Una settimana fa abbiamo pubblicato un testo che
invitava tutte e tutti a riflettere sulla fragilità, il sui senso, la sua
cura (https://volerelaluna.it/societa/2021/06/24/della-fragilita-istruzioni-per-luso/). Negli stessi giorni ci è
pervenuto un altro scritto sul tema: l’intervento di saluto che un giudice
del lavoro di Bologna (collaboratore anche di questo sito) ha rivolto a
colleghi, avvocati e, idealmente, cittadini venuti in contatto con la
giustizia, nel momento in cui ha lasciato la magistratura. L’intervento ha per
titolo “elogio della fragilità” ed è un contributo all’approfondimento del tema
non solo per i contenuti ma anche per il fatto di provenire da una istituzione,
quella della giustizia, che viene per lo più considerata agli antipodi della
fragilità. Per questo ci sembra interessante proporlo. (la redazione)
Vi chiederete: che c’entra la fragilità in questo
contesto, con il nostro lavoro e con tutti noi? Un attimo di pazienza (chi
conosce le mie sentenze sa che almeno la sintesi non mi manca) e proverò a
spiegarvelo.
Per farlo cercherò di tessere una trama con una serie
di fili, umani e professionali, per arrivare a una conclusione che possa
reggere. Saranno fili apparentemente fragili ma assolutamente affidabili,
almeno per me, del resto pensate che un filo di seta prodotto da un ragno ha
una resistenza a trazione di 250 volte superiore di quella dell’acciaio.
Ecco il primo filo molto personale. Quando sono venuto
a Bologna (qualcuno ricorderà) era un momento di full immersion nella
fragilità fisica, accompagnata chiaramente da quella psicologica per quella
situazione. Quella condizione mi ha reso però, spero, più attento, sensibile e
ho cercato di farne tesoro. In questa esperienza oltre alla mia famiglia e ai
miei amici ho incontrato molte persone, alcuni impegnati come me
professionalmente nel lavoro altri come utenti della giustizia. È stata una
esperienza straordinaria, credetemi, faticosa ma piena di vita e spero non sia
mai mancata l’umanità, perché si può essere bravissimi nel proprio lavoro,
qualunque esso sia, ma solo se si guarda da vicino e con partecipazione si può
davvero essere sereni per quello che si fa.
Questo è il secondo filo di collegamento, di natura
professionale, che appartiene a noi che siamo impegnati nel mondo del lavoro e
ci confrontiamo quotidianamente con storie di fragilità sociale spesso profonde
e disperate. Pensate al mobbing, alle difficoltà che lo precedono e
a quelle ancora maggiori che ne derivano, se non ci fossimo noi lavoristi
questi drammi umani probabilmente resterebbero senza ascolto. Ricordiamoci che
la Costituzione è stata scritta in particolare per le persone fragili, la
chiave solidaristica è la più marcata nella nostra Carta fondamentale e la
parola lavoro è quella più ripetuta, dobbiamo esserne tutti orgogliosi. Ho
sempre sostenuto che per impegnarsi nel nostro settore occorra avere una
particolare capacità di ascolto, quella che distingue l’avvocato attento, il
giudice sensibile e il personale della nostra Cancelleria che deve supportare
(e sopportare) entrambi oltre agli utenti. Lavorare insieme con uno spirito
comune che è quello di fare con coscienza il proprio lavoro nel reciproco
rispetto dei ruoli è una enorme fortuna, ringrazio davvero tutti di averlo
potuto fare dedicando la giusta attenzione alle fragilità umane. La capacità di
ascolto che dovrebbe caratterizzarci è particolare, forse vuol dire essere
disposti a sentire davvero, non solo con l’udito, le persone che ci parlano. Mi
viene in mente l’immagine di qualcuno che pattina su un lago sopra una lastra
di ghiaccio e sa che a tratti non è molto resistente e allora dovrà essere
particolarmente attento alle vibrazioni e leggero nei punti più delicati per
evitare che il ghiaccio si rompa. Quante volte abbiamo avuto la sensazione di
un equilibrio fragilissimo e abbiamo lavorato insieme per mantenerlo evitando
brutte cadute?
Un altro filo importante porta alla lotta contro ogni
forma di discriminazione, si discrimina la persona fragile per la sua debolezza
o per la sua diversità, mentre invece queste caratteristiche sono in realtà
anche forme di ricchezza che ci consentono di crescere tutti insieme come
società. Un suggerimento: sostituiamo la tolleranza con il rispetto, sembra un
piccolo passo ma credo sia importante. In questo campo noi giudici e avvocati
del lavoro siamo in prima linea e dobbiamo fare in modo di utilizzare insieme
tutte le potenzialità del diritto, anche le più innovative, con coraggio per
offrire un riferimento sicuro e fare rete con quanti si spendono sul tema della
lotta alle discriminazioni. E lo stesso discorso deve essere fatto per un’altra
situazione fragile che non possiamo ignorare è quella relativa alla sicurezza
sul lavoro. Ha scritto recentemente un collega: «In una democrazia fondata sul
lavoro, ogni lesione o morte sul lavoro è un pezzo di democrazia che manca». È
un impegno che dobbiamo assumerci insieme, avvocati e magistrati, per evitare
che di certi drammi se ne parli solo il giorno dopo, cioè tardi.
Quarto filo, quello più generale e sociale. In tanti
considerano la fragilità una debolezza, al più una condizione di difficoltà da
superare il prima possibile. È un luogo comune, superficiale come tutti i
luoghi comuni perché al contrario è come un terzo occhio, che ci fa vedere più
lontano e più in profondità. Non è facile gestirla ma può risultare un dono
immenso se riusciamo a comprenderlo.
Altro filo porta alla new economy che
non sembra in grado di superare le fragilità, anzi rischia di acuirle. Sempre
più la realtà porta a confrontarci con le difficoltà sociali, la GIG economy ne
è una summa, pensate al cinema di Kean Loach. Da questo punto di vista i
readers sono un esempio lampante del nuovo lavoro (in questo momento non mi
interessa la qualificazione giuridica, guardo all’aspetto umano e sociale), sono
i nuovi cavalieri magari senza macchia ma con molta paura in una società dove
la legge del mercato appare imperante. Pensiamo però a quanto ci hanno aiutato
ad affrontare i tempi bui della pandemia, che sembra concedere solo adesso un
po’ di respiro a tutti. Non nascondiamoci dietro agli algoritmi, seguiamo i
principi della nostra Costituzione e restiamo umani.
Anche il Covid è un filo, ci ha reso tutti meno
sicuri, facile immaginare che ne pagheremo a lungo le conseguenze sia
economiche che psicologiche. Eppure per molti questo tempo di forzata
solitudine è stata occasione di riflettere anche sulle proprie fragilità.
Cerchiamo di utilizzare questa esperienza per affinare le nostre sensibilità,
per fare in modo che non accada più o, perlomeno, per essere preparati per
l’anno che verrà, come diceva Lucio Dalla.
Altro filo dedicato ai giovani che sono il nostro
futuro. «Essere fragili è un lusso che oggi più che mai dobbiamo concederci per
liberare le risorse che la paura di non essere abbastanza imprigiona» dice
Alessandro D’Avenia (Corriere della Sera, 25 giugno 2018, Elogio
della fragilità). D’Avenia parla ai giovani e pensando ai giovani oggi sono
convinto che dobbiamo accompagnarli a non avere paura nel riconoscere la loro
fragilità e trovare da questa una profondità e una sensibilità che li farà
unici senza aver timore di esserlo. Per i nostri giovani colleghi e per i
tirocinanti, i praticanti e gli studenti non posso che ripetere quello che ho
detto sempre ai giovani con i quali ho lavorato negli ultimi anni: credeteci,
l’impegno paga e posso dirlo io perché l’ho visto realizzarsi sempre, non
abbattetevi nelle difficoltà perché anche quelle vi serviranno per crescere. E
non abbiate paura di essere fragili, ma siate pazienti e coraggiosi. A
proposito di giovani: domani farà 30 anni Patrick Zaky, da oltre un anno in
carcere senza una accusa vera. Domani come giurista e come cittadino lo
ricorderò.
Ultimo filo, la conclusione. Annodiamo tutti i fili e
portiamoci sempre dietro questa trama. Ci servirà per affrontare il futuro.
Adesso basta perché non vorrei essere prolisso proprio l’ultima volta (quante
volte vi ho annoiato con la lettera di Pascal) e quindi non mi resta che
ringraziare ancora tutti, abbiamo lavorato davvero bene dimostrando che con la
passione e il rispetto possiamo raggiungere ottimi risultati. E a chi parla di
crisi della giustizia e propone varie alchimie suggerirei come prima cosa di
guardare dove la giustizia funziona e cercare di capire le ragioni di un
equilibrio solo apparentemente fragile ma al tempo stesso semplice.
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