Il
Pasticciaccio all’Archivio di Stato di Roma tra Rauti e la “strana” nomina
firmata da Franceschini - Tomaso Montanari
Ieri Gianni
Barbacetto ha raccontato quali reazioni stia, per fortuna, suscitando la nomina
del dottor Andrea De Pasquale alla guida dell’Archivio Centrale dello Stato. Le
associazioni delle vittime delle stragi che hanno segnato la notte della
Repubblica (quelle di Bologna, di Piazza della Loggia e di Piazza Fontana) non
accettano che a vegliare sulla memoria dello Stato sia chi, da direttore della Nazionale di Roma, accolse in dono un
ambiguo fondo Rauti, prestandosi poi alla propaganda del più
pericoloso neofascismo italico. De Pasquale si segnalò anche per aver
inaugurato la mostra “Cinquant’anni di stampa e propaganda della destra
italiana (1945-1995)”, fianco a fianco a Ignazio La Russa, Isabella Rauti e
Francesco Storace (febbraio 2020).
Di fronte
all’ostinato silenzio del ministro Franceschini, le reazioni si stanno moltiplicando: circola la notizia
che siano pronti a dimettersi tutti i membri non ministeriali della Commissione
per il monitoraggio della direttiva Renzi (sul segreto di Stato) istituita
presso la presidenza del Consiglio. E sembra che la nomina firmata
dal ministro della Cultura sia di fatto illegittima. Il dm del
2008 che regola l’Archivio Centrale dello Stato stabilisce esplicitamente (al
comma 2 dell’articolo 1) che il direttore debba essere un archivista di Stato:
laddove il De Pasquale è un bibliotecario, con esperienze
archivistiche del tutto inconferenti a quel ruolo cruciale. È vero che,
rendendo autonomo l’Acs, Franceschini ha riservato la direzione a un dirigente
di prima fascia: rendendola così, guarda caso, di nomina ministeriale. Ma il dm
del 2008 non è mai stato abrogato, e sarebbe del resto allucinante che
l’archivista in capo della Repubblica italiana non fosse un archivista!
È una vicenda paradigmatica: le ultime riforme dei Beni
Culturali hanno umiliato il profilo tecnico dei funzionari, così da poter
ampliare a dismisura la discrezionalità del livello politico. Di fatto,
ora la politica dispone del patrimonio culturale come dispone della
Rai: e, magari in vista dell’elezione al Quirinale, può sembrare
utile non scontentare nessuno. In un Paese dove “c’è troppa tolleranza verso i
fascisti”(come ci ha ricordato pochi giorni fa Edith Bruck), la conseguenza può essere un revisionismo di Stato contro il quale
dovrebbero insorgere, insieme alle vittime del fascismo di ogni
epoca, anche tutte le università italiane. Inquinare le carte della nostra
storia significa compromettere insieme passato e futuro: e questo non deve
essere consentito a nessun ministro.
Pasticciaccio
di Stato - Benedetta
Tobagi
I famigliari
delle vittime delle stragi, tramite Paolo Bolognesi, hanno chiesto a Draghi di non confermare la nomina di Andrea De Pasquale,
già direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma, a sovrintendente
dell’Archivio centrale dello Stato, raccogliendo sostegno crescente tra
intellettuali, mondo politico e lavoratori del settore (per esempio il
collettivo Mi riconosci? Sono un lavoratore dei beni culturali).
La polemica riguarda le competenze (perché nominare un dirigente
bibliotecario, anziché archivista, alla guida del più importante archivio del
Paese?), ma soprattutto il “caso” scoppiato lo scorso inverno attorno
all’acquisizione delle carte di Pino Rauti da parte della Bnc, perché questa fu
accompagnata da comunicazioni (calco di quelle della Fondazione Rauti) diffuse
attraverso la mailing list e pubblicate online che suscitarono vivaci reazioni
per il tono agiografico.
Omaggio a Rauti “Statista”, non una parola sulle contestazioni
alla democrazia né sulla fondazione di Ordine Nuovo, che fu il fulcro della
galassia eversiva responsabile delle stragi di piazza Fontana, piazza Loggia
(con condanna definitiva di un reggente di On) e dell’omicidio Occorsio.
Intervenne l’associazione delle vittime di piazza Fontana, chiedendone conto a
De Pasquale. Che ne era dell’autonomia scientifica e del prestigio
dell’istituzione da lui diretta? Il ministero della Cultura rimosse dal web il
comunicato contenente “valutazioni e giudizi inaccettabili nei siti istituzionali
del ministero”.
De Pasquale
protesta di non aver nulla a che fare con quelle comunicazioni. Ma aveva celebrato l’acquisizione a un evento di Fratelli d’Italia al
Senato, mentre (causa Covid) il fondo fu presentato dalla
figlia di Rauti, Isabella, senatrice di Fratelli d’Italia, con un video girato
nei locali della biblioteca (dunque autorizzato). Non vi fu altra
comunicazione, oltre al commosso ricordo famigliare e all’omaggio di parte.
Trascuratezza? Debolezza?
Compiacenza? Opportunismo? In casi come questi, silenzi e omissioni pesano.
Parlano. Mancò del tutto una presentazione storico-critica adeguata,
un riconoscimento e una discussione del problema sollevato. Ancora oggi, dal
profilo che accompagna l’inventario del fondo Rauti, “accessibile previa autorizzazione”
(di chi? in base a cosa?) non si capisce se e cosa c’entri Ordine nuovo con le
stragi.
Mentre altri
aspetti della gestione De Pasquale della Bnc stanno finendo sotto scrutinio,
come la brutta storia degli “scontrinisti”, Franceschini
tira dritto e il governo tace. Il pasticciaccio si radica nelle ambiguità
irrisolte: da una parte la fatica anche solo a dire cosa fu la destra
radicale italica, dall’altra le prassi per cui i criteri di nomina ai posti di
maggior prestigio sono spesso imperscrutabili, con esiti infausti.
L’Italia non
brilla per trasparenza, gli archivi sono in sofferenza, si teme che la
“direttiva Draghi” (per rendere accessibili anche le carte Gladio e P2, oltre a
quelle delle stragi), come le precedenti, resti in larga parte lettera morta.
Al cuore del sistema archivistico ci vuole una persona che
abbia non solo competenze, ma statura e sensibilità costituzionale,
per resistere alle pressioni politiche e sostenere nei fatti trasparenza e
autonomia, non atteggiamenti ambigui e scivolosi. Per questo i famigliari delle
vittime, preoccupati, chiedono una nomina che non desti così tanti ragionevoli
dubbi. Come dar loro torto?
La nomina di
Franceschini aiuta il revisionismo di Stato - Tomaso Montanari
Ieri il
ministro Franceschini si è assunto la responsabilità della nomina di Andrea De Pasquale alla guida dell’Archivio Centrale
dello Stato. Lo ha fatto minimizzando indecentemente l’episodio
della santificazione di Pino Rauti, di cui De Pasquale fu responsabile. La
reazione delle associazioni delle vittime delle stragi fasciste è stata ferma:
“La nomina di De Pasquale è un vulnus intollerabile,
una operazione che sembra serva a tranquillizzare quegli apparati che ancora
oggi hanno paura della verità. Noi non solo vigileremo ma non ci fermeremo
qui”. Se, come spero, impugneranno la nomina, avranno ottimi argomenti per
vincere.
Sarebbe
importante, perché ormai da anni è in corso un’agguerrita
campagna culturale da parte di una destra più o meno apertamente fascista:
una battaglia il cui obiettivo è niente meno che un revisionismo di Stato. E
cioè la cancellazione della storia che racconta cosa fu davvero il fascismo, e
cosa è stato il neofascismo criminale della seconda metà del Novecento. Non si
può nascondere che alcune battaglie revisioniste siano state vinte, grazie alla
debolezza politica e culturale dei vertici della Repubblica. La legge del 2004
che istituisce la Giornata del Ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente
opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso
successo di questa falsificazione storica.
In una
coraggiosa lettera aperta, lo storico Angelo D’Orsi
ha accusato il presidente Mattarella di aver fatto “un grave torto alla
conoscenza storica” con il “discorso del 10 febbraio
(2020, nda) in cui non si è limitato a rendere onore a quelli che, nella
narrazione corrente, ormai sono i ‘martiri delle foibe’, ma ha usato ancora
un’espressione storicamente errata, politicamente pericolosa, moralmente
inaccettabile: ‘pulizia etnica’. Ella, signor Presidente, è caduto nella
trappola della equiparazione del grande, spaventoso crimine, il genocidio della
Shoah, con gli avvenimenti al Confine Orientale, tra Italia e Jugoslavia, fra
il 1941 e il 1948, grosso modo”. Le cose, ha invano spiegato
D’Orsi al Capo dello Stato, andarono diversamente: “La
storiografia ci dice tutt’altro (…): le vittime accertate, ad oggi, furono poco
più di 800 (compresi i militari), parecchie delle quali giustiziate essendosi
macchiate di crimini, autentici quanto taciuti, verso le popolazioni locali:
nessun generale italiano accusato di crimini di guerra è mai stato punito”.
La
falsificazione agisce a tutti i livelli. Così Matteo Salvini prova a rovesciare la storia, sostenendo che il
sottosegretario leghista Durigon, invocando il ritorno
dell’intitolazione del Parco di Latina a Arnaldo Mussolini, non farebbe altro
che difendere una storia ininterrotta fino al provvedimento di “un sindaco di
sinistra” che nel 2017 lo dedicò a Falcone e Borsellino. È falso: quel
parco cambiò nome (come la stessa città, che si chiamava Littoria…) dopo la
Liberazione, e solo nel 1996 un sindaco dichiaratamente fascista recuperò la
dedica al fratello del Duce (peraltro senza atti formali, ma solo facendo
realizzare alcuni cartelli stradali). Quel sindaco, Ajmone Finestra, non era un
“innocuo” nostalgico: per i suoi crimini a Salò il pubblico ministero (che era Oscar
Luigi Scalfaro…) chiese la pena di morte. È questa la storia che Durigon
difende, e questo l’osceno grumo di neofascismo che
Salvini accoglie, e su cui Mario Draghi vergognosamente tace.
Ed è questo il quadro culturale in cui si colloca un De Pasquale che,
da direttore della Biblioteca nazionale di Roma, accoglie la donazione del
Fondo Rauti con un comunicato che definiva il fascista Pino Rauti “statista”, e
“organizzatore, pensatore, studioso, giornalista, deputato dal 1972 al 1992.
Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”. Pura propaganda di
parte: che negava la ragione stessa per cui quel fondo andava accuratamente studiato, e quindi
eventualmente accettato dopo averne messo in
chiaro la natura – giacché era evidentemente stato creato
con finalità apologetiche che avrebbero dovuto essere sottoposte a serrata
critica, e non amplificate sui media.
Quel
che la destra vuole ottenere è nientemeno
che la negazione radicale del presupposto della nostra Costituzione,
la quale è anche “un comando sui vinti”, cioè sui fascisti: dal 1948 in poi, in
Italia il fascismo non è in alcun modo equiparabile all’antifascismo, né è
un’opzione praticabile per il futuro. È un tabu assoluto: e tale deve rimanere,
se vogliamo che la democrazia sopravviva.
Un leghista
bolognese ha difeso la nomina di De Pasquale auspicando che faccia emergere dai
fondi dell’archivio centrale dello Stato “qualcosa occultato per anni”. Dalla
riabilitazione dei “ragazzi di Salò” perpetrata da Luciano Violante alla legge
sulle Foibe, dal parco di Latina al sostegno leghista a De Pasquale l’obiettivo è sempre lo stesso: riscrivere la storia dalla parte
del fascismo. Sapendo benissimo che l’unico modo per farlo, è
falsificarla.
Consiglio
Beni Culturali: ecco perché mi dimetto - Tomaso Montanari
Mi sono
dimesso dal Consiglio superiore dei Beni Culturali per protestare contro l’arroganza del ministro della Cultura Dario
Franceschini e denunciare l’umiliazione di quello che dovrebbe
essere il massimo organo tecnico-scientifico del patrimonio.
Sabato il Consiglio superiore aveva inviato al ministro una nota in
cui lo invitava a “tenere in adeguata considerazione” le forti obiezioni
espresse dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi di
Bologna, Brescia, Milano sulla nomina di Andrea De Pasquale, “anche alla luce
dell’importante ruolo di garanzia attribuito dalla normativa vigente
all’archivio medesimo per la conoscenza della memoria storica dell’Italia
contemporanea”.
Franceschini non ha risposto, ma domenica ha annunciato che la
nomina ormai era fatta. Le associazioni hanno risposto che la decisione “sbatte
la porta in faccia alle associazioni e alle tante donne e uomini di cultura che
si sono associati alle nostre preoccupazioni”, e che “la nomina di De Pasquale è un vulnus intollerabile, una
operazione che sembra serva a tranquillizzare quegli apparati che ancora oggi
hanno paura della verità”.
La nomina
del responsabile dell’archivio centrale della Repubblica spetta al presidente
del Consiglio dei ministri, che se ne è lavato le mani: così il ministro della Cultura si è trovato a godere di una insana
autarchia. Nel modo in cui l’ha usata si intrecciano tutti i fili
della involuzione del governo del patrimonio culturale.
La rosa dei
candidati era straordinariamente esigua: perché da anni i ranghi degli
archivisti di Stato vengono massacrati dal letale definanziamento. Il progressivo svuotarsi della tutela consente l’espandersi
dell’arbitrio del livello politico. E una parte dei funzionari
rinuncia volentieri alla propria autonomia, genuflettendosi alla politica e
ottenendo così una rapida carriera da yes-men.
Questa
fatale deriva è esattamente ciò di cui si dovrebbe occupare il Consiglio
superiore. Perché affidare l’archivio centrale a un non archivista che si è prestato
a una aggressiva campagna neofascista, significa privare quel cruciale istituto di ogni autorevolezza scientifica,
e dunque renderlo un docile strumento della politica. Mentre l’unica
garanzia che la verità storica non venga occultata o manipolata, sarebbe un
soprintendente tecnicamente indiscutibile, culturalmente autorevole e
indipendente dalla politica.
Ho
inutilmente chiesto che il Consiglio condividesse la reazione delle
associazioni alla nomina, stigmatizzando il mancato ascolto da
parte del ministro. La risposta del presidente, il professor Marco D’Alberti
(da qualche mese divenuto consigliere giuridico del presidente del Consiglio
Draghi) è stata che “qualunque ulteriore presa di posizione del collegio
sarebbe inopportuna e istituzionalmente impropria”.
Così il Consiglio continuerà a fare nomine in organi
purtroppo inutili (consigli scientifici e Cda dei musei autonomi soggetti
all’arbitrio dei super direttori), ad approvare finanziatissimi progetti
speciali dei quali non riceve adeguata documentazione, e a tenersi accuratamente lontano dai problemi veri.
Clamoroso il caso del Pnrr e della conseguente istituzione di una
Soprintendenza speciale: ci è stato consentito di parlarne solo dopo che il
Consiglio dei ministri aveva preso la decisione. E allora qual è il ruolo del
Consiglio nel governo del patrimonio?
Dimettendosene,
il 28 maggio 1960, Ranuccio Bianchi Bandinelli scriveva che “il Consiglio
Superiore non è tenuto quale organo attraverso il quale alcuni competenti
specialisti sono chiamati ad affiancare e orientare le direttive ministeriali,
ma piuttosto come strumento per avallare e coprire decisioni già
prese, spesso provocate da pressioni che possono dirsi politiche
solo nel senso deteriore del termine, cioè del tutto particolaristico e clientelistico”.
È ancora così: e se quelle decisioni rappresentano un’apertura al revisionismo fascista, è il momento di
dare l’allarme. Non lascio il posto di combattimento: lascio un Consiglio
superiore reso inutile, ma resto nel Comitato tecnico scientifico delle Belle
Arti, presidio di tutela dell’interesse generale.
In Assemblea
Costituente, Concetto Marchesi spiegò quale fosse la colpa degli intellettuali fattisi zona grigia intorno
all’avanzata del fascismo: “Perché è avvenuto tutto questo? Per mancanza
di capacità e di cultura? No: per mancanza di coscienza civile. È avvenuto …
perché si trattava di una scienza, di una cultura, di un’arte interessata, e
quindi destinata a volgersi verso tutti gli approdi sotto la spinta di ogni
vento”. Per la piccola parte che dipende da me, la storia non deve ripetersi.
Nessun commento:
Posta un commento