperti dalla polizia croata, picchiati, torturati, derubati e poi
rispediti indietro18.
Conclusioni
Il cambiamento nel paradigma della migrazione e delle frontiere non può
essere compreso se non si tiene pienamente conto di due aspetti principali: 1)
le conseguenze del trionfo del liberismo globalizzato, 2) la paura dei
dominanti rispetto all’aumento della popolazione mondiale che considerano
incontrollabile e che pensano che si sovrapponga al cosiddetto cambiamento
climatico. Questi fatti hanno trasformato radicalmente la struttura economica,
sociale, culturale e politica del mondo a livello locale e globale; a partire
dagli anni Ottanta, siamo entrati in una nuova era (quella del capitalocene piuttosto
che dell’antropocene19). L’era precedente è stata segnata
dallo sviluppo capitalista più o meno inquadrato dagli stati-nazione con un
ampio ricorso alla migrazione interna e internazionale. Tutte le potenze
economiche, militari e politiche, guidate dagli Stati Uniti, hanno sviluppato
le loro società grazie a queste migrazioni, integrandole, assimilandole o
adattandole ad essere lavoratori docili e anche cittadini servili e rigettando
chi non sottostava a queste condizioni. Questo modello s’è imposto durante il
periodo della biopolitica: integrazione e assimilazione della
maggioranza degli immigrati e rigetto del “cattivo immigrato”, cioè di coloro
che non possono o non vogliono diventare lavoratori docili cittadini (cfr.
Preciado, 2020). Oggi, lo sviluppo economico ha molto meno bisogno di
lavoratori stabili rispetto a prima degli anni ‘70, ma di lavoro instabile,
segmentato e flessibile. Si richiede manodopera “usa e getta” o anche
schiavizzata nel cuore delle stesse grandi città del mondo ricco come
nelle campagne. L’abbondante disponibilità di manodopera immigrata insieme
all’erosione delle protezioni dei lavoratori offre ai datori di lavoro la
possibilità di abbassare i salari e peggiorare le condizioni di lavoro, a volte
schiavizzando. La fine dell’inserimento tradizionale dei migranti è
drammaticamente illustrata dalla precaria sopravvivenza dei migranti nei paesi
ricchi (compresi gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita).
La tendenza a scegliere l’opzione di far morire i migranti (la tanatopolitica)
è stata adottata da tutti i paesi ricchi; la pseudo democrazia occidentale è
sempre più eterogenesi delle promesse del secondo dopoguerra. La violenza
razzista, fascista e sessista è abitualmente praticata non solo da quella parte
delle polizie che ne abusa ma anche da una parte della popolazione che vuole
trarre profitto dalla negazione dei diritti degli immigrati o che ha paura del
declino della supremazia dei bianchi (vedi il caso dei seguaci dei Trump,
Bolsonaro, Erdogan, Orban, Salvini o Boris Johnson e anche Macron).
Approfittando della pandemia da Sars-Covid 19 tutti gli Stati dominanti
hanno accentuato la chiusura delle frontiere e la persecuzione dei migranti. La pandemia è
sfruttata per erodere sia le possibilità e occasione di agire politico, sia per
accentuare le azioni repressive, sia per rendere impossibile anche le attività
di solidarietà e di soccorso da parte delle ONG. Tutto ciò ancora di più in
nome della crisi economica derivante dalla pandemia. Nel frattempo le
multinazionali hanno scatenato la loro speculazione per i vaccini che quindi
non saranno disponibili per la popolazione povera di tutti i paesi del mondo.
Si produrrà così un ulteriore aggravamento delle condizioni di vita delle
popolazioni che già sono allo stremo e non potranno migrare.
L’ultima prova di cosa è diventata la guerra alle migrazioni è anche in un
articolo del quotidiano Le Monde20. In esso si rivela
che il canale pubblico tedesco ZDF con la collaborazione dell’ONG Corporate
Europe Observatory (CEO), hanno svolto un’indagine sui legami tra
l’Agenzia europea della Guardia-frontiere e l’industria della sorveglianza e
degli armamenti. Decine di documenti, a cui ha avuto accesso anche Le
Monde, dimostrano violazioni delle regole delle istituzioni europee
sul lobbismo, una mancanza di trasparenza e una quasi
totale assenza di preoccupazione per il rispetto dei diritti umani. Come da
anni documenta anche Statewatch, Frontex è di fatto diventato una sorta di
associazione di funzionari che flirtano anche con mercenari e bande criminali
(come quelle libiche) che pratica la tanatopolitica (il
lasciar morire). Di fatto i soldi dei cittadini contribuenti europei sono
spesi per un crimine contro l’umanità. E’ quindi auspicabile una mobilitazione
dei cittadini europei per la soppressione di questa Agenzia che sinora allegramente
viola quei diritti umani che l’Unione Europea dice di difendere. L’unica
soluzione sostenibile sarebbe l’equa distribuzione della ricchezza,
l’abolizione dei profitti, l’abolizione di tutte le attività devastanti che
causano disastri sanitari e ambientali e la maggior parte dei decessi per
malattie dovute a contaminazioni tossiche e condizioni di lavoro e di vita
insostenibili – cioè un drammatico aumento della insicurezza degli umani e di
tutto il mondo animale e vegetale.
Tuttavia, anche se la situazione tende a peggiorare nel breve e medio
termine, la migrazione continuerà inesorabilmente e, nonostante
gli ostacoli, i migranti riusciranno a integrarsi almeno parzialmente nei paesi
di arrivo / accoglienza. La resistenza dei migranti, così come di altre persone
vittime del dominio liberista e delle sue scelte è una questione di
sopravvivenza e l’espressione dell’aspirazione mai sopita all’emancipazione
economica, sociale, culturale e politica.
Articolo pubblicato con il titolo completo Il cambiamento radicale
delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare
morire. Biopolitica a sempre più tanatopolitica? su REMHU,
Rev. Interdiscip. Mobil. Hum., Brasília, v. 29, n. 61, abr. 2021, p.
33-48 https://www.scielo.br/j/remhu/a/gtxsN6kkDpbcHDzyNGGRL3z/
NOTE
1 Christian Elia. Oltre i muri. Storie di comunità divise.
Milieu Edizioni, 2019.
2 Disponibile su: <https://www.fanpage.it/attualita/tutti-i-muri-nel-mondo-30-anni-dopo-berlino/>.
3 Per la decostruzione del discorso dominante si veda innanzitutto l’opera di
Foucault e per gli studi sulle migrazioni si veda la critica di Sayad (2002)
alla cosiddetta “scienza delle migrazioni”.
4 Marcel Mauss (nipote di Durkheim) fu uno dei celebri padri
dell’antropologia; è a lui che si deve la revisione del concetto di “fatto
sociale” proposto da questo suo zio con “fatto sociale totale” che include
tutti gli aspetti di ogni fenomeno. Penso che oggi sia fondamentale rivisitare
questo concetto come “fatto politico totale” poiché tutti gli aspetti coinvolti
contengono una forte significato politico.
5 Vedi: <http://remhu.csem.org.br/index.php/remhu/article/view/523>.
6 Vedi: <http://remhu.csem.org.br/index.php/remhu/article/view/523> e
anche <http://www. socioscapes.org/index.php/sc/article/download/14/3/>.
7 Vedi:
<http://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare-di-gianni-giovannelli-e-turi-palidda/>;
Super sfruttamento e corruzione nel subappalto al cuore del sistema di
produzione Fincantieri:
<http://www.labottegadelbarbieri.org/modello-genova-ma-per-favore/>;
<https://blogs.media
part.fr/salvatore-palidda/blog/040320/immigres-hyper-exploites-dans-la-construction-du-siege-du-
monde-et-leur-revolte>; non mancano i casi di guardiani armati a Canary
Wharf, uno dei quartieri degli affari più importanti di Londra con patentino
comprato sottobanco: <www.bbc.com/news/
av/uk-england-london-32008983/security-guard-fraud-exposed-by-undercover-researchers>;
<www.bbc.com/news/uk-england-london-31876590> così come sempre più casi
di corruzione di funzionari e agenti delle polizie.
8 Lawrence Summers, in occasione dell’Assemblea annuale della Banca Mondiale
e del FMI a Bangkok nel 1991, intervista con Kirsten Garrett, “Background
Briefing”, Australian Broadcasting Company, secondo programma.
9 Vedi qui:
<http://effimera.org/negazionismo-scetticismo-o-resistenze-dove-va-lecologia-politica-
di-turi-palidda/>.
10 Vedi: <https://www.nytimes.com/2020/04/08/nyregion/coronavirus-race-deaths.html>.
11 Fra altre fonti vedi:
<https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/10/news/migranti_porti_chiusi_
per_il_coronavirus_casarini_il_covid_non_puo_essere_il_motivo_-253694321/>.
12 Vedi: <https://www.dailymail.co.uk/news/article-8092315/Germany-child-migrants-trapped-
Greek -islands-prioritise-sick-girls-14.html>.
13 Vedi:
<https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/21/coronavirus-la-francia-continua-a
-respingere- i-migranti-a-ventimiglia-ma-con-lemergenza-vengono-abbandonati-senza-precauzioni/5744702/>;
e
<https://www.notiziegeopolitiche.net/grecia-coronavirus-migranti-e-profughi-dimenticati-nei
-campi-di-lesbo-e-moria/>.
14 Vedi: <https://www.notiziegeopolitiche.net/grecia-coronavirus-migranti-e-profughi-dimenticati-
nei -campi-di-lesbo-e-moria/>.
15 Vedi:
<https://www.notiziegeopolitiche.net/grecia-coronavirus-migranti-e-profughi-dimenticati-
nei -campi-di-lesbo-e-moria/>.
16 Vedi> <https://www.notiziegeopolitiche.net/grecia-coronavirus-migranti-e-profughi-dimenticati-
nei -campi-di-lesbo-e-moria/>.
17 Vedi:
<https://www.avvenire.it/attualita/pagine/rotta-balcanica-respingimenti-a-catena-colpiti-
anche-i-disabili>.
18 Vedi: <http://www.vita.it/it/article/2021/01/04/bosnia-e-quei-migranti-che-sta-condannando-a-
morte/157883/>; Gostoli, Ylenia. Viaggio senza fine sulla rotta dei Balcani.
The New Humanitarian, Svizzera, 11.12.2020,
<https://www.internazionale.it/notizie/ylenia-gostoli/2020/12/11/migranti-
rotta-balcani>; in inglese qui:
<https://www.thenewhumanitarian.org/news-feature/2020/11/17/
europe-italy-bosnia-slovenia-migration-pushbacks-expulsion>.
19 Vedi:
<http://effimera.org/negazionismo-scetticismo-o-resistenze-dove-va-lecologia-politica-di-
turi-palidda/>.
20 Vedi:
<https://www.lemonde.fr/international/article/2021/02/05/nouvelles-accusations-contre-
frontex-l-agence-europeenne-des gardes-frontieres_6068963_3210.html>.
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L’attuale questione neocoloniale
versus la riparazione e il perdono del colonialismo – Salvatore Palidda
Premessa. Achille Mbembe, nato nel
1957, è un politologo e storico camerunese, ha fatto gli studi universitari in
Francia, è stato docente in molte università statunitensi prestigiose e ora fa
ricerca e docenza all’Università di Johannesburg (Africa del Sud). E’
considerato uno dei più importanti intellettuali critici del colonialismo e del
postcolonialismo. Fra le sue pubblicazioni in italiano: Postcolonialismo, Meltemi, 2005; Necropolitica, Verona : Ombre Corte, 2016; Emergere dalla lunga notte. Studio sull’Africa
decolonizzata, Roma : Meltemi, 2018; Nanorazzismo.
Il corpo notturno della democrazia, Bari : Laterza; 2019; Critica della ragione negra, Como : Ibis,
2013/2019.
In
questo testo critichiamo la sua “dimenticanza” della cruciale importanza della
questione neocoloniale, ossia di quella riproduzione continua, genocida e ultra
devastatrice del vecchio colonialismo, fatto
politico totale che mette a nudo l’ipocrisia e l’impostura assoluta
della discussione sulla riparazione e sul perdono che i paesi ex-colonialisti
pretendono gestire per “pulirsi” la faccia. Peraltro questa questione è
particolarmente importante in Italia dove sia la discussione sul passato
coloniale sia sul neocolonialismo appare assai marginalizzata se non totalmente
ignorata.
* * *
Nella recente intervista con Le Monde, Achille
Mbembe sembra dimenticare quello che lui stesso ha chiamato brutalismo e la necropolitica. La domanda cruciale è: quali
potrebbero essere i giusti risarcimenti e perdoni che gli stati coloniali
dovrebbero assumersi di fronte alle popolazioni vittime della loro
colonizzazione e di fronte agli Stati dei paesi ex coloniali senza negoziare
l’abolizione del neocolonialismo?
Nell’intervista
a Le Monde Achille Mbembe adotta osservazioni, diciamo vaghe e oltremodo
moderate, soprattutto rispetto a quanto ha scritto sul Brutalismo (2020). Forse anche perché
ha accettato di essere nominato da Macron per preparare il vertice Africa-Francia
previsto per ottobre 2021 a Montpellier. Non discuteremo qui questa scelta che
appare alquanto inopportuna se non poco coerente visto che di fatto la Francia
(di Macron) da tempo non lesina consulenze con le quali pretende edulcorare la
sua storia sia rispetto all’Algeria (con il criticato rapporto del celebre
storico Benjamin Stora (https://www.internazionale.it/opinione/pascal-blanchard/2021/01/26/francia-algeria-stora)
giustamente criticato dallo storico critico del colonialismo Olivier Le Cour
Grandmaison (https://blogs.mediapart.fr/olivier-le-cour-grandmaison/blog/280121/sur-le-rapport-de-benjamin-stora-le-conseiller-contre-l-historien),
per non parlare della celebrazione di Napoleone che oltre ad essere fanatico
guerrafondaio, fra altro ripristinò la schiavitù che era stata abolita dalla
rivoluzione insieme alla discriminazione razziale nelle colonie il 28 marzo del
1792e il 4 febbraio del 1794. Fu il primo Stato al mondo ad abolire
completamente la tratta degli schiavi, grazie all’opera grandiosa di Toussant
Louverture; ma Bonaparte non tardò a ristabilirla nel 1802.
Allora,
oltre al contenuto dell’intervista rilasciata da Mbembe a Le Monde si pone
anche la questione se sia corretto che un intellettuale critico del potere
accetti proposte da un potere che palesemente vuole riverniciare se non
addirittura rendere onore al suo passato e soprattutto nega totalmente la sua
continuità nel presente. Non riprendiamo qua la lunghissima serie di orrori che
la Francia ha commesso dopo la fine ufficiale del colonialismo sia nei rapporti
coi paesi suoi ex-colonie, sia nelle operazioni finanziarie e militari in
Centrafrica durante i governi delle destre e durante i due settennati di
Mitterrand, quello di Hollande e ora quello di Macron.
La
questione più importante è: quali potrebbero essere i giusti risarcimenti e
perdoni che gli Stati coloniali dovrebbero assumersi nei confronti delle
popolazioni vittime della loro colonizzazione e nei confronti degli Stati dei
paesi ex coloniali? Si tratta quindi di due questioni distinte perché è
fuorviante equiparare la popolazione e le vittime e gli Stati. E’ risaputo che
questi ultimi possono cavarsela negoziando risarcimenti monetari e accordi
commerciali.
La
domanda fondamentale che Mbembe purtroppo non pone (disgraziatamente dimentica
di porre?) è che il colonialismo non è affatto finito! Siamo in pieno nel
contesto di un neocolonialismo imposto dalla gigantesca asimmetria tra i
dominanti (i paesi più ricchi, ma anche i gruppi finanziari e le
multinazionali) e i dominati. Questo neocolonialismo è praticato non solo dai
paesi ex coloniali e dai loro gruppi dominanti su scala planetaria, ma anche
dai paesi che non erano coloniali (ad esempio Cina, Israele, Arabia Saudita
ecc.). La ripartizione della ricchezza mondiale mostra che i paesi dominati
soprattutto in Africa, in America Latina e Centro America e in Asia sono di
fatto ancora più impoveriti, oltre a essere colpiti dall’alta mortalità per
fame e assenza di cure elementari e dalle guerre “locali” istigate dai paesi
dominanti. Si pensi anche alla diffusione del land
e water grabbing. Le delocalizzazioni diffuse in tutti i paesi terzi sono
notoriamente realtà di neo-schiavitù e spesso di disastri (ricordiamo fra altri
quelli emblematici di Bhopal nel 1984 e quello del Rana Plaza a Dacca nel
2013).
Allora
che senso ha parlare solo di riparazione e memoria? Il «debito della vita,
della verità e della memoria» – e questo Mbembe lo sa benissimo – questo triplo
debito si riproduce ogni giorno a causa del neocolonialismo!
Ecco
perché se ci sono delle possibilità per negoziare riparazioni e perdono, si
tratterebbe innanzitutto di fermare le pratiche neocoloniali non solo in
relazione ai genocidi e alle distruzioni coloniali del passato. E il nuovo
genocidio dei migranti da parte della tanatopolitica praticata dai paesi
dominanti e in particolare da Frontex è senza dubbio uno dei primi effetti di
questo neocolonialismo (vedi il cambiamento radicale delle politiche
migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire – dalla biopolitica a sempre
più tanatopolitica: https://www.scielo.br/j/remhu/a/gtxsN6kkDpbcHDzyNGGRL3z/).
E’
impensabile che nel caso della Francia – come degli altri paesi neocoloniali –
si parli di riparazione e perdono rispetto al passato coloniale dal XIX° secolo
sino alla fine del colonialismo (l’indipendenza dell’Algeria fu nel 1962! ma
questo paese era territorio francese al pari delle Antille, della Nuova
Caledonia ecc. che sono ancora territori francesi) quando questo paese ha
continuato e continua a praticare un dominio neocoloniale senza lesinare metodi
e mezzi del tutto simili a quelli del “vecchio” colonialismo (strangolamento
finanziario, scambi diseguali, invadenza, brutalità e massacri militari diretti
e indiretti).
Per
certi versi ancora più grave è il caso dell’Italia dove la questione delle
devastazioni e dei genocidi delle popolazioni colonizzate da questo paese nel
XIX sec. e durante il fascismo è posta molto raramente e di fatto totalmente
ignorata dalla stragrande maggioranza della popolazione, dagli insegnanti e dai
media al punto che uno dei giornalisti ancora considerato un maestro di questo
mestiere era Montanelli, un ex soldato coloniale che diceva che era
assolutamente normale aver comprato in Etiopia come moglie (di passaggio) una
ragazzina di 12 anni per 500 lire più un cavallo e un fucile. Ma Berlusconi
aveva detto che l’Italia aveva pagato il debito di guerra con la Libia durante
l’accordo con Gheddafi che era venuto a Roma con le sue tende e il suo enorme
seguito.
Nel
frattempo, le multinazionali italiane stanno contribuendo largamente a
provocare disastri ambientali, economici e sociali in diversi paesi
dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (basti pensare a Benetton in
Amazzonia, all’ENI in Libia e altrove, alle esportazioni di armamenti e rifiuti
ovunque e recentemente anche in Tunisia. E soprattutto basti pensare al caso
emblematico della Somalia: l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia
(AFIS), iniziò nel 1950 e terminò nel 1960. Ma militari e uomini d’affari oltre
che criminali e servizi segreti italiani hanno continuato a fare e sfare in
Somalia… (ricordiamo fra altro l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin…).
La cosiddetta cooperazione fra Italia e paesi terzi, così come quella di altri
paesi dominanti, è sempre stata asservita agli interessi delle multinazionali
italiane e spesso diventata promozione della vendita di armamenti italiani. Ed
è noto che le missioni militari italiane all’estero coincidano sempre con
interessi precisi di imprese e multinazionali italiane.
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