Il cosiddetto “sviluppo sostenibile”, in Italia, ha da sempre un andamento altalenante: quando il piatto piange, le tasche sono vuote e bisogna accontentarsi del poco che c’è, allora la necessità può diventare virtù, e qualche progetto benemerito vedere la luce; non appena però si profilano all’orizzonte fondi sostanziosi, finanziamenti europei e soldi a pioggia, subito la sostenibilità torna ad essere soltanto una foglia di fico, un paravento retorico, dietro al quale innalzare opere inutili e dannose. Prendete ad esempio il settore del turismo: in tempi di vacche magre, un sindaco di montagna potrà anche convincersi a investire sulla rete dei sentieri, l’ospitalità diffusa, le produzioni locali, i cammini storici, il paesaggio. E pure questo non senza contraddizioni, con il pacchetto vacanze nell’antico borgo venduto come se fosse un soggiorno all-inclusive al Club Med, col vino rosso al posto del mojito e le faggete invece della barriera corallina. Ma lasciate che quel sindaco annusi l’odore della grana, di un bando che si sblocca o di un imprenditore che mette mano al portafogli, ed ecco che torneranno in pista gli impianti di risalita, le grandi strutture ricettive, i bob a rotaia e tutto l’immancabile luna park d’alta quota, ad uso e consumo di chi sta in città e ha denaro da spendere. Eppure, nonostante l’inversione di marcia, si continuerà a sbandierare un grande impegno “per rispettare l’ambiente”, fingendo che non ci sia contraddizione tra il piano B per quando si era poveracci e quello adatto alla nuova, insperata liquidità. Anzi: i risultati ottenuti col primo verrano esibiti come un lasciapassare verde per il secondo.
Con
l’istituzione del fondo Next Generation EU e l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, questi
ingranaggi si rimettono in azione, in ogni ambito, come un motore tenuto al
minimo ma pronto a ripartire, tanto più vorace quanto più alta è l’entità della
cifra da macinare.
Le associazioni più attive sui territori segnalano già una schiera di mostri
pronti ai blocchi di partenza, in attesa di una rapida verniciatura green. Proprio su questa vorremmo concentrare lo
sguardo, chiedendoci come funzioni la macchina del consenso che permette di
presentare interventi inutili, superati e di corto respiro come invece
essenziali, sostenibili, innovativi e frutto di una vision al passo coi tempi.
Per farlo, torniamo
a occuparci del nuovo impianto previsto sul Corno alle Scale, la montagna più alta
dell’Appennino bolognese, nota per aver visto i primi slalom di Alberto Tomba.
In questo caso, non si tratta (ancora) di un finanziamento da Recovery Fund, ma
i trucchi retorici che vogliamo analizzare sono presenti al massimo grado,
vista e considerata l’assurdità massima di ampliare un comprensorio sciistico
sull’Appennino, sebbene cali, di anno in anno, la materia prima fondamentale
per gli sport invernali da discesa: la neve.
In estrema sintesi, il comune di Lizzano in Belvedere e
la Regione Emilia-Romagna sostengono a spada sguainata la costruzione di una
nuova seggiovia, che impatterebbe una prateria d’altura, ancora libera da cavi
e piloni, in una zona tutelata da un Parco regionale e dalla Rete Natura 2000.
Il costo dell’intervento sarebbe di quasi 6 milioni di euro (pubblici) per poi
dare in gestione tutta la baracca a un “pool di imprenditori, manager,
professionisti e realtà locali diverse”, come lo
definisce la newsletter della Città Metropolitana di Bologna.
Contro questo progetto, a gennaio, si è costituito il comitato “Un altro Appennino è possibile”, che dopo aver
raccolto più di
15 mila euro con un crowdfunding, ha depositato un ricorso al TAR,
chiedendo di sospendere l’iter di approvazione dei lavori, dal momento che
questo non prevedeva nemmeno una Valutazione di Impatto Ambientale, che avrebbe
invece fatto emergere diverse magagne. Il Tribunale amministrativo ha respinto
la richiesta, con un’ordinanza del 13 maggio.
Nel mentre, l’assessore regionale Andrea Corsini ha
invitato il comitato a un incontro “per una illustrazione del progetto e del
suo percorso autorizzativo” (non certo per ascoltare critiche e proposte.) A
quell’incontro, come rappresentante del comitato, era presente anche Wu Ming 2.
Incrociando le frasi pronunciate in quella sede, con le motivazioni
dell’ordinanza del TAR e i comunicati apparsi sui siti istituzionali, si
ottiene un quadro molto interessante degli artifici retorici che ci interessano
e che non riguardano soltanto il caso specifico del Corno alle Scale, ma più in
generale tutte le Opere Dannose e Inutili (ODI),
grandi o piccole che siano.
Eccoli nel dettaglio.
1) La nuova ODI non è mai davvero nuova. Se
possibile, anche un nuovo quartiere residenziale verrà descritto come un
ampliamento del rione vicino, o dell’intera città. In passato, con la stessa
ipocrisia, una nuova ferrovia ad Alta Velocità è stata definita
“quadruplicamento veloce della tratta ferroviaria Bologna – Firenze”, mentre la
nuova autostrada che scavalca l’Appennino è nota come “Variante di Valico”. Nel
caso del Corno alle Scale, secondo il TAR, la nuova seggiovia “appare
annoverabile quale modifica o estensione dell’attuale impianto sciistico”.
Si sa che la lingua italiana parlata dai comuni mortali e quella scritta nei
codici – il cosiddetto “burocratese” – sono due idiomi piuttosto diversi.
Le parole “nuovo”, “modifica” ed “estensione” potrebbero avere quindi un
significato differente se pronunciate da un normale cittadino o nell’aula di un
tribunale.
Tuttavia, ecco un esempio su cui può essere utile confrontarsi: se decido di
abbattere un muro, alto due metri e largo uno, e di costruire nello spazio
lasciato libero un altro muro, alto quattro metri e largo due, posso dire di
aver “modificato” oppure “esteso” il vecchio muro, benché di quello non sia
rimasto nemmeno un mattone? Non si tratta invece di un vero e proprio “nuovo”
muro, anche perché più ingombrante del precedente?
Il nuovo impianto che incombe sul Corno alle Scale è nuovo com’è nuovo quel muro:
ha piloni nuovi, cavi nuovi, nuove basi di cemento e ben tre nuove stazioni
(una di partenza, una di testa e una intermedia).
Perché allora definirlo una semplice “modifica o estensione”?
Qui, come sempre, le ragioni non sono mai soltanto comunicative. Alla base, ci
sono questioni molto materiali. Un’opera “nuova” richiede verifiche, appalti,
bandi e procedure diverse rispetto a una che già esiste ma viene solo
modificata.
Se fosse “nuova” la seggiovia quadriposto del Corno alle Scale dovrebbe
superare una Valutazione di Impatto Ambientale. Come “estensione”, invece, può
farne a meno.
2) La nuova ODI non solo estende o modifica un’opera
precedente, ma se possibile la “sostituisce”. Anzi, ne sostituisce
più di una: se sul territorio ci sono strutture fatiscenti, che andrebbero
abbattute, queste verranno eliminate nel contesto dei lavori della nuova opera,
così da sostenere che “grazie ad essa” si è liberato il paesaggio da quelle
antiche brutture. E’ la logica delle famigerate “opere compensative”, solo giocata
per sottrazione: non la sede scolastica tanto attesa costruita grazie alla nuova autostrada, ma il vecchio
impianto di risalita ormai fuori uso cancellato grazie al
nuovo impianto. Nelle parole del dott. Valerio Marroni, responsabile del
servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale della
Regione Emilia – Romagna, la nuova seggiovia sul Corno “va in sostituzione
dell’impianto esistente, con un plus che
consente di eliminare la sciovia sul crinale che sarebbe rimasta ad arrugginire
per chissà quanti anni.”
Anzitutto,
sarebbe più corretto spiegare cosa s’intende per “sostituzione”. Se costruisco
un’autostrada sopra tre sentieri, ha senso dire che li ho sostituiti con un’autostrada? La nuova seggiovia
insisterebbe, per un tratto, su un tracciato sovrapponibile (ma non identico) a
una vecchia (“La Direttissima”), e per oltre duecento metri lineari – con
almeno tre piloni e una nuova stazione di testa – su un versante di cento metri
di dislivello ancora intatto.
Sarebbe più corretto spiegare che lo skilift del Cupolino – “la sciovia sul
crinale” – è fermo da anni (anche a causa del vento) e ha raggiunto nel 2017 il
termine previsto dalla legge per la sua “vita tecnica”. In altre parole, è un
rottame. Quindi doveva già essere smantellato, come previsto dalle misure
specifiche di conservazione della SIC/ZPS in cui si trova (“Monte Cimone, Libro
Aperto, Lago Pratignano”). Non è “un plus” che lo si
elimini adesso, “grazie” al nuovo impianto, è
un illecito che sia rimasto lì fino ad ora.
In ogni caso, smantellandolo, si eliminerebbe solo il suo impatto visivo, non
certo quello più generale. L’area su cui insiste non tornerebbe mai “come
nuova”, soprattutto se, per togliere i piloni, si procederà con un cantiere a
terra (l’alternativa sarebbe l’elicottero, ma il progetto… sorvola la
questione).
Infine, sarebbe più corretto dire che tutta l’operazione comporterà un
gigantesco cantiere, anche laddove il tracciato del nuovo impianto si
sovrappone a quello della vecchia seggiovia. Di nuovo, il termine “sostituire”
è ingannevole: si tratta di una sostituzione che non avverrebbe per magia, ma
attraverso lavori che andrebbero ad ampliare anche gli impatti già esistenti.
3) La nuova ODI, sotto un qualche aspetto, è sempre meno impattante
di quella che estende, modifica o sostituisce. Questo aspetto verrà
evidenziato e gonfiato a dispetto di tutti gli altri. Sergio Polmonari, sindaco
di Lizzano in Belvedere, nell’incontro col comitato del 3 maggio 2021 ha
esposto ben quattro motivi per considerare il nuovo impianto una soluzione di
minore impatto.
i) “il
Cupolino arriva sopra il Lago Scaffaiolo, la sua stazione di arrivo è sul
crinale”, mentre quella del nuovo impianto sarebbe a una quota più bassa.
Ma la quota di arrivo è davvero un criterio di valutazione corretto?
Come detto, lo skilift del Cupolino era già condannato. La sua eliminazione non
è un benefit di questo progetto, anche perché quella sciovia non è nemmeno più
un impianto di risalita del comprensorio: è solo un ammasso di ferraglia. Se la
si vuole eliminare, lo si può fare benissimo anche senza costruirne una nuova,
da un’altra parte.
Perché questo è il punto: sarà anche vero che la stazione d’arrivo del Cupolino
(minuscola, avete presente uno skilift?) si trova a 1850 metri sul livello del
mare, mentre la nuova stazione d’arrivo (molto più grande, avete presente una
seggiovia quadriposto?) si trova cento metri più sotto, ma la nuova stazione si
trova anche in un contesto diverso, sconosciuto agli impianti e molto più
visibile – fermo restando che l’ambiente non si riduce a un bel panorama da
contemplare o “rovinare”.
ii)“La somma
della lunghezza dell’impianto «Direttissima» e del «Cupolino» è di gran lunga
più lunga dell’impianto nuovo che si va a realizzare.”
Non aggiungiamo altre considerazioni a quelle già fatte sul rapporto istituito,
in maniera ingannevole, tra i tre impianti (quello “nuovo” che sostituirebbe gli altri due).
In ogni caso, la valutazione dell’impatto di un impianto non è questione di
metri lineari: dipende quali metri
sono, dove si trovano, in che contesto.
iii) “Il
numero di piloni che interessa attualmente la nostra montagna con i due
impianti è di cinque, sei piloni in più rispetto a quello che andremo a
realizzare”
Quest’affermazione si basa sempre sull’idea che il nuovo impianto sostituisca i
due che verranno eliminati. Ribadiamolo un’altra volta: i piloni eliminati del
Cupolino non sono comunque da conteggiare, perché li si doveva eliminare a
prescindere.
Inoltre, è del tutto ingannevole contare i piloni come se quel conto desse la
misura dell’impatto. I piloni del nuovo impianto non coincidono con quelli del
vecchio, anche laddove il tracciato è simile, per non parlare dell’area dove
adesso, semplicemente, non c’è nessun pilone, nessun impianto.
iv) “Ci
teniamo molto a eliminare la partenza del Cupolino, che è una stazione di
partenza a diesel, mentre avremo energia pulita, energia elettrica, per il
nuovo impianto”
Vale quanto detto in precedenza rispetto all’impianto del Cupolino, la cui
stazione a diesel non potrebbe in ogni caso ripartire e dovrebbe essere
eliminata a prescindere dal nuovo impianto.
E’ evidente a chiunque che la rimozione del Cupolino e delle sue strutture –
già comunque prevista – viene usata per giustificare meglio la costruzione
della nuova seggiovia quadriposto, mentre quella vecchia, la “Direttissima”,
potrebbe continuare a svolgere il suo lavoro fino al 2039 (termine della sua
“vita tecnica”), e quindi non si vede il motivo di mandarla in pensione in
anticipo.
Infine, bisognerebbe ricordare al sindaco Polmonari che “energia elettrica” non
è affatto un sinonimo di “energia pulita” (ammesso che quest’ultima esista).
4) La nuova ODI ha sempre più di un obiettivo, non si
limita mai a perseguirne uno soltanto, il più evidente. No. Direttamente o
indirettamente, le sue ricadute positive saranno molteplici, e se possibile:
sociali, benefiche, disinteressate. L’impianto eolico che massacra un crinale
sarà corredato di tabelloni informativi e didattici sull’energia rinnovabile,
ad uso delle scuole. Il gigantesco cantiere porterà lavoro. La cattedrale nel
deserto diventerà il simbolo della rinascita di un’area negletta.
“La nostra idea è di rendere il Corno alle Scale a portata d’uomo,
indipendentemente che uno avesse disabilità o meno. Vogliamo realizzare un
impianto che abbatta le barriere architettoniche. Che permetta a chiunque di
godersi della bellezza incontaminata dei nostri territori, quali il Lago
Scaffaiolo o il crinale che interessa quell’area” (S. Polmonari, sindaco di
Lizzano in Belvedere, durante l’incontro del 3 maggio 2021)
L’uso strumentale dei diritti della disabilità è un trucco talmente sgamato che
tra gli slogan delle associazioni impegnate in quel campo c’è il famoso “Nihil
de nobis, sine nobis” (Niente su di noi, senza di noi”).
Sorvoliamo poi sull’equiparazione tra una montagna e una “barriera
architettonica”: con le attuali seggiovie, si può già raggiungere la vetta del
Corno alle Scale dal parcheggio del Cavone, e godere di eccezionali bellezze.
Basterebbe adattare quell’impianto per permettere a chiunque di arrivare lassù,
senza bisogno di costruire una nuova seggiovia quadriposto. Perché è difficile
sostenere l’idea di rendere accessibili “bellezze incontaminate”, quando la
stazione di testa e i piloni del nuovo impianto andrebbero a contaminare
proprio quelle bellezze. Nessuno si sognerebbe di installare un ascensore
esterno sulla torre degli Asinelli, per permettere a tutti di salire in cima
solo schiacciando un bottone. Perché in montagna non dovrebbe valere lo stesso
principio?
5) Negare l’evidenza è forse un espediente troppo
generico per elencarlo qui, ma ci dispiacerebbe non riportare le parole
dell’assessore Corsini: “Sembra che non debba mai nevicare nel nostro
Appennino, ma abbiamo visto che quest’anno è nevicato anche molto. Lo dico
perché una delle obiezioni che vengono fatte è che non nevica più nel nostro
Appennino. Lo dico perché non ci sono delle verità assolute rispetto alla
climatologia e alla meteorologia.”
Bando alle verità assolute, ci mancherebbe! Però qualcuno dovrebbe spiegare
all’assessore la differenza tra clima e meteo: non basta citare una giornata
fredda per contrastare la tesi del riscaldamento globale, e non basta ricordare
qualche grossa nevicata per mettere in crisi rilevazioni di ben più lungo
periodo. Le quali ci dicono che le precipitazioni nevose, sull’Appennino, sotto
i 2000 metri di quota, sono in diminuzione, e che il manto nevoso si mantiene
per un tempo minore. Il destino delle stazioni sciistiche che operano in queste
condizioni è quello di reggersi sulla neve artificiale, cioè su una scelta del
tutto insostenibile, anche perché la neve, per quanto artificiale, ha il brutto
vizio di sciogliersi a una certa temperatura.
6) La nuova ODI dev’essere il più possibile d’interesse e di utilizzo
generale, non parziale e limitato. Della ferrovia ad Alta
Velocità Bologna – Firenze si disse che avrebbe unito le due città come “le
fermate di una metropolitana”, per suggerire che ne avrebbero beneficiato molte
più persone di quante non fossero quelle realmente interessate da un
trasferimento veloce sulla linea Milano – Napoli. Dell’impianto di risalita sul
Corno alle Scale, si sottolinea allora che funzionerà “anche d’estate” senza
tener conto che in quella stagione il punto d’arrivo della nuova seggiovia,
cioè il Rifugio Duca degli Abruzzi al Lago Scaffaiolo, è già preso d’assalto,
visto che lo si può raggiungere con una breve gita a piedi dal parcheggio più
vicino, seguendo un sentiero panoramico o la strada forestale che arriva
proprio al rifugio. Non solo: in estate sono attivi ormai da qualche anno anche
i due tronconi di seggiovia che dal parcheggio del Cavone portano alla cima del
Corno. Da lì, con una passeggiata di un’oretta, per lo più in quota, si
raggiunge proprio il Lago Scaffaiolo e il rifugio Duca degli Abruzzi. Quindi
quale sarebbe l’utilità estiva della nuova seggiovia? Nessuna, salvo poter dire
che “sarà aperta anche d’estate”.
7) La nuova ODI ha sempre qualche potenzialità inespressa, un
promessa da mantenere, un aspetto ancora in forse ma poi si vedrà.
Sulle prime, si può pensare che ciò sia dovuto all’imprecisione dei progetti, o
alle tempistiche sballate, ma alla lunga ci si convince che si tratta di una
vera e propria strategia, per enumerare presunti vantaggi dell’opera che però
non si possono sottoporre a critica o verifica, dal momento che i loro contorni
non sono mai abbastanza chiari.
Il nuovo impianto del Corno alle Scale sarà dotato di un gancio per il
trasporto delle biciclette, “ma non sarà possibile caricare le bici fino a che
non ci sarà un regolamento fatto col Parco”. (Valerio Marroni, incontro con il
comitato)
E’ chiaro che per valutare fino in fondo i pro e i contro del trasporto di
biciclette, bisognerebbe prima sapere come verrà regolato il loro uso, e
soprattutto: se sarà possibile regolarlo. Davvero il Parco del Corno alle Scale
è in grado di sobbarcarsi e sostenere una sorveglianza di questo tipo? O una
volta saliti in cima, i bikers saranno
liberi di scendere dove più gli piace?
Chi pratica
la mountain bike di solito ama usarla anche in salita, e sono sempre più
diffusi i modelli che prevedono un motore elettrico per la pedalata assistita,
che aiuta a superare i dislivelli più importanti. I ciclisti che prendono le
seggiovie sono più spesso quelli che praticano il downhill, cioè la discesa. Ma perché questo sport non
si traduca in un impatto gravissimo su sentieri e pendii, bisogna indirizzarlo
su piste specializzate, che però – almeno in apparenza – non sono previste dal
progetto, in quanto uno slogan dei suoi promotori è proprio: “non faremo nuove
piste”.
Oltretutto, in zona ci sono già altre aree attrezzate allo scopo, alla
Doganaccia e a Monte Pizzo: perché aggiungerne una terza, invece di consentire
una convivenza più equilibrata tra escursionisti, ciclisti, abitanti, flora e
fauna del Corno alle Scale?
8) Alcuni obiettivi della nuova ODI vanno banalmente taciuti. O
meglio: taciuti in certe sedi, dichiarati in altre, evocati, sottintesi,
vellicati in altre ancora. Così, sempre sulla
newsletter della Città Metropolitana di Bologna si legge che: “il piano per
promuovere il turismo al Corno alle Scale prevede la realizzazione di un
contesto attrezzato e organizzato per attività sportive outdoor. Si vuole dare
impulso tanto agli sport invernali quanto a quelli estivi per poter accogliere
appassionati non solo di mountain walking e mountain biking ma anche
cicloturismo down-hill e sci d’erba.”
Ma non avevano appena detto che il downhill non si sarebbe fatto, perché
“niente nuove piste”? (sopravvoliamo sull’espressione “mountain walking” per
evitare che ci prenda uno choc anafilattico)
In maniera simile, ma ben più grave, nessuno ammette che il nuovo impianto
nasce per collegare, “senza togliersi gli sci”, i due versanti dell’Appennino:
in quello toscano, infatti, già si prendono le misure per arrivare al Lago
Scaffaiolo con una
funivia lunga 1600 metri, capace di 45 passeggeri, in partenza dalle piste
della Doganaccia, in provincia di Pistoia. Uno scempio ancora peggiore.
9) Uno dei principali concetti-trappola per rendere accettabile una
ODI è quello di ripristino ambientale, come si evince dalle parole
del sindaco Polmonari:
“Tutte le osservazioni che sono state poste nei sopralluoghi fatti al Corno per
i ripristini ambientali, noi le abbiamo condivise, anzi, abbiamo aggiunto
qualcosa in più, perché il territorio va rimesso in ordine meglio di quello che
non è stato lasciato”.
“Rimettere in ordine” il territorio come se fosse la stanza di un appartamento.
Anzi, dò anche un’imbiancata alle pareti, così è pure più bella. “Ripristino
ambientale” è un’espressione tecnica, che indica una determinata procedura, ma
non significa affatto che l’ambiente torni come prima, o addirittura meglio.
Invitiamo chi fosse convinto del contrario a visitare una qualunque cava
verticale di pietra regolarmente “ripristinata”.
Vale per l’ambiente quel che vale per il tubetto del dentifricio: una volta che
spremi fuori il contenuto, non c’è modo di rimetterlo dentro.
10) La nuova ODI, se possibile, verrà presentata come espressione di
un particolare genius loci, e meglio ancora, di una
particolare età dell’oro vissuta dagli abitanti del
territorio. Una nuova autostrada, di riffa o di raffa, evocherà le
infrastrutture costruite ai tempi del boom economico
(o addirittura le strade consolari dell’antica Roma); la rete ferroviaria ad Alta
Velocità sarà il più importante progetto trasportistico dai tempi dell’Autosole
e uno scalo per navi da crociera rinverdirà le tradizioni di accoglienza della
gente del luogo. Secondo la newsletter della Città Metropolitana di Bologna,
«l’intento strategico» del «progetto di rilancio» del Corno alle Scale «è la
rinascita di una realtà locale che ha rappresentato, tra gli Anni Settanta e
Novanta, un motore di sviluppo e benessere per l’intera vallata e che oggi ha
un grande bisogno di tornare ad attrarre turisti, sia nella stagione invernale
che in quella estiva, affinché le comunità montane non scompaiano».
E’ interessante notare che nel periodo menzionato come “età dell’oro”, ovvero
dal 1971 al 2001, la popolazione del comune di Lizzano è scesa da 2772 a 2253
abitanti, con una perdita del 19%, mentre si è mantenuta sostanzialmente
stabile nei vent’anni successivi. Non sembra quindi che il turismo invernale
sia un fattore di contrasto alla scomparsa delle comunità montane. Mentre è di
sicuro un modello di sviluppo e benessere vecchio di cinquant’anni e senza
particolari prospettive di rinnovamento.
11) Nessuna nuova ODI può fare a meno della sua dose di TINA (“there
is no alternative / Non c’è alternativa”): senza il TAV in Valsusa l’Italia si
ritroverà ai margini dell’Europa, senza l’ILVA non c’è futuro per Taranto, non
possiamo fare a meno dei combustibili fossili.
Allo stesso modo, nelle parole di Clarisse Roda, consigliera comunale di
Lizzano in B., delegata ai rapporti con la stazione di sci: “Il turismo
invernale rappresenta per noi ancora il 60% dell’indotto. Quindi okay, tra
dieci anni non ci sarà più neve, però per il momento c’è ancora e noi abbiamo
bisogno ancora di questo tipo di turismo.”
Il bello è che nessuno, mai, ha detto che Lizzano deve fare a meno dello sci.
Nessuno sostiene che gli impianti sul Corno alle Scale devono essere chiusi,
smantellati e tanti saluti. Più modestamente, ci pare assurdo costruirne di
nuovi. E non ci pare assurdo perché non ci piacciono e siamo nemici dello sci.
Ci pare assurdo analizzando i dati scientifici che abbiamo a disposizione: che
non saranno perfetti al 100%, veri com’è vero che due più due fa quattro, ma
sono quelli che abbiamo, e negli ultimi vent’anni, quando si sono dimostrati
sbagliati, lo sono stati per difetto: gli inverni sono ancora più caldi del
previsto, la neve è ancora meno.
Se un lago fosse lì lì per prosciugarsi, qualcuno investirebbe mai
sull’acquisto di nuovi pescherecci e nuove reti? E infatti: un privato
investirebbe mai quasi 6 milioni di euro su un nuovo impianto al Corno alle
Scale? No di sicuro, ma siccome i soldi per questo progetto sono pubblici,
allora va bene, buttiamoli pure dalla finestra, tanto ci sono e in qualche modo
bisogna spenderli.
Per inciso, va detto che Clarisse Roda, maestra di sci, è la figlia di quel
Flavio Roda che fu allenatore di Alberto Tomba, nonché presidente, dal 2012,
della Federazione Italiana Sport Invernali. Non stupisce che dal suo punto di
vista il turismo invernale sia una vacca da mungere fino a che non crepa.
12) Eventuali alternative all’ODI-TINA devono essere svilite, a
priori, con un pretesto indipendente dal loro contenuto. Di
solito, si tratterà di un più o meno velato argomento ad hominem: chi le propone non è un tecnico, non è del
posto, non conosce, non capisce, vive sulla luna, è un illuso, un velleitario,
un ingenuo…
“Le alternative proposte dal comitato non prendono in considerazione chi vive
in montagna in questo momento” (Clarisse Roda, incontro del 3 maggio 2021).
Come detto
all’inizio, l’assessore Corsini ha proposto al comitato un incontro “per una
illustrazione del progetto e del suo percorso autorizzativo”.
Il comitato ha deciso di partecipare con due rappresentanti, illudendosi che
sarebbero emersi nuovi dettagli sul progetto, rispetto a quanto già si sapeva e
si poteva trovare nei documenti ufficiali.
Nessuno ha chiesto al comitato di presentare alternative e il comitato si è ben
guardato dal farlo, limitandosi ad ascoltare.
Eppure, l’idea che “quelli di città” propongano le loro alternative sulla testa
dei “montanari” è talmente pervasiva, da far vedere anche le alternative che
NON sono state proposte. Un vero e proprio miraggio, non sapremmo come altro
definirlo.
Tra l’altro, il comitato comprende anche persone che risiedono e lavorano in
montagna, che in montagna fanno attività, guidano escursionisti, portano avanti
progetti. E’ un comitato che nasce proprio per ripensare il rapporto tra
Bologna e l’Appennino, per fare in modo che le Terre alte non vengano percepite
come luoghi improduttivi, depositi di risorse e parchi giochi all’aperto.
Si può ben dire, invece, che alcuni abitanti della montagna fanno progetti –
come questo – che non tengono in conto gli altri abitanti della montagna,
quelli cioè che non hanno un immediato interesse nel turismo invernale, o che,
pur avendolo, hanno capito che occorre guardare oltre, smettendo di inseguire
sogni senza costrutto, appena rivestiti con una patina di motivazioni
pretestuose.
Sogni destinati, nell’immediato futuro, a trasformarsi in un incubo per tutti.
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