Ieri ho assistito in diretta ad un grande classico dei nostri tempi: la costruzione mediatica in diretta del nemico come ‘subumano’.
A fronte
delle svariate proteste contro il Green Pass che si sono svolte in Italia, al
telegiornale (La7, Sky, Tg3) i protestatari sono stati tratteggiati come
“Assembramento di No Vax, No Mask e vari gruppi negazionisti, accomunati da un
sordo rancore verso la scienza”. Un’appropriata selezione delle scene più
imbarazzanti e delle interviste più sconclusionate ha perfezionato la
confezione mediatica del 'villain'.
Non mi
interessa qui entrare di nuovo nel merito delle ragioni e dei torti sullo
specifico provvedimento, di cui il minimo che si dovrebbe ammettere in buona
coscienza è che è controverso.
Molto più
interessante è la forma della costruzione del ‘nemico interno’ nelle vesti
dell’IGNORANTE.
La
costruzione di un nemico interno espleta da sempre preziose funzioni per il
controllo sociale. Ma qui ad essere decisivo è il tipo di stigma: chi protesta
lo fa perché IRRIMEDIABILMENTE IGNORANTE.
Da un lato
ci sarebbe la “voce della scienza”, voce che, negli ultimi 2 anni sul tema
Covid è cambiata con il ritmo dei cambi di biancheria, e in modalità difformi
tra diversi paesi, ma che tuttavia esige di essere di volta in volta accettata
senza discussioni perché “democrazia è fidarsi di chi sa” (e tutto il resto è
populismo).
Dall’altro
lato troviamo invece la calca bruta dei dubitanti, di quelli che non accettano
che “la scienza non è democratica”. E dunque, ça va sans dire, non può essere
democratica neanche una democrazia che usa una manciata di asserti scientifici
da prima serata, senza dibattito scientifico, per giustificare decisioni
eminentemente politiche.
Il ruolo
della stigmatizzazione del cittadino di seconda classe come “ignorante” è
cruciale perché va al cuore del funzionamento delle democrazie.
Qualcuno
potrebbe chiedersi se si sia fatto qualcosa per colmare tale “ignoranza”; o se
non si sia invece preferito coltivarla accuratamente, smantellando
l’informazione e la formazione pubblica per decenni, per poi farsene scudo alla
bisogna.
Ma credo che
più interessante di questa discussione sia una discussione differente, ovvero
l’identificazione dell’ignoranza come male sociale.
Ora, la
prima cosa su cui dovremmo riflettere è che in un senso abbastanza rilevante
tutti noi siamo drammaticamente ignoranti. Ignoriamo di solito come riparare
un’auto, come tradurre un testo, come saldare una lamiera, come rendicontare
una paga, e poi ignoriamo di norma come si vive nel paesello accanto, chi ha
quali problemi, chi si guadagna da vivere come, e ancora, ignoriamo chi finanzi
quali fonti di informazione e perché, ignoriamo se le iniziative prese per
l’ambiente siano una sceneggiata o meno, ecc. ecc. Noi tutti, anche chi vive di
studio, sguazza necessariamente nell’ignoranza. Lo scienziato che si occupa di
sistemi immunitari può non sapere nulla del funzionamento della medicina di
base, l’esperto ministeriale può non avere alcuna idea degli impatti sociali ed
economici delle sue affermazioni, ecc.
Tuttavia, di
per sé questa ignoranza diffusa non è necessariamente destinata ad essere
socialmente dannosa, nella misura in cui:
1) esiste
una diffusa consapevolezza della propria fallibilità, e
2) esistono
meccanismi politici di mediazione tra i vari limiti umani e conoscitivi da cui
siamo afflitti (la democrazia ha in ciò le sue caratteristiche idealmente
migliori).
Ecco, quello
che succede nell’Italia odierna è la costruzione sistematica dell’opposto di
queste due istanze.
Si
costruisce sistematicamente l’inconsapevolezza della propria fallibilità, che è
quanto a dire che si costruisce un sottofondo di arroganza saccente orgogliosa
di sé.
E si mettono
in campo meccanismi politici che mirano non a mediare, spiegare, educare,
convincere, ma a stigmatizzare, disprezzare, denunciare, esacerbare.
A ben vedere
esistono due forme di ignoranza socialmente nociva.
La prima è
quella che qualunque intellettuale impara a odiare molto presto. È l’ignoranza
tronfia tipica dell’anti-intellettualismo militante, di chi ti spiega che
l’università della vita basta e avanza, e che irride come astruseria tutto ciò
che travalica l’intorno delle proprie esperienze quotidiane. Questo tipo di
atteggiamento non è semplicemente ignorante, ma se ne fa vanto. La ragione per
cui questo atteggiamento è precocemente odiato dagli intellettuali è facilmente
comprensibile: è un ostacolo attivo, anche personale, a tutti i propri sforzi.
Questa forma di ignoranza è nota, e abbastanza diffusa, anche se non bisogna
credere che sia una disposizione popolare generale, perché non lo è affatto.
La seconda
forma di ignoranza è invece di solito completamente dissimulata, pur essendo
almeno altrettanto nociva.
Si tratta
dell’ignoranza effettuale di quelli che hanno appreso i rudimenti formali di un
sapere superiore senza superarne mai la superficie.
Molti,
moltissimi tra coloro i quali detengono titoli di studio terziario hanno
appreso solo i gesti mentali, le forme espressive, le parole d’ordine per farsi
passare come ‘competenti’. Questi maneggiano gli strumenti culturali con la
stessa sapienza con cui Stanlio e Ollio maneggiavano la scala da imbianchino e
il secchio della vernice nelle comiche.
Hanno
imparato faticosamente le parole giuste, gli atteggiamenti che li mettono al
riparo da domande che potrebbero mostrare la materia molle sotto la loro
impanatura di conoscenza. Gesticolano a fette grosse robe come il libertarismo
alla Foucault, il cosmopolitismo alla Kant, la non-violenza alla Gandhi, et
similia e si sentono per ciò stesso parte di un’élite, che può guardare
dall’alto in basso la plebe.
Questa
tipologia di ignoranti trova spesso ospitalità in luoghi deputati alla
formazione e informazione, dove si adattano perfettamente, non avendo mai
neppure lontanamente capito il potenziale emancipativo di ciò che hanno
studiato, e si accomodano dove possono ricevere disposizioni, ordini e veline,
che li facciano sentire dalla parte dell’élite dei giusti.
Questi
ignoranti rappresentano il perfetto contraltare dell’arroganza
anti-intellettuale.
Essi si
sentono riconfermati nella propria superiorità dall’esistenza
dell’anti-intellettualismo plebeo; e al tempo stesso con la loro esistenza
riconfermano nella loro visione i primi, che riconoscono la vuota retorica e la
supponenza dogmatica di gente che si barrica dietro ad un titolo con valore
legale; e ne traggono conferma dell’inutilità degli studi.
Questa
dinamica di rinforzo reciproco delle due forme di ignoranza dovrebbe essere
composta, limitata e moderata dalla politica, che dovrebbe idealmente essere
rappresentata da soggetti che, proprio perché non appartenenti a nessuna delle
due classi di ignoranti, non ha alcun disprezzo per l’ignoranza in sé, ma solo
per l’arroganza che vi si può abbinare.
Invece ciò
che accade di fatto è che la politica odierna è pervasa di ignoranti,
specificamente del secondo tipo, che, convinti come sono di essere parte
dell’élite dei giusti, si sentono sempre più a disagio con la democrazia reale,
e la riducono a vuoto rituale.
Essi
brandeggiano lo stigma dell'“Ignoranza degli sgrammaticati” perché ciò li
riconferma nella propria presunzione e gli evita lo sforzo, cui non sono
attrezzati, di capire le ragioni altrui, anche quando sgrammaticate.
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