Poche mele marce
Dopo la ribellione per la morte di George Floyd avvenuta la scorsa estate,
è diventata pratica comune dipingere tutti gli agenti di polizia negli Stati
Uniti con un’unica pennellata di colore. L'americano medio era solito credere
che la maggior parte dei poliziotti stesse facendo solo il proprio lavoro,
mentre i mass media si concentravano su poche mele marce che non rappresentano
la stragrande maggioranza degli agenti di polizia. Questa visione è ormai
diventata obsoleta – ma penso che occorra riportarla in auge. Certo, esistono
poliziotti che sono razzisti, sessisti, omofobi, violenti e corrotti. Ma non
tutti i poliziotti sono così. Alcuni poliziotti sono intelligenti e
sofisticati. Studiano le discipline umanistiche e tentano di capire le cause
strutturali dei problemi sociali incontrati sul campo. Questi poliziotti
cercano di costruire rapporti di fiducia con le comunità che sorvegliano e dove
vanno a lavorare ogni giorno, combattendo per migliorare la percezione pubblica
nei confronti della polizia. Sono loro le mele marce.
Il lavoro di un
poliziotto è piuttosto semplice. La società americana concentra la stragrande
maggioranza della ricchezza, della proprietà e del potere nelle mani di pochi.
La maggior parte delle persone possiede quasi nulla ed è costretta a fare
qualsiasi lavoro riesca a rimediare – arricchendo in questo modo qualcun altro
– solo per assicurarsi cibo e riparo, che deve pagare – di nuovo, arricchendo
qualcun altro – a prezzi che divorano in tutto o in parte i loro salari. Molte
persone che vorrebbero un lavoro non riescono nemmeno a trovarlo, mentre altre
non riescono a veder sviluppata una propria dignità in un mare di impieghi
umilianti e senza sbocchi. Questa struttura di classe è una violenta
costrizione mascherata da una parvenza di scambio nel libero mercato, poiché i
lavoratori sono nominalmente liberi di smettere in qualsiasi momento –
trovandosi così liberi di farsi sfrattare per non aver pagato l'affitto o il
mutuo, di languire senza una corretta nutrizione o cure mediche, in definitiva
liberi di finire morti, senza l’intervento di nessuno. Se la forza di questa
costrizione non è sufficiente a produrre lavoratori docili e rispettosi della
legge, ci pensano i poliziotti con i loro manganelli, le loro armi e le loro
prigioni a minacciarli per renderli più arrendevoli. I poliziotti incarnano la
violenza che tiene insieme la nostra società, ed anche quando tale violenza non
viene impiegata c’è sempre, comunque presente nel loro lavoro quotidiano. Il
ruolo del poliziotto è una via di mezzo tra il custode e il buttafuori, con un
guardaroba da abbinare alla bisogna.
La maggior parte dei poliziotti lo capisce. Il loro lavoro non ha nulla a
che fare con l'aiutare la gente o garantirla, e la mancanza di rispetto e il
disprezzo palese che mostrano verso le persone che si suppone stiano
proteggendo lo dimostra in modo chiaro. Dato che la forza lavoro statunitense è
sempre stata stratificata in linea con certe definizioni: razza, genere e
appartenenza nazionale, non sorprende vedere poliziotti che sostengono la
supremazia bianca, il patriarcato e la xenofobia – anche quando i poliziotti
sono neri, donne, immigrati… Gli oceani d'inchiostro versati su studi
all'insegna dell'ovvietà («l’acqua è bagnata») dimostrano che certe persone –
bianchi, maschi, ricchi, conformi al genere, e così via – hanno una vita più
facile con la polizia rispetto ad altre che non rientrano in questi parametri.
Lungi da «impliciti pregiudizi» o da qualsiasi altra carenza personale
risolvibile con l'educazione, il trattamento che ci si può aspettare dai
poliziotti è semplicemente l'espressione onesta di chi esercita il potere sugli
altri. Comunque si manifestino la violenza, l'umiliazione o la mancanza di
rispetto da parte dei poliziotti nei loro rapporti con le persone che
sorvegliano, riflettono semplicemente il ruolo a cui ciascuno è assegnato nella
società statunitense, e quanto il valore del capitalismo americano conti nella
loro vita.
È tutto molto semplice – finché non arrivano le mele marce. Armate di
teorie sulla «giustizia sociale» e di luoghi comuni buonisti presi a prestito
dalla parte liberale dei movimenti sociali degli Stati Uniti, le mele marce
sostengono che la polizia debba essere un organismo che promuove l’uguaglianza
e la dignità per le persone che ha l'incarico di tenere al loro miserabile
posto. Le mele marce lamentano l'erosione di fiducia nelle comunità
più terrorizzate dalla polizia e sostengono che il ripristino di questa fiducia
possa migliorare la sicurezza della comunità. Di conseguenza, promuovono il
«dialogo» tra sorveglianti e sorvegliati e coltivano collaborazioni con gli
emissari storici del capitale, come i proprietari di aziende locali, i
proprietari terrieri, il clero e i volontari no-profit, che nominano
coadiuvanti del lavoro di polizia. Le mele marce raccontano alle comunità che
le cose andrebbero meglio se solo esse collaborassero di più con
la polizia, tradendo la fedeltà verso i loro amici e parenti che vivono al di
fuori della legge, e allineandosi piuttosto a fianco dei custodi di un ordine
sociale progettato per spremerle e buttarle via. I dipartimenti di polizia,
sostengono, possono essere migliorati con maggiori investimenti, più risorse e
più poliziotti – oltre ad ogni cittadino rispettoso della legge che svolga il
lavoro del poliziotto per loro, gratuitamente.
Queste stesse mele marce sono anche coinvolte nel «muro blu del silenzio»
dietro il quale i poliziotti americani nascondono la loro slealtà. Nonostante
la corruzione e l'abuso copiosi in tutta la polizia negli Stati Uniti, si
possono contare su di una mano i poliziotti che negli ultimi anni hanno
rivelato quanto stava accadendo. Viceversa, le mele marce restano bene al
fianco del resto dei poliziotti, li ascoltano mentre vomitano insulti e
raccontano gli abusi commessi e progettati, e tacciono, anno dopo anno, a parte
supplicare le persone sorvegliate di confidare che i poliziotti hanno a cuore i
loro interessi. Non dicono nulla quando le vittime della violenza della
polizia, come George Floyd, Breonna Taylor e Michael Brown, vengono calunniate
sulla stampa in quanto avrebbero causato i propri stessi omicidi. Durante la
ribellione della scorsa estate, le mele marce si sono messe persino «in
ginocchio» con i manifestanti che protestavano, mostrandosi solidali col
movimento mentre i loro colleghi si preparavano a far piovere manganellate
sulle teste dei manifestanti.
La maggior parte dei poliziotti sta solo facendo il proprio mestiere.
Rappresentano la forza bruta dei rapporti sociali capitalisti. Non gliene frega
nulla della dignità o dei diritti degli altri, specialmente se non sono ricchi
o bianchi. E non sentono il bisogno di fingersi diversi. È ora che smettiamo di
lasciare che le mele marce diano alle persone l'idea sbagliata sulla
professione onesta della polizia americana.
[Hard Crackers, 27 giugno 2021]
Le forze di
polizia tra passato e presente - Riccardo Barbero
Il nostro Paese ha appena celebrato i vent’anni dal G8
di Genova ricordando sui siti, sui giornali, sulle riviste e nelle televisioni
la morte di Carlo Giuliani, le cariche ingiustificate e violente dei
carabinieri e dei poliziotti, gli scontri di quei tre caldissimi giorni di
luglio, le torture alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/19/ho-visto-genova-due-volte/). I ricordi sono ancora più vivi e
presenti oggi, dopo aver visto i video dei pestaggi dei detenuti del carcere di
Santa Maria Capua a Vetere da parte delle guardie carcerarie solo un anno fa (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/05/%e2%80%8bla-macelleria-di-santa-maria-capua-vetere-e-le-sue-radici/).
Esplosioni immotivate e imprevedibili di violenza,
errori di gestione, deviazioni di poche mele marce? Negli ultimi vent’anni sono
stati tanti gli episodi nei quali poliziotti, carabinieri, guardie carcerarie
sono stati coinvolti in atti di violenza soprattutto su migranti, giovani
donne, piccoli spacciatori e tossicodipendenti, carcerati per reati minori: in
alcuni casi intere caserme di carabinieri, come a Piacenza, si sono trasformate
in vere e proprie organizzazioni criminali. Ma anche nei vent’anni precedenti
non sono mancati esempi analoghi: basti pensare alla “banda della Uno bianca”
che ha ucciso decine di persone e che era formata per buona parte da agenti di
pubblica sicurezza in servizio.
Ancora e sempre poche mele marce? In realtà la
polizia, l’arma dei carabinieri, la guardia di finanza, le guardie carcerarie
sono strutture fortemente gerarchizzate, organizzate militarmente: non è
credibile che i livelli inferiori di queste organizzazioni possano prendere
delle iniziative senza che queste vengano più o meno esplicitamente autorizzate
dai livelli superiori delle gerarchie. E ancora non è possibile che
comportamenti violenti e illegali dei singoli e dei gruppi si realizzino, senza
essere ispirati da un “cultura” che proviene dai livelli organizzativi più
elevati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/19/il-virus-della-violenza-di-stato-la-lezione-di-genova/).
Se dagli anni duemila si torna indietro agli anni ’80
e ’70 del secolo scorso, non si può non ricordare il ruolo dei vertici del
Ministero degli interni, dei responsabili delle varie forze di polizia e dei
servizi di sicurezza all’interno della “strategia della tensione” e nella
conduzione ambigua della lotta alle formazioni terroristiche, sia di destra che
di sinistra. Approfondite inchieste giornalistiche, libri documentatissimi,
chiare sentenze della magistratura, pur con le grandi ambiguità tipiche del
nostro Paese, hanno chiarito questo ruolo: quello cioè di contrasto di tutte le
forze politiche e sociali di sinistra che si proponessero un significativo
cambiamento dell’organizzazione economica e sociale del nostro paese e della
sua collocazione militare all’interno dell’alleanza atlantica. D’altra parte,
molti degli uomini che dirigevano negli anni ’70 i vertici di quelle
organizzazioni provenivano da un’esplicita collocazione all’interno degli
apparati polizieschi del fascismo e della repubblica di Salò: si erano
“qualificati” in particolare sul confine orientale ed erano infatti, al termine
del conflitto, segnalati come criminali di guerra dalle autorità jugoslave.
Invece di essere consegnati alla giustizia furono promossi a compiti superiori
e da lì ispirarono la “cultura” antidemocratica e anticostituzionale largamente
presente nelle strutture di comando degli apparati di forza della Repubblica.
Negli oltre 70 anni trascorsi da allora, quella
“cultura” è rimasta il punto di riferimento di tutti coloro che hanno svolto un
ruolo di gestione dei servizi di sicurezza e delle varie polizie; ma come è
naturale che sia, essa si è diffusa fino alla base delle diverse organizzazioni.
Come stupirsi allora che i poliziotti della Diaz cantassero inni fascisti
mentre percuotevano i manifestanti inermi? Come sorprendersi perché poliziotti,
carabinieri di vent’anni fa e guardie carcerarie dei giorni d’oggi si siano
accaniti come squadre di picchiatori sulle loro vittime indifese? Come
interrogarsi sull’incapacità delle forze di polizia di far fronte alle azioni
distruttive del “blocco nero” nelle vie di Genova di vent’anni fa, senza
ricordarsi il lasciar fare di quelle stesse forze nei confronti delle
organizzazioni terroristiche dalla fine degli anni Settanta fino alla metà
degli anni Ottanta dello scorso secolo?
In tutte queste occasioni nessuno dei responsabili è
mai stato anche solo sanzionato; anzi generalmente si è assistito a una progressione
di carriera (per merito?); in tempi più recenti alla carriera si sono aggiunti
addirittura cospicui benefici economici attraverso prestigiosi incarichi
nell’industria militare nazionale (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/01/marco-minniti-approda-a-leonardo/).
Forse, dunque, più che di mele marce si dovrebbe
parlare di un frutteto di meli marci; le mele buone bisognerebbe cercarle e aiutarle
a prendere coraggio. Negli anni Settanta qualcuno ci provò: nacque la
sindacalizzazione della polizia e qualche prima forma di rappresentanza
democratica anche negli altri apparati; ma la sconfitta del movimento operaio e
della sinistra politica non permise di consolidare e sviluppare quei primi
passi.
È da lì che bisognerebbe ripartire.
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