La tragedia della capitale afgana Kabul, che corre verso un nuovo 30 aprile, il giorno
del 1975 quando fu evacuata l’ambasciata statunitense a Saigon, è un passaggio
storico di prima grandezza, che pare chiosare un tempo più lungo del nostro
presente. La narrazione neoconservatrice del nuovo secolo americano,
figlia ancora del trionfo statunitense nella guerra fredda, fu declinata nel
post-11 settembre 2001 nella teoria della esportazione della democrazia in
punta di baionetta.
Donald Rumsfeld, il criminale di guerra da poco
scomparso, impune come impuni sono rimasti George Bush jr, Tony Blair e i loro
principali complici, tuonava che fosse necessario muovere guerra a 30-50 paesi
per quel disegno che rispondeva alla logica del “pensiero unico”: la
supremazia, economica, militare, etica, del maschio bianco occidentale sul
pianeta. Guardando indietro, con pallidissime attenuazioni nell’era Obama, se
sommiamo alle guerre conclamate le “covert action”, gli embarghi che anche in
queste ore impediscono perfino l’arrivo di bombole di ossigeno ai popoli che si
sostiene di voler salvare, e le rivoluzioni colorate, non andiamo lontani da
quei numeri angosciosi. Se al contrario, e proprio l’imminente capitolazione
del governo afgano lo dimostra, contiamo il numero di “democrazie esportate” il
piatto (per i popoli) piange.
L’Occidente liberal-democratico, la Washington
neoconservatrice, riteneva di potere, di avere il diritto-dovere, di imporre i
propri valori. Valori da imporre attraverso una jihad occidentalista, una
guerra santa che chiamarono “infinite justice”, giustizia
infinita. A difesa di quella guerra santa fu schierato l’intero
complesso mediatico mainstream. Per anni chiunque non si uniformasse a quella
narrazione bellicista era accusato di essere complice dei terroristi, Osama Bin
Laden e succedanei. Nonostante le stucchevoli commemorazioni di queste ore di
quelli che si accomodano sempre dalla parte della ragione, per loro Gino Strada era un terrorista. E come Gino Strada
erano per esempio terroristi tutti gli indigeni latinoamericani (ho memoria,
non dimentico, non perdono), dai mapuche della Patagonia cilena ai movimenti
contadini, quelli ambientalisti o per l’acqua pubblica in tutto il Continente,
e i governi che quei movimenti osarono esprimere come risposta alla logica
unicamente mercatista della democrazia, battezzata fin dal 1989 Washington consensus.
Sappiamo bene, lo sapevamo anche vent’anni fa, quando
a milioni scendemmo in piazza contro quelle “guerre infinite” (anche noi, tutti
terroristi e amici dei talebani o di Saddam Hussein) che dietro il millenarismo
della “fine della storia” vi fosse poco più della cultura militarista e gli
interessi multimilionari del complesso militare industriale e
di quello, negazionista del cambio climatico,
dei combustibili fossili. In quell’invasione, in quei duemila miliardi spesi
nella quasi totalità in armi, come afferma Gino Strada nel suo testamento
politico, non c’era altro. Men che meno vi erano le donne che si levavano il burka, buone per un po’ di comunicazione for export,
per dare una mano di vernice progre a una tradizionale guerra coloniale.
Colonialismo che, come è noto, ha sempre esportato la propria civiltà a fin di
bene.
Se ci fosse stato altro, oltre all’infinita ipocrisia,
non avremmo tradito le masse giovanili mediorientali, almeno in parte
occidentalizzate, che si sollevarono nelle primavere arabe.
Saremmo state dalla loro parte e non avremmo continuato a tenerci il sacco a
vicenda con classi dirigenti vili, corrotte, violente, oscurantiste e all’uopo
terroriste. La viltà di George Bush padre, che dopo la prima guerra del Golfo,
tradì gli sciiti iracheni dopo averli indotti a sollevarsi contro Saddam
Hussein, è stata in questi anni ripetuta su infiniti scacchieri. Quelle
migliaia di uomini e donne afgani abbandonati nelle mani dei talebani, e che
nella migliore delle ipotesi si trasformeranno in novelli “boat people”
vietnamiti (oggi indesiderabili, ma questo è un altro tema), sono solo l’ultimo
caso di un Sud globale che ormai sa che proprio chi crede alla retorica della
democrazia occidentale sarà il primo a essere tradito da questa.
Eppure oggi sui giornali leggiamo l’ennesimo ribaltamento della realtà. Di fronte a quella che è una
sconfitta esiziale tanto militare come politica degli Stati Uniti d’America (e
a cascata dell’Europa) gli editoriali dei difensori a oltranza di una impresa
indifendibile hanno il cattivo gusto di sostenere che, se vent’anni di
intervento militare non sono bastati, allora oggi è giusto lasciare gli afgani
(le donne afgane, sulle quali tanta retorica è costruita anche in queste ore)
al loro destino. Come nelle narrazioni sul nostro Mezzogiorno, non siamo noi a essere scappati via col
bottino, solo loro a essere irredimibili. E quindi, così come andammo
generosamente ad aiutarli, così adesso li abbandoniamo al loro destino,
restando sempre e comunque dalla parte della ragione.
Mi si consenta una chiosa che meriterebbe ben altra
trattazione. Chi scrive coincide che una serie di fenomeni della nostra epoca,
quelli sopra ricordati, il tramonto necessario dell’epoca dei combustibili
fossili connessa al cambio climatico, la stessa pandemia del Covid, siano linee
di faglia che attestano la fine di cinquecento anni di supremazia dello spazio
nordatlantico e delle culture che vi insistono sul pianeta. Accade, è noto, in
favore di quelle dell’Asia orientale, la Cina in primo
luogo, il cinismo della quale è innegabile e indifendibile su innumerevoli
scacchieri, incluso quello afgano. Se non è desiderabile, personalmente non lo
desidero affatto, un “secolo cinese”, è innanzitutto necessario ammettere che
il nuovo secolo americano non sia mai esistito se non
negli interessi di pochissimi, quegli stessi che negli ultimi trent’anni hanno
prodotto la più grande concentrazione di ricchezza della storia nello stesso
Occidente, contribuendo in maniera decisiva a indebolirne i regimi democratici.
Una volta di più, come anche le commemorazioni per il
ventennale di Genova hanno dimostrato, chi
governava sbagliava (e non in buona fede) e chi protestava aveva ragione. Ma
cosa sta facendo il mondo euro-americano per convivere in pace e democrazia,
proprio sulla base dei propri valori, veri, presunti, millantati, in un mondo
che o è multipolare o non sarà? Un altro Occidente, che ripudi la guerra, resta
possibile e necessario
Angela Merkel ha detto che “in Afghanistan abbiamo sbagliato tutto”: e quindi, tutto come prima?
Mario Draghi assicura “l’impegno di proteggere i cittadini afghani che hanno collaborato con la nostra missione”: e gli altri, le bambine e i bambini, le donne che torneranno a essere lapidate allo stadio?
dice Biden che il “nation building” (inteso come la ricostruzione del paese) e la «creazione di una democrazia centralizzata e unificata» non sono mai stati gli obiettivi della missione statunitense: come sempre, agli Usa interessa l’esportazione della (loro) democrazia (così si rubano, scusate, guadagnano miliardi di dollari), non la creazione della democrazia in quei paesi, ogni tanto anche un presidente dice la verità.
dice S. che “l’Italia non è il campo profughi d’Europa!”: è un disco rotto, come quasi tutti
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