Leggo un’interessante discussione che parte dalle straordinarie notizie in arrivo dall’Afghanistan.
Ugo Bardi ha recentemente pubblicato un articolo
su Resilience, in cui fa alcune interessantissime
riflessioni sui destini degli imperi.
Quasi tra parentesi, si chiede quale sia stato il motivo che ha indotti gli
Stati Uniti a impelagarsi in Afghanistan, e mette tra le ipotesi, il petrolio, o meglio il controllo delle vie
centroasiatiche del petrolio.
L’ipotesi petrolio viene criticata, tra i commenti al mio blog, da Roberto,
che dice invece:
resto convinto che si sia trattato piuttosto di un mix
composto da
messianesimo (dobbiamo salvare le donne e i bambini e
impiantare la democrazia e solo noi possiamo farlo)
volontà politica di esercitare il ruolo di polizia
mondiale
necessità politica di “fare qualcosa” dopo l’11/9
volontà di stabilire nella regione una pax americana
del tipo “costruiamo uno stato alleato così si comprano le nostre lavatrici
come in Europa dopo il 45, e magari vedendo come siamo belli pure i vicini
iraniani e compagnia si convincono”
Forse entrambe le ipotesi – quella
di Ugo Bardi e quella di Roberto – sono in buona parte giuste.
Ma entrambe forse implicano l’idea di un impero che fa
una guerra per conquistare qualcosa, ma sbaglia clamorosamente e fallisce nell’impresa, perdendo peraltro una quantità
enorme di soldi.
Io ho un’altra idea.
Pensiamo all’Italia, dove da anni si fanno immensi e costosissimi lavori
pubblici, come la TAV Lione-Torino. Sono definite opere strategiche, cose che dovrebbero rendere sempre
più forte l’Italia nel mondo insomma. Proprio come le guerre.
Poi qualcuno può pensare che la strategia sia buona o che sia cattiva, ma
sempre una strategia sarebbe.
Però alcuni anni fa lessi Il sistema TAV, di Ivan Cecconi, che
dimostra con vaste conoscenze anche tecniche come lo scopo di quella
particolare opera (ma anche di tante altre) non sia la sua realizzazione.
E infatti non si realizza da decenni, e forse
non si realizzerà mai.
Lo scopo è dare lavoro alle grandi
imprese italiane; e più a lungo dura senza essere completata, più a lungo
passano i soldi dallo Stato alle imprese.
Se capiamo questo, capiamo anche che le discussioni sul tipo, “farà aumentare o diminuire l’inquinamento?” diventano
fuorvianti.
Ora, si dice che la guerra in Afghanistan sia costata mille miliardi di dollari, ciò che gli
americani chiamano un “trilione“.
“Costato” fa pensare a soldi che escono, che il
popolo americano ci abbia rimesso in qualche modo.
Ma i soldi non finiscono nel mare: finiscono nelle tasche di qualcuno. Sono entrate, in altre parole, come aveva capito
benissimo Keynes.
Grazie alla guerra in Afghanistan, un trilione di dollari sono finiti ai
grandi fabbricanti di armi, che fanno facilmente la figura dei cattivi.
Ma sono finiti anche:
nella ricerca tecnologica aziendale che ha permesso il lancio di tanti
nuovi prodotti;
nelle mani di fornitori di uniformi e di cibo e dei loro lavoratori;
nelle mani delle migliaia e migliaia di soldati che si sono dati il cambio
in questi due decenni;
nelle mani delle donne che operano droni all’altro capo del mondo dalle
loro vittime, e che hanno così potuto finire di pagarsi il mutuo;
nelle mani delle innumerevoli università che conducono ricerca per conto
del sistema militare…
Un trilione di motivi perfettamente ragionevoli per
continuare una guerra per vent’anni.
La guerra dovrà essere immediatamente sostituita da qualcosa che abbia la
stessa funzione – nuove autostrade, emergenze mediche, un’altra guerra, staremo
a vedere.
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